Tempo di percorrenza del sentiero solo andata : 2h00
Dislivello totale : 300 m
Quota massima raggiunta : 1112 m
Come Raggiungere
Con questo sentiero si sale da Santorso verso San Ulderico e Bosco di Tretto , arrivati al bivio si prende per i colletti del Summano , si prosegue fino a trovare un posto dove mettere l’auto , eventualmente si procede fino a colletto Grande , li esiste un ampio posteggio . In questo caso si deve tornare indietro fino ad incontrare il segnavia 455 si prende il sentiero che porta in Busa del Novegno passando per Passo Campedello e malga Campedello.
Descrizione
Tecnicamente difficile in quanto percorre le creste in quota e relative postazioni che lo rendono unico ed indescrivibile praticamente cammina sopra il 455 , contrassegnato da pallini rossi ed alcuni segnavia del CAI molto vecchie , si sale tra cengie strapiombanti e passaggi ostici , alternati da parti pianeggianti ed irte , uno spettacolare scorci tra le due valli che non potrà che ammaliare l’escursionista , per poi colmare sul pezzo di sentiero del monte Brazome , rimane un itinerario per esperti per i suggestivi passaggi , alternati ad una possibilità di arrampicata per i temerari con chiodi split già posizionati tutti raggirabili.
Ritorno
Per il ritorno si può usare il 455 oppure giunti al bivio il 444 scendendo così di nuovo dove si era lasciata lauto
Questo piccolo capolavoro fatto di sculture , fate e gnomi , si trova poco nella zona del Tretto sulla strada che porta nel Novegno , si sale da Poleo verso Passo Santa Caterina e si prosegue verso contrada Rossi , si continua verso Località Cerbaro , presso il Ristorante Da Marco.
Piccole riflessioni personali
Questo percorso e per tutti , nato da qualcosa a mio avviso grandioso , a dimostrare che se si lavora tutti per lo stesso obbiettivo , tante belle cose possono nascere , io al di la della fiaba , lo definirei un percorso didattico che vuole insegnare qualcosa ai più piccoli , perchè lo possano capire soprattutto i più grandi , una lezione morale insomma per tutti, che spero tanto vi faccia riflettere , concludo con questo proverbio indiano:
Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero , preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce , solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro. Proverbio indiano
IL SEGRETO DEL BOSCO
Ben arrivati . Vi stavo aspettando .
Vi chiederete chi sono … Sono lo spirito di questo bosco . Non mi vedete ma sono in tutti ciò che vi circonda : negli alberi , nella terra , nei sassi e nell’aria . State per entrare nel bosco delle stagioni , un luogo incantato come tutti i boschi del resto . Seguitemi lungo la grande salita , tra i sassi colorati, e io vi racconterò una storia accaduta un pò di tempo fa .
Un tempo, In questo bosco, gli Gnomi Silvani , piccole creature gentili e laboriose, celebravano il ciclo delle stagioni con una grande festa. Preparavano ogni cosa per l’arrivo di Fata Propizia, regina del tempo e della cerimonia.
Accadde però che il bosco, frequentato non solo dagli Gnomi, ma sempre di più anche dagli umani, inizio ad essere disordinato e malconcio: cartacce, mozziconi di sigaretta, fiori calpestati… un vero disastro! Quante cose da sistemare per gli gnomi prima della cerimonia!
Un mattino la Vecchia Civetta , che sapeva ogni cosa, si posò su un ramo e annunciò : «Cari amici Gnomi , ho una notizia davvero terribile: Fata Propizia è scomparsa».
Scomparsa? Gli gnomi restarono di sasso: senza la Fata non ci sarebbe stata nessuna cerimonia !
Il ciclo delle stagioni era in pericolo e, con lui, l’equilibrio del bosco. E così gli gnomi si riunirono in assemblea davanti alla Grande Roccialncantata .
«Grande Roccia» chiesero gli Gnomi preoccupati «cosa possiamo fare?». La Grande Roccia rimase in silenzio, poi si schiarì la voce e rispose: «Strega Grigia è tornata da queste parti e non ha mai sopportato l’armonia del bosco».
«Quindi c’è il suo zampino!» dedussero gli gnomi «Dove si trova la strega?».
« In cima al sentiero del Nord. Là c’è la sua antica dimora».
«Ci penso io !» esclamò Fulvo , giovane gnomo, scaltro e coraggioso. «E’ troppo pericoloso» lo avvisarono gli altri , ma Fulvo , imperterrito, era già partito lungo il sentiero.
La dimora della strega era vecchia e decrepita.
Gnomo Fulvo provò a sbirciare all’interno, ma non vide nessuno, solo una vecchia scopa e tracce di fuoco nel camino.
Tutto attorno però si sentiva profumo di fiori e di aria d’estate, di foglie secche e vento di neve.
Era il profumo delle stagioni, il profumo di Fata Propizia. Doveva essere passata di lì. Senza perdere tempo, Fulvo ridiscese il sentiero e continuo la ricerca.
Qualcosa era cambiato nel bosco. Sembrava che gli alberi si fossero messi sull’attenti, ritti come soldati. Che fosse frutto di un incantesimo di Strega Grigia?
O forse erano preoccupati anche loro. Povera fata, chissà dov’era tenuta prigioniera.
Gnomo Fulvo penso che era proprio il caso di consultare il Grande Albero Sacro.
Il Grande Albero Sacro si ergeva alto e possente in una piccola radura. Con i suoi rami sembrava voler abbracciare e proteggere l’intero bosco.
«Caro amico che dolce sorpresa, ti vedo infelice… cosa ti pesa?» chiese l’albero al giovane gnomo.
«Fata Propizia è scomparsa. Forse e prigioniera di strega Grigia».
Il Grande Albero Sacro sorrise , poi disse : «Nel bosco dei fitti abeti , potresti trovare alcuni segreti…» .
Gnomo Fulvo doveva quindi proseguire. Ringraziò il Grande Albero e si diresse verso il bosco dei fitti abeti.
Quel bosco era proprietà di Zeldo, un gnomo solitario e molto geloso dei suoi possedimenti . Si interessava di magia e aveva fatto un’incantesimo: proprio nel punto in cui si entrava nel bosco, il terreno a volte cedeva e si apriva una profonda voragine ,Questo per scoraggiare i visitatori.
Gnomo Fulvo vide che , proprio al limitare del pericoloso passaggio , erano stati recisi alcuni alberi. Così salì su ciò che rimaneva dei tronchi e riuscì ad oltrepassare il punto insidioso sotto gli sguardi sospettosi degli alberi-guardiani.
Quando fu nel bosco dei fitti abeti , gnomo Fulvo proseguì lungo il sentiero con gli occhi bene aperti .
Ad un tratto gli parve di udire un respiro profondo e poi un sussurro ,quasi un sibilo nell’aria . Si pose in ascolto e sentì: «Non tutto è come sembra….e ciò che e grigio può brillare». La voce proveniva da un albero i cui rami si levavano verso il cielo.
Gnomo Fulvo la riconobbe : era la voce di Alba, madrina di tutte le creature del bosco , che poteva assumere mille sembianze.
«Non dire nulla piccolo gnomo» gli disse Alba «So già tutto . Segui il sentiero e io ti guiderò»
Rassicurato Fulvo riprese la sua ricerca. Cammina cammina, arrivò all’altura dei tronchi gemelli. Proprio lì, sul suo trono, stava seduto Zelda e con sguardo severo lo fissava : «Cosa vuoi straniero?» chiese imperioso .
«Cerco Fata Propizia . Temo sia stata rapita da Strega Grigia».
Zeldo si fece ancora più cupo : «Si…è probabile…».
In quel preciso istante un’arcigna risata risuono tra gli alberi. Fulvosi guardò attorno e si accorse che, poco più in là, una mostruosa creatura agitava in aria i suoi lunghi tentacoli.
«Fermo! Dove stai andando ? ». Intimò la creatura allo gnomo. E tra i tentacoli , apparve il volto di Strega Grigia.
«Dove hai nascosto fata Propizia?» chiese Fulvo.
Ma prima che la strega potesse parlare, Zeldo urtò: «Ho io Fata Propizia ! E la festa delle stagioni si celebrerà soltanto qui , nella mia parte di bosco!».
«Ma il bosco è unico e appartiene a tutti!» ribatté gnomo Fulvo.
«No , la vostra parte di bosco è stata profanata dagli umani!».
In quel momento si sentì profumo di fiori e di aria d’estate, di foglie secche e vento di neve…
Fulvo volse lo sguardo giù, lungo il sentiero, e fu allora che la vide….
Era lei, Fata Propizia, meravigliosa e perfettamente in armonia con la natura che la circondava.
«Non temere» disse la fata a gnomo Fulvo «Zeldo non mi ha rapita». Fulvo non capiva.
«Seguimi» continuò allora la fata «ti svelerò un segreto!».
E invitò Fulvo a scendere con lei verso alcuni alberi che fiancheggiavano il sentiero.
«Qui vivono gli Esseri Favolosi» spiegò Propizia piccole creature che aiutano Zeldo a salvaguardare la sua parte di bosco : raccolgono cartacce spengono mozziconi di sigaretta , curano con unguenti magici i fiori calpestati» . «E come mai tu sei qui ?» chiese gnomo Fulvo alla fata.
«Per chiedere aiuto agli Esseri Favolosi. Solo così la vostra parte del bosco sarà pronta per la grande cerimonia» .
«E strega Grigia ?» chiese gnomo Fulvo
«E’ dalla nostra parte . Con la sua magia terrà a bada Zeldo finchè gli Esseri Favolosi vi aiuteranno».
«Forza andiamo ! »lo esortò la fata «Gli Esseri Favolosi sono pronti : C’è molto lavoro da fare !».
13E così, per giorni e giorni , gli gnomi Silvani e gli Esseri Favolosi lavorarono insieme per ripulire il bosco e le stagioni per la grande festa .E quando ebbero finito , intagliarono il legno , dipinsero le rocce , sistemarono il sentiero che divenne meraviglioso.
Ancora oggi , tra gli alberi, si nascondono queste piccole creature che , di notte , lavorano per mantenere intatto quel magico luogo.
E un giorno , gli umani , consapevoli degli errori che avevano fatto e di quanto importante fosse rispettare tanta meraviglia , lo chiamarono “il sentiero di fiaba”
Ma volete sapere come andò a finire?
Finalmente , sotto la luce della luna , si celebrò la festa delle stagioni , la più bella festa che fu mai realizzata.
Gli gnomi Silvani , gli Esseri favolosi , Fata Propizia e Strega Grigia cantarono e ballarono fino all’alba.
E Zeldo ?
Dalla rabbia fece le valige e se ne andò lontano a cercare un altro bosco tutto per sè . Ma c’è anche chi sostiene che la Strega Grigia l’abbia trasformato in una roccia , in un albero o addirittura in un cestino dei rifiuti.
Ad ogni modo , ciò che conta, è che l’equilibrio del bosco sia stato mantenuto e si spera rimanga tale per molti e molti anni .
Tutto questo è stato possibile grazie a mani generose che hanno messo a disposizione , chi pezzi del bosco , chi attraverso le proprie doti artistiche ha donato e creato le sculture presenti in questo capolavoro , lezione di vita:
Dopo aver superato il centro di Schio proseguendo verso Valli del Pasubio si imbocca la strada sulla destra , verso Poleo , Passo S.Caterina si sale per alcuni km fino ad arrivare in una curva che segnala Passo Xomo e Strada delle Gallerie , si seguono le indicazioni dopo circa 1 km si può posteggiare l’auto .
Il sentiero sale su una carrareccia che fa parte anche di un anello da mountain bike , molto semplice e tutto boschivo , mentre raggiunta la quota è una specie di piccolo altipiano in parte prativo , ed in parte roccioso , che propone panorami molto belli a 360° sulle montagne circostanti Novegno , Pasubio e Piccole dolomiti
Cenni Storici
Il Forte M. Enna era dotato di 4 obici sotto cupola corazzata da 149 mm A e da 4 pezzi da 75 mm A in batteria scoperta come struttura era di grandi dimensioni . La sua posizione strategica era di protezione per un eventuale passaggio nemico sul Pian delle Fugazze e sulla rotabile che scende da passo Xomo e ancora in buone condizioni anche perche non entro mai in uso .Fu costruito fra il 1910 ed il 1912 e fu armato il 6 dicembre 1914. Non ebbe alcun ruolo nel 1915 in quanto l’avversario si era ritirato verso Nord su una linea di difesa più arretrata . I suoi obbiettivi erano il Pasubio ,il Sengio Alto ed il territorio circostante il Pian delle Fugazze, zone che, dal 25 maggio 1915, erano occupate dalle truppe italiane. Non essendoci più obbiettivi a lunga distanza, secondo informazioni italiane, fu disarmato. Due cannoni i furono trasferiti sul M. Rione, di riserva per la Batteria installata in loco, ed una Batteria destinata ad essere installata sul Col Santo a 2112 ed altri due ad una Batteria in zona del Forte. Ai Kaiserjager, che nel giugno 1916, salivano da Posina verso il M. Priaforà all’attacco del M. Giove, non dovrebbe essere sfuggito l’infelice ruolo che il Forte M. Enna ebbe nei confronti dei difensori. Qualcosa di molto vicino alla realtà si può leggere nel libro di Pino Marchi diario della 35′ Divisione di Fanteria:
“Abbiamo visto episodi di gloria e di vigliaccheria, di tragedia e di valore; abbiamo veduto scene grottesche e assurde come il bombardamento delle nostre posizioni effettuato dalla nostra Batteria di M. Enna … “
Mentre al 13 giugno :
“Intanto la resistenza dei difensori di M. Giove era sottoposta ad altra dura prova: una nostra batteria di medio calibro, dapprima creduta di S. Caterina, ma risultata poi essere quella da 149 A di M. Enna, con tiri corti, colpiva ripetutamente i nostri trinceramenti e travolgeva persino un pezzo della 18° Batteria da montagna. La batteria di M. Enna era intervenuta nell’azione senza darne avviso al Comando di Divisione che ne fu informato solo la notte seguente. »
Lo sfortunato Comandante fu rimosso dall’incarico e sottoposto ad accertamenti sulle sue responsabilità. Tuttavia sembra trovare credito un’altra versione, secondo la quale fu una Batteria piazzata sul pianoro del Novegno, per ordini superiori, a sparare sugli uomini della prima linea per farli desistere dall’abbandonare precipitosamente il posto di combattimento. Il Comandante del Forte Enna altro non fu che la vittima sacrificale. Il Forte Enna fu mantenuto come magazzino e deposito munizioni , poiché perfettamente intatto non poteva essere abbandonato.
Dopo aver preso la strada per arrivare a Schio , sia che si venga dall’autostrada o da qualsiasi altra strada normale si prende per Valli del Pasubio giunti sulla periferia di Schio ovvero il località Poleo si imbocca sulla destra la strada che porta verso Santa Caterina di Tretto , dopo aver superato l’abitato si prosegue fino a contrada Rossi , dove si nota sulla sinistra una carrareccia in mezzo alle case , da li attraverso una strada prima asfaltata e poi sterrata ma in buone condizioni si sale fino alla Busa del Novegno .
Se invece si sale dalla zona di Santorso si prosegue salendo verso Bosco di Tretto e San Ulderico , per poi proseguire verso località Cerbaro e poi giungere a contrada Rossi , e poi a destra imboccando la carrareccia che sale fino in Busa del Novegno
Ci sono inoltre vari sentieri per chi invece volesse salire a piedi , gia documentati in altri post vi riporto i loro numeri 401-411-422-433-435-444-455
Scrivere qualcosa sul monte Novegno può sembrare a tutti cosa facile , ma non lo è , l’importanza strategica che assunse nel periodo della strafexpedition lo rese di una importanza vitale per la conquista della pianura veneta da parte del nemico , la potenza di fuoco nemico che il monte subì la si può vedere ancora ora , ma è solo salendo che si può notare l’effettiva importanza dello stesso . In fondo al mio post ci sono le foto delle Postazioni del Vacarezze , di Cima alta e del Monte Priaforà.
Il monte presenta lineamenti gentili e molto belli i sui pascoli sono di un verde unico che si confonde con le buche scavate dalle marmotte ed il terreno in alcune parti roccioso quasi carsico e altro prativo adibito a pascolo , la sua altitudine non è altissima , ma la Busa del Novegno rimane sempre nel cuore di chi ci sale , provate , saliteci con un pensiero solo , quello di chi e consapevole di varcare in un luogo in cui tanto sangue si e versato . Molti trinceramenti , postazioni di mitragliatrici , e piccoli medi calibri sono state recuperate con pazienza certosina …io non mi stancherò mai di sottolinearlo ….PER NON DIMENTICARE
Cenni storici
Normalmente faccio un riassunto di quello che c’è nei libri , ma in questo caso riporto tal quale il riassunto di Bepi Magrin , fatto nel libro di Pino Marchi …Non toccarono il verde piano .
La battaglia
Tra il31 maggio ed il 25 giugno del 1916 la Cima Alta era il cuore della difesa del Novegno. Dalla baracca comando lassù installata, il generale Carlo Petitti di Roreto comandante della 35/\ Divisione che succedeva al generale De Chaurand, destinato ad altro incarico, ed il suo Capo di S.M. Colonnello Garbasso dirigeva le operazioni incurante dell’infierire del bombardamento. L’11/\ Armata dell’Arciduca Eugenio, che aveva il compito di attaccare il Novegno, aveva per farlo, disponibilità di 264 bocche da fuoco, schierate contro le 55, antiquate degli italiani. Il fuoco concentrato di 26 pezzi di grosso calibro, 60 di medio e 178 di piccolo provoca sul monte un uragano mai visto prima. Si contrappongono dopo l’azione delle artiglierie 52 battaglioni di attaccanti (più 20 di riserva) a 12 battaglioni della 35/\ Divisione più 4 Battaglioni Alpini. La sproporzione delle forze è del tutto evidente. Si combatterà qui la battaglia più importante dal punto di vista dell’impiego di forze, della intera operazione offensiva di primavera. Il settore di maggior interesse nel quale si giocarono le sorti della battaglia del Novegno è compreso tra il Monte Vaccarezze e il monte Brazome. Le difese passive costruite dagli italiani in quel periodo erano ancora molto approssimative. Trincee superficiali e, scarse o mancanti cortine di filo spinato, pressoché totale assenza di ripari in caverna caratterizzavano la linea di difesa. Lo schieramento dei difensori poi, in particolare delle truppe del 69° Fanteria e del battaglione alpini Monte Matajur saliti dal Roccolo a sud di Santorso dove erano accampati, per riposarsi dopo precedenti e pesanti impegni che avevano decimato i reparti, era avvenuto solo la notte prima della battaglia. Il comando di Divisione aveva affidato al colonnello Luigi Bongiovanni comandante della brigata Ancona, la direzione delle operazioni. Gli ordini erano quelli di mantenere le posizioni muovendo nel contempo grosse pattuglie di alpini specialmente verso il Priaforà -già in possesso degli imperiali- allo scopo di ottenere informazioni sulle intenzioni avversarie. Verso le 6,30 del mattino del 12 giugno, iniziava un violentissimo bombardamento contro le trincee del Novegno, del Giove e del Passo di Campedello, venendo contemporaneamente pure battute le retrovie nella Busa del Novegno. Tutte le batterie disponibili ed in particolare i medi calibri dislocati in zona, risposero al fuoco con tiri di controbatteria. Apparve chiaro ai comandi italiani che le truppe difficilmente avrebbero potuto resistere quasi prive di ripari sotto una simile azione di sterminio. Verso le 8,40 giungevano già al comando del 69° fanteria (Colonnello Erasmo Pegazzani) le notizie di pattuglie nemiche che si accostavano alle prime linee. Le perdite italiane dovute al bombardamento, erano già molto rilevanti, ma le pattuglie nemiche venivano respinte. La completa distruzione delle linee telefoniche di collegamento stese tra il Comando ed i reparti, accecava questi ultimi rispetto a ciò che avveniva sulla montagna, sicché si dovettero inviare degli ufficiali osservatori per raccogliere notizie su quel che avveniva, in particolare sul Giove che si sapeva essere letteralmente sconvolto nelle sue difese dal pesantissimo bombardamento. Incaricato del compito fu il capitano Annibale Bergonzoli che, verificata la situazione, poté riferire al comando del 69° che le truppe, pur nuove al fuoco, nonostante le gravissime perdite subite, resistevano mantenendo la calma e preparandosi a contrastare l’imminente impatto delle fanterie. Alle Il,10, dopo quattro ore di fuoco ininterrotto, l’artiglieria allunga il tiro, e grossi pattuglioni di Kaiserjaeger del 1° e 2° btg/4° rgt., preceduti da nudei di mitraglieri, tentano l’assalto alle prime linee italiane. Essi avanzavano in formazioni dense, quasi in assetto di marcia, convinti che il fuoco terrificante della artiglieria avesse del tutto neutralizzato le difese. Affluiscono allora sulla linea tre compagnie italiane di riserva mentre si richiedono cartucce per organizzare al resistenza. I primi attaccanti vengono falciati dal fuoco di fanti ed alpini balzati fuori dalle trincee sconvolte. Sul Giove, nella strenua resistenza cade mortalmente ferito il maggiore Dante Posani che prima di morire chiede ai suoi uomini: “Giuratemi di resistere fino alla morte … l” Sarà obbedito l. Intanto il comando della brigata Ancona, fa avanzare il I° battaglione del 70° fanteria verso Cima Alta per rispondere a probabili nuovi attacchi e nel contempo rifornire i difensori di cartucce. La difesa del passo di Campedello, probabile direttiva principale di un nuovo attacco, viene affidata al colonnello Sapienza, comandante del IVO Gruppo alpino. Il generale Petitti di Roreto su richiesta del comandante della brigata Ancona, sospende il cambio previsto per la notte a venire, dei due battaglioni che presidiano i monti Cogolo e Caliano. Alle 13,30, tre compagnie del 1°170 fanteria giungono di rinforzo sul Giove, sul Cimetta e sul Busa si costituisce la riserva con il 2°170 e la compagnia comando, infine anche la 4/\ compagnia del 1° btg, che aveva provveduto al trasporto delle munizioni, resta di rincalzo sul Giove. Sul Giove di nuovo si abbatteva il bombardamento mentre dai Colletti di Velo e da Santorso, affluivano altre truppe di rincalzo del 209° fanteria. L’intensità del tiro si attenuò solo verso le 18,30 si poterono allora constatare l’entità delle perdite e gli effetti distruttivi del bombardamento. Due mitragliatrici erano state rese inservibili, ma anche una settantina di cadaveri nemici giacevano davanti alle posizioni verso il Priaforà. Intanto si erano presentati alle linee italiane due disertori austriaci: Joseph Obatel classe 1897 e Karl Hollander classe 1896 della 8/\/4° K.J. Da essi si apprendeva che di fronte tra il Brazome e il Giove vi erano il 1° e il 4° K.J. mentre più in basso verso Arsiero, erano pronti il 14° e il51 ° reggimento di fanteria. Nelle trincee i superstiti pativano fortemente la sete e la fame ed erano quasi privi di cartucce, allora dai comandi si diede ordine di provvedere e ricostituire nottetempo i depositi presso la linea riparando per quanto possibile i guasti prodotti dal bombardamento. Nella notte, mentre si provvede ai lavori più urgenti ed allo sgombero dei feriti il battaglione alpini Clapier, viene sostituito dal val Natisone. Al Cerbaro, iReali Carabinieri fermano tre soldati: Antonio Martini, Giuseppe Colapietro e Alfonso Assaloni del 69° reggimento ftr. I tre vengono ricondotti in Busa Novegno, dove accertata la loro colpevolezza, il comandante della Divisione ordina che i tre vengano fucilati per codardia di fronte al nemico. La fucilazione avviene alle 6,00 del 13 giugno ad opera degli stessi carabinieri. Alle 7,50 riprende il bombardamento sul Giove e sul Novegno, Alle 9,00 il comando della Divisione invia il proprio Capo di Stato Maggiore al Comando del ve Corpo d’Armata perché faccia presente la situazione e le gravissime perdite subite. In quel momento la situazione si presenta gravissima, interi reparti sono privi dei propri ufficiali e anche le batterie del gruppo Zardo, schierate in linea con le fanterie, avevano perduto in poco tempo: Comandante, Aiutante maggiore, 5 ufficiali e 12 serventi ai pezzi. Sul Brazome perde la vita intorno alle ore 9 del giorno 13 anche il capitano scledense Tito Caporali del Btg. Alpini Val Natisone, che cade colpito da una scheggia. Gli verrà concessa una medaglia di bronzo alla memoria. Da Cima Alta si ordina al r btg/70e ftr. di serrare sotto la prima linea, ma poi si sospende l’esecuzione dell’ ordine per evitare la decimazione dei reparti prima ancora che possano giungere in linea. Si predispone intanto una seconda linea di difesa attestata sulle alture dei monti Busa e Cimetta già occupati da batterie di artiglieria. Vi affluiscono il r batt./70e ftr., la 71/\ Batteria da montagna e dall’ ala sinistra vi giungono anche due compagnie del 63e ftr. provenienti da malga Pianeti. La pressoché totale mancanza di collegamenti impone al comando di inviare un ufficiale per accertarsi della situazione. Molti reparti risultano privi di ufficiali ed alcuni accennano a ritirarsi verso Busa Novegno. Sul Giove si resiste a nuovi attacchi che si svolgono tra le 10 e le 14 del giorno 13 ad opera del 3/\ e 4/\ Rgt. K.J. Fanti ed alpini superstiti dei bombardamenti reagiscono con lancio di bombe a mano, di sassi e ove è necessario in corpo a corpo usando le baionette a mò di pugnali. In questo frangente cade lottando il capitano Sergio Biffoli comandante della 7/\ Cp/69 ftr. E la linea non cede. Dal piano giungono a Cerbaro altre truppe messe a disposizione dal 37/\ ftr. e dalla Brigata Ravenna. Occorrerà ritirare il IVe Gruppo Alpino e riordinarlo a Torrebelvicino date le perdite gravissime subite. Sul Monte Giove, giungono dalle spalle, per errate valutazioni del tiro, i colpi da 149 mm del Forte Enna. Sul posto il comandante ordina che si cessi il fuoco anche da parte dei pezzi da 210 di Santa Caterina e degli obici campali postati a Sant’Ulderico. Questo aggravava la situazione italiana sul monte per il mancato concorso degli unici pezzi a tiro curvo disponibili e per le perdite di uomini e materiali determinate dallo stesso tiro italiano, nonché per l’effetto morale particolarmente negativo che subivano le truppe schierate a difesa. Intanto dalla cima più alta del Novegno (Monte Rione o Rivon) dove era dislocata una batteria in barbetta da 149, uno dei cannoni presenti era stato smontato da colpi avversari prima ancora che la 35/\ Divisione giungesse sul Novegno. L’altro pezzo continuava a sparare nonostante il tiro molto intenso di controbatteria. Per il surriscaldamento della volata, l’unico pezzo ancora efficiente ad un certo punto scoppiò. La notizia fu riferita al comando da un artigliere originario di Torrebelvicino tale Riccardo Bortoloso, allora il Generale Petitti di Roreto, dispose che nonostante il danno, il cannone continuasse a sparare sia pure a salve. In tal modo, la controbatteria imperiale, continuò a concentrarsi sull’obiettivo, risparmiando ulteriori danni alle truppe già in linea. Solo verso le 19 il fuoco nemico accennò a diminuire di intensità fino a cessare del tutto col sopravvenire della oscurità notturna. La spinta maggiore contro il monte Giove e il Novegno, cui gli imperiali attribuivano grande importanza per l’esito complessivo della battaglia, si era esaurita. Nei giorni che seguirono ritornò gradualmente la quiete sulla montagna sconvolta dai bombardamenti e disseminata di cadaveri per ogni dove. Sul Novegno costato ai difensori perdite ingentissime con 704 morti, e circa 2200 feriti si continuò la lotta fino al 16 giugno, poi gli imperiali, costretti a ritirarsi in posizioni più adatte allo stazionamento e alla difesa, abbandonarono per sempre la montagna e non vi poterono più metter piede. Il generale Dankl, comandante dell’ Armata del Trentino fu esonerato dal comando, al comandante della 35/\ Divisione generale Carlo Petitti di Roreto fu conferita la Commenda dell’Ordine Militare dei Savoia per aver fermamente diretto la difesa, resistendo sulle posizioni assegnate e infliggendo al nemico ingenti perdite.
Bepi Magrin
Fonte : Non toccarono il verde piano di Pino Marchi edizioni Edelweiss ( ormai introvabile )
Tempo di percorrenza del sentiero solo andata : 1h45
Dislivello totale : 532 m
Quota massima raggiunta : 1057 m
Dopo aver raggiunto l’abitato di Arsiero salendo verso Posina , superato il centro si arriva all’imbocco della strada che porta a Passo Xomo , li esiste un ampio posteggio per mettere l’auto , oppure si può metterla nei campi sportivi di Posina . Si torna indietro a piedi verso la chiesa di Posina che dista circa 150 metri , si scende verso il fiume e si arriva nei campi sportivi , mentre in fondo all’imbocco del ponte si noterà il segnavia di partenza del sentiero 499 il sentiero non presenta difficoltà e sale abbastanza costante passando da tratti di prativo a quello boschivo , all’altezza di contrà Ballan si può notare il bivio di collegamento con il 492 anche se fisicamente non è segnalato , si continua a salire in mezzo il bosco fino a raggiungere il colletto di Posina , si tratta di una forcellino con il bivio di raccordo di alcuni sentieri , il 401 che salendo porta sul Forte Rione e in Busa del Novegno passando per il monte Calliano (dove era alloggiato un cannone da 149 che sparava in Pasubio ) , mentre quello che scende porta nella strada asfaltata di collegamento tra Santa Caterina e Passo Xomo . Se invece si mantiene la destra si va a salire sul monte Alba , che era il collegamento in quota tra il Novegno , il Passo Xomo e le 52 gallerie , quindi il Pasubio. Il sentiero è un’antica via di comunicazione tra la Val Leogra e la Val Posina , nonostante tutto essendo un pò in disuso e in buone condizioni anche se numerosi lavori boschivi ne fanno un po perdere la traccia .
Tempo di percorrenza del sentiero 435 solo andata : 2h40
Dislivello totale : 750 m
Quota massima raggiunta : 1659 m
Dopo essere saliti da Schio dalla zona di Poleo e passati per Santa caterina superato l’albergo San Marco si giunge il località Cerbaro , mentre se si sale da Santorso passando prendendo la strada per San Ulderico si può salire nella stessa località. Giunti a Cerbaro si mette l’auto nell’ampio posteggio e si procede verso il campeggio a sinistra passato l’agriturismo si nota la carrareccia che porta a Passo Campedello e monte Priaforà.
Il sentiero presenta qualche salita di media pendenza ma e molto bello e interessante, sopratutto nel periodo estivo e primaverile (anche se risulta molto percorribile anche nel periodo invernale vista la sua scarsa pericolosità) . Nel visitare il sistema molto bello dei cunicoli posti sulla base sommitale del Priaforà si raccomanda L’USO DI UNA TORCIA , ma sopratutto il soffermarsi e l’ammirare la grande opera di difesa fatta dall’uomo su quel monte . Ci sono altre vie per salire al Priaforà come il 477 ed il 480 , ma il 435 resta la via più classica , le foto che ho pubblicato sono molto riduttive , la visione panoramica di questa quota e unica , ed e stata importante presidio nel periodo bellico del 1915-1918 , se ci salirete lo potrete capire da soli . Mi sembrava doveroso pubblicarlo da solo come un itinerario storico di grande importanza sia per le postazioni che per i fatti bellici che si sono verificati in questa quota e come del resto lungo la linea Cima Alta , Postazioni Vaccaresse , forte Rione , monte Caliano.
Cenni storici
Il monte Priaforà fu un grosso punto di riferimento per la grande visuale verso la valle di Arsiero , dapprima conquistato dai Battaglioni Kaiserjaeger.
Il 29 Maggio, preceduti da forte bombardamento d’artiglieria, gli Austriaci (Battaglioni Kaiserjaeger) riprendono furiosi attacchi contro i ripidi versanti della dorsale montuosa. Il 30 Maggio 1916 la linea italiana viene intaccata con la perdita del Priaforà, propaggine Nord del Novegno.
Ultimo giorno di Maggio: la linea italiana, difesa nella zona del Novegno dalla 35a Divisione e dalla 9a Div. più a Est, corre dalla cresta di questo per scendere fino a passo Campedello e risalire al trincerone di Monte Giove, di fronte al Priaforà. Da qui la linea corre sulla sommità dei Colletti di Velo per entrare in Val d’Astico davanti al paese di Velo d’Astico, abbandonato.
Quindi la linea prosegue per il fondo valle fino alla frazione Seghe di Velo e, passato l’Astico al ponte di Schiri, risale le pendici di Monte Cengio.
Gli attacchi austroungarici riprendono i primi di Giugno soprattutto contro Monte Giove e i Colletti di Velo, ma il forte sbarramento di artiglieria italiano, specie delle batterie piazzate sul Monte Summano, impediscono seri vantaggi per il nemico.
Il 12 Giugno un formidabile schieramento di artiglieria posto soprattutto sull’altopiano di Tonezza, apre la strada all’attacco delle fanterie austriache contro il trincerone di Monte Giove. La linea italiana sembra cadere, ma un provvidenziale sbarramento di artiglieria costringe gli austriaci a riparare nelle proprie trincee.
Gli ultimi attacchi nemici e la sospensione dell’offensiva (11-18 giugno)
Per poter proseguire con l’offensiva, il XX. Armeekorps austro-ungarico doveva avanzare dal monte Priaforà per conquistare il Passo di Campedello e da qui scendere sull’altopiano del Tretto e poi nella piana di Schio, per tagliare le vie di rifornimento dei reparti italiani sul Pasubio e di quelli della 9a divisione che si trovavano sui Colletti di Velo e sul monte Summano, costringendoli alla resa. In tal modo avrebbe potuto aggirare e catturare anche le batterie del 140° Gruppo d’artiglieria d’assedio, piazzate sul rovescio della lunga dorsale che delimita a sud-ovest la conca di Arsiero, il cui fuoco incessante impediva alla 3a divisione di fanteria “Edelweif3” di dilagare nella pianura vicentina. L’attacco decisivo alle linee italiane dal monte Giove al monte Novegno ebbe inizio alle 6,30 del 12 giugno con un violento bombardamento dell’artiglieria austro-ungarica, che impiegò 264 pezzi di vari calibri, compresi sei mortai da 24 cm e quattordici da 30,5 cm, l’obice “Gudrun” da 38 cm piazzato in Val di Campoluzzo e perfino i tre obici italiani da 280 mm catturati sul Soglio del Lovo, in alta val Posina. Il fuoco di preparazione investì la linea difensiva presidiata dai reparti della 35a divisione italiana, il cui tratto più debole era il “trincerone” del monte Giove, un muraglione di pietre a secco eretto a cavallo della dorsale per dividere i pascoli di Malga Campedello da quelli di Malga Vaccarezze, privo di traverse che potessero limitare gli effetti di una granata caduta eventualmente al suo interno, che doveva essere presidiato costantemente da numerose truppe anche durante i bombardamenti, perché nelle vicinanze non c’erano ricoveri in caverna né costoni di roccia dietro ai quali ripararsi. La 35a divisione italiana schierava fra il monte Spin e il monte Vacca resse il I e il Il battaglione del 63° fanteria della brigata Cagliari, col 111battaglione del 70° fanteria della brigata Ancona di rincalzo; nella conca del Passo Campedello i battaglioni alpini Cividale e Monte Clapier, fra il monte Giove e il monte Brazome il I e il Il battaglione del 69° fanteria della brigata Ancona in prima linea e il III di rincalzo. La sua artiglieria disponeva complessivamente di 29 cannoni, dodici dei quali da 65 mm da montagna, quattro da 105 e tredici da 149. Dopo circa 4 ore di intenso bombardamento, le batterie austro-ungariche allungarono il tiro e grossi reparti del I e Il battaglione del 4° reggimento Kaiserjager, dotati di numerose mitragliatrici, tentarono due volte di attaccare le posizioni italiane del monte Giove, convinti che i difensori fossero stati annientati o costretti a ritirarsi, ma furono tenacemente respinti dai fanti del 69° reggimento della brigata Ancona. Nel corso della notte, le compagnie del genio aggregate alla 35a divisione ripararono i danni prodotti alle trincee dal bombardamento nemico, ripreso con intensità dopo che era stato respinto l’attacco dei Kaiserjager, e scavarono ulteriori difese accessorie; inoltre furono predisposte scorte di munizioni, viveri di riserva e acqua per evitare i movimenti delle corvee durante il giorno.
Tempo di percorrenza del sentiero solo andata : 2h50
Dislivello totale : 944 m
Quota massima raggiunta : 1364 m
Dopo aver raggiunto l’abitato di Arsiero salendo verso Posina , arrivati all’abitato di Castana davanti alla Trattoria da Gek ovvero nel posteggio del ristorante a sinistra salendo , si nota una stradina che prosegue nei campi e costeggia il torrente Posina per poi superare il canale idrico sopraelevato ed iniziare la salita per il monte Aralta attraverso una carrareccia con alcuni tagli di percorso fattibili solo a piedi , si sale mantenendo il monte sulla destra , sul monte sono posizionate le antenne di ricezione per le trasmissioni radiotelevisive , si sale senza grosse difficoltà tecniche ne fisiche il sentiero e molto bello e presenta nella parte alta nomerose postazioni in trince con trinceramenti che raggirano la parte sommitale del Monte Priaforà , di notevole importanza strategica come quella parte del Novegno che guarda verso la Val Posina , Arsiero , Cogollo quasi come fosse l’occhio di sorveglianza nel passaggio in valle , mentre sulla zona del Roccolo Bagattini si possono notare ancora le piazzole di tiro dell’artiglieria , ed un altra postazione e situata sul Roccolo dei Sogli , questo comunque e un sentiero molto interessante sia per il panorama raggiunto in quota che per la sua importanza strategica nella difesa del Monte Priaforà , che vi invito in un prolungamento del percorso a visitare , con la torcia per poter entrare nelle gallerie di appoggio , grossa importanza anche il Monte Novegno sulla zona di controllo della Cima Alta e Postazioni del Vaccaresse . Prendetevi il tempo di visitare questi luoghi che sono stati recuperati per avere un’idea dei sacrifici e delle vicissitudini della Guerra , questo è un teatro meno conosciuto di altri campi di battaglia , ma la strategia di questo luogo parla da se . Il sentiero finisce nella selletta Giove- Branzomè , ma presenta sbocchi molto variegati per poterne gustare appieno la sua bellezza , il ritorno può essere fatto anche dal 480 scendendo a Fusine e poi attraverso la strada di Posina fino a Castana , sono circa 2 km , altrimenti raggiungendo passo Campedello e poi il Monte Priaforà per poi scendere attraverso la prima parte del 466 fino al raccordo e ridiscendere per lo stesso sentiero 477.
Cenni storici
Verso le 9 antimeridiane del 29 maggio, dopo aver attraversato il torrente Posina col favore della nebbia, cinque compagnie e mezza del 1° reggimento Kaiserjager, da ovest, e una compagnia del 4°, salita per la strada militare del versante nord-est, attaccarono con azione avvolgente il monte Aralta, un modesto rilievo del contrafforte settentrionale del Priaforà, difeso da tre compagnie del Il battaglione del 209° reggimento fanteria della brigata Bisagno, le cui posizioni erano state bombardate dall’artiglieria nemica fino alle 11 del mattino, quando furono attaccate dai Kelserjeqer, che alle 12,45 riuscirono a soverchiare le tre compagnie italiane accerchiate, che subirono la perdita di 9 ufficiali e 465 militari di truppa, per la maggior parte fatti prigionieri. I pochi superstiti si erano ritirati verso la cima del Priaforà, abbandonando sul monte Aralta un cannone da 75 A della 509a batteria, inseguiti lungo la dorsale dai Kaiserjager, che catturarono nel pomeriggio anche i due cannoni da 149 G della 507a batteria piazzati al Roccolo dei Sogli. . Alle 9,45 del mattino seguente, il distaccamento d’avanguardia del 1° reggimento Kaiserjager, composto di 80 uomini con due fucili mitragliatori Madsen M. 15, sorprese e mise in fuga la pattuglia italiana che presidiava la vetta del Priaforà, conquistando la sommità del monte, dove fu raggiunto poco dopo dall’intera 6a compagnia, che aveva trascorso la notte nei pressi della baita Fontana, a nord della cima. La vetta del Priaforà era rimasta indifesa a causa di un banale errore, perché 1’8a compagnia del 209° reggimento fanteria della brigata Bisagno, che la sera prima era stata mandata a difendere la cima, non pratica della zona e disorientata dalla fitta nebbia, si era fermata sul dosso di quota 1558, situato circa 300 metri più a sud lungo la stessa dorsale, credendo di aver raggiunto la posizione cui era stata destinata. Nella stessa mattinata, reparti del I battaglione del 209° fanteria della Bisagno e del battaglione alpini Monte Clapier tentarono di riconquistare l’impervia cima del Priaforà, attaccando per la stretta cresta scoperta che la collega al monte Giove, ma furono respinti dal nemico ormai ben rafforzato sulla posizione. Gli stessi ostacoli ambientali e la tenace difesa italiana fermarono anche i tentativi compiuti dai Kaiserjager nei giorni seguenti per proseguire la loro avanzata verso sud. Dopo che le retroguardie italiane si,erano ritirate da Arsiero, i genieri avevano fatto saltare i ponti sul Posina per impedire al nemico di inseguirle; perciò i reparti del 50° reggimento di fanteria austro-ungarico, che il 31 maggio tentarono di attraversare il torrente su passerelle gettate tra le due sponde in prossimità dei ruderi del “ponte moro”, a valle della Cartiera Rossi, furono fermati fino a notte inoltrata dal fuoco delle batterie piazzate a Poggio Curegno e sui Colletti di Velo. Quando il buio ostacolò il tiro di sbarramento delle batterie italiane, i battaglioni nemici del 50° fanteria riuscirono ad attraversare l’alveo del torrente Posina ed avanzarono sul versante occidentale della conca, arrivando a circa settecento metri da Velo d’Astico; ma furono respinti davanti agli avamposti del 210° reggimento fanteria della brigata Bisagno, scavati lungo t’argine destro del Rio dell’Orco. L’attacco delle fanterie nemiche fu preceduto da un violento bombardamento delle batterie della 3a brigata d’artiglieria campale austro-ungarica piazzate sull’altopiano di Tonezza, le cui granate distrussero anche numerose case di Velo d’Astico, abbandonate un paio di settimane prima dagli abitanti e adibite ad alloggi per le truppe italiane in riserva della linea avanzata, che era situata poche centinaia di metri a nord-ovest del paese. I proiettili sparati dalle batterie austro-ungariche contro l’altura del castello di Velo d’Astico, trasformata in caposaldo dagli italiani, distrussero la parte superiore del campanile e colpirono anche il tetto e la facciata della chiesa, aprendo una larga breccia sopra la porta d’ingresso. Tutte le strade erano state mascherate con graticci di canne stesi tra le case, per impedire al nemico di osservare dal monte Cavioio i movimenti delle truppe e delle salmerie coi rifornimenti destinati alle truppe in prima linea.
Dopo aver superato l’abitato di Arsiero si prosegue verso la Valle di Posina , arrivati a Castana si mantiene la sinistra per Posina fino a raggiungere località Fusine dove e presente un piccolo Museo della Guerra , superato sulla sinistra un piccolo negozio di alimentari si può mettere l’auto e proseguire a piedi per la chiesa di Fusine dove a sinistra parte il sentiero 480 . Questo sentiero e molto bello e si inerpica su un pendio notevole , poco frequentato e per questo come il 488 abbastanza selvaggio ed in certi casi con passaggi in cui bisogna prestare attenzione sopratutto in qualche traverso ( NON E UN SENTIERO DIFFICILE MA BISOGNA PRESTARE ATTENZIONE ), sale prima su un crinale aperto dove si possono ammirare la Val Posina e le cime circostanti del Bosco delle Fratte e l’altare Gallina dopo essere scesi vicino la Val del Rio . Fino ad arrivare sul pascolo prativo di passo Campedello . Un itinerario molto avvincente che va a completare con il 488 un anello veramente molto bello e unico , una parte sconosciuta del sempre fantastico Novegno , una zona da conoscere ed approfondire della Val Posina.
Ricordo inoltre altre posizione di interesse storico , Cima alta , Postazioni Vacaresse , Priaforà , Forte Rione , Monte Giove ….che furono teatro di grandi e sanguinose battaglie .
Dopo aver superato l’abitato di Arsiero si prosegue verso la Valle di Posina , arrivati a Castana si mantiene la sinistra per Posina fino a raggiungere località Fusine dove e presente un piccolo Museo della Guerra , superato sulla sinistra un piccolo negozio di alimentari si può mettere l’auto e proseguire a piedi per la chiesa di Fusine dove a destra parte il sentiero 488 .Voglio segnalare che il sentiero tratteggiato sulla mappa e quello ufficiale , ma io invito a percorrere quello segnalato fisicamente sul posto (LA SEGNALAZIONE DELLA PRIMA PARTE NON E COMPATIBILE CON QUELLA REALE ). Questo sentiero e poco praticato e presenta una pendenza interessante sotto il profilo fisico , in realtà a come se fosse un boale ,Boalòn del Novegno un canale detritico che porta fino alla Busa del Novegno proprio di fianco a Forte Rione situato sulla destra . Il sentiero molto bello e vario in un’ambiente quasi selvaggio ma proprio per questo motivo diventa interessante da percorrere , e abbastanza segnalato anche se molto intuitivo e nell’ultima parte e quasi impossibile da sbagliare , anche se in mancanza di segnavia , per discendere si può usare il 480 . A me dire il vero è piaciuto molto anche se devo dire di averlo percorso con un pò di neve ne ha aumentato la difficoltà notevolmente .
Tempo di percorrenza del sentiero solo andata : 2h30
dislivello totale : 625 m
Quota massima raggiunta : 1513 m
Dopo aver preso la strada che da Poleo porta a passo Santa Caterina si prosegue verso colle Xomo , si arriva a un certo punto in cui si incontra il monumento Vallortigara eretto per i caduti per la libertà nella guerra del 45 , da li si prende il sentiero 411 , non presenta difficoltà tecniche e risulta molto bello quasi tutto dentro un bosco di abeti e pini , ma anche di faggi ed altre piante , per poi diventare più panoramico nel passaggio a malga Ronchetta , buona parte erboso presenta buona visibilità verso la valle , tempo permettendo . Presenta anche un bivio con il 401 che salgono per un certo tratto assieme , poi si dividono di nuovo su un’altro bivio , da qui si può scegliere se salire in Busa del Novegno 411 o sul Forte Rivon 401. In ogni caso si possono utilizzare tutti e due i sentieri insieme così facendo si sale dal 411 e si scende dal 401 , oppure viceversa , posteggiando l’auto tra i due sentieri . Io personalmente ho messo l’auto in uno spiazzo più verso il sentiero 401 cioè superato il monumento e poi sono salito dal 401 Colletto di Posina – Monte Rione per poi scendere verso la Busa del Novegno e attraverso il 411 scendere fino al Monumento Vallortigara , per poi risalire per qualche kilometro di strada asfaltata fino ad arrivare all’auto