Era bello e grandioso un’opera che dava visibilità alla zona , conosciuta per molte altre bellezze , L’avez de Prinzep , Luserna ed altri tanti luoghi per gli amanti della montagna , anche a ricordo di quella sera di tempesta dove sia il passo Vezzena che la meravigliosa piana di Marcesina si è vista deturpare e abbattere alberi come stuzzicadenti , io come tanti c’ero , ed abbiamo aperto la strada del passo Vezzena …ma la mente umana così bacata e malata , e capace di tutto , ricordo i 7 focolai sul Novegno del 2020 , ma finchè non si puniscono i piromani come si deve rendendo pubblica ed esemplare la punizione, continueranno ad imperversare , ma quando si và a toccare un bene comune di tutti la privacy non dovrebbe esistere . Il drago e volato in cielo per mano dell’uomo , anche se definirli così non sarebbe certo corretto , creato con amore da una mano esperta e reso accessibile a tutti …ora rimane la rabbia ed il dispiacere di un opera così e credo che a Marco Martalar salire lì , sia costato non poco , ma la vita riparte più decisi di prima , nella speranza che nelle indagini e fotocamere esca qualcosa che riesca a beccare chi ha fatto questo , e che la pena sia ESEMPLARE .
Asiago
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Tempo di percorrenza del sentiero : 3h15 Da Cesuna 4h Da Campiello
Dislivello totale : 350 m
Quota massima raggiunta : 1233 m
Come Raggiungere
Questa linea , come avevo già descritto nell’Anello Campiello-Monte Paù -Zovetto -Val Magnaboschi-Monte Lèmerle , è possibile prenderla da Campiello il tratto tratteggiato , sulla strada che porta a Tresche Conca , ma si può anche salire da Cesuna , e volendo si sale anche in auto fino al Zovetto , ma vi invito ha lasciare l’auto in basso , vicino ai due cimiteri e salire dapprima sullo Zovetto , e poi sul Monte Lèmerle , la lunghezza di questo itinerario si aggira sulle 3h30-4h , con poca difficoltà di dislivello.
Riflessioni
Ho dovuto fare un post solo per scrivere , sintetizzare e riassumere l’importanza ed il grande sacrificio di sangue versato su queste posizioni , quasi inesorabilmente dimenticate da chi pratica il semplice escursionismo , ma l’importanza di questi siti , parla solo percorrendoli e qui vi voglio informare per approfondire , Campiello , Monte Paù , Monte Zovetto , Val Magnaboschi , Monte Lèmerle , certo , anni di guerra non si possono documentare in poche righe , ma qualcosa si deve dire su questa linea che ha bloccato agli austroungarici di scendere sulla pianura Veneta.
Cenni storici
Nella zona di Cesuna gli italiani andarono a schierarsi fra il monte Lemerle, il monte Magnaboschi, il monte Pau e il monte Zovetto. Qui i reparti, disorganizzati e non pratici del terreno, riuscirono incredibilmente a resistere ad un ulteriore tentativo di affondo austriaco. Le brigate Granatieri (1° e 2° reggimento), Forlì (43° e 44° reggimento fanteria), Trapani (144°, 149° e 150° reggimento fanteria), Modena (41° e 42° reggimento fanteria), Udine (95° e 96° reggimento fanteria) e Liguria (157° e 158° reggimento fanteria) ressero l’urto sebbene il pericolo di uno sfondamento si presentasse imminente a più riprese. Riporta Gianni Pieropan nel suo libro Le montagne scottano: “Quando il giornalista Giuseppe De Mori si riaffacciò sullo Zovetto, stando a fianco dello stesso generale Papa (comandante della brigata Liguria che aveva tenuto la linea dello Zovetto), esso gli apparve bruciato, sconvolto, tutto un terriccio giallo ed un pietrame grigio, seminato di cadaveri e gemente di feriti, una visione tragica e nel contempo sublime, perché da quelle buche, da quei crepacci, da quelle trincee di cadaveri si vedevano emergere gli elmetti dei Fanti e le canne dei lori fucili, rari, ma impavidi e intrepidi”. A testimonianza di questi fatti d’armi, in loco, ancora oggi, sono ben visibili i monumenti dedicati a questi reparti.
Monte Zovetto
Il zovetto regala un panorama unico nella conca di Asiago , il Monte della brigata “Liguria”, qui gli uomini guidati dal gen. Achille Papa , che aveva voluto tenacemente quella difesa anche a dispetto dello scetticismo di alcuni superiori, seppero realizzare su una delle alture più brulle spoglie della zona un autentico miracolo. Dopo una serie di azioni di pattuglie della sottostante Val Canaglia, condotte nei giorni 7 ed 8 giugno 1916, a partire dalla preparazione di artiglieria del 13 fino a tutto il 16 i soldati della “Liguria” arrestarono ogni urto da parte della 68°brigata di fanteria Austroungarica . Lo fecero potendo contare solamente sulle trincee scavate da loro stessi, con scarso supporto di artiglieria, senza rancio caldo e dovendo affrontare sempre più espedienti tattici da parte degli abili avversari e perdendo alla fine quasi 2000 uomini. Nonostante la conquista della Casara Zovetto, il pronto intervento dei reparti di rincalzo consentirà di contenere l’assalto Austroungarici precludendo loro la possibilità di sfondare le ridottissime linee della “Liguria” e di dilagare in Val magnaboschi. La giornata chiave del 15 giugno viene così descritta dal cap. Valentino Coda :
“ora di austriaci hanno adottato una nuova tattica. Senza sospendere né rallentare il fuoco di artiglieria, le fanterie a piccoli drappelli, a sbalzi periodici di poche decine di metri si spostano obliquamente verso le ali di di ogni nostra ridotta, tentando di accerchiare le posizioni che sono valse a rompere l’attacco frontale. Siffatta manovra impone ai difensori un raddoppiamento della vigilanza: bisogna alzare la testa oltre agli ultimi scherm,i sollevarsi di tutte le spalla, imbracciare il fucile, far fuoco, il che significa lungo andare, essere sfracellati da una granata. Quando tuona così tremendo il cannone, istinto fa sì che anche gli uomini più coraggiosi si rannicchino in fondo ai ricoveri, ma i difensori dello Zovetto non hanno più nulla di umano.“
La trincea del Zovetto faceva parte della linea di rinforzo italiana , con la funzione di collegare , la zona di Campiello con Cesuna , val Magnaboschi ed il Monte Lèmerle , questo tratto di trincea recuperato permetteva con postazioni di mitragliatrice di sorvegliare la Val Magnaboschi , oltre ad essere utilizzate come osservatorio di artiglieria.
Già nell’aprile del 1917 giunsero in Italia dal Regno Unito i primi gruppi di artiglieria per sostenere i nostri attacchi sul Carso. Dopo la sconfitta italiana sull’Alto Isonzo ed il ripiegamento del nostro esercito sulla linea Altopiano-Grappa-Piave, che venne inviato in Italia un Corpo di Spedizione britannico oltre a 6 divisioni francesi. Tali truppe vennero tenute lontano , nel timore che un ulteriore crollo da parte italiana potesse coinvolgerle, soprattutto sul piano morale. La tenuta dei nostri reparti sull’intero arco difensivo e la ripresa offensiva realizzatasi con la prima battaglia dei Tre Monti convinsero i nostri alleati della volontà del nostro esercito di proseguire il conflitto. Divisioni inglesi e francesi cominciarono quindi a dare il cambio alle nostre unità più provate, prima sul Montello e quindi proprio sull’Altopiano dei Sette Comuni. Qui, nel settore compreso tra l’abitato di Cesuna e la strada del Barental, dalla fine del mese di marzo 1918 venne schierato il XIV Corpo d’Armata, al comando di Lord Cavan, che comprendeva la 7°, la 23° e la 48° Divisione. E proprio la 23° e la 48° Divisione nel giugno 1918 affrontarono la Battaglia del Solstizio fronteggiando l’assalto dei reparti ungheresi della 38° Divisione Honvéd. Nonostante alcuni cedimenti locali davanti a Cesuna, nel settore della 48a Divisione, l’intervento delle artiglierie italiane schierate sul nodo del Cengio e un deciso contrattacco inglese consentì di respingere l’assalto austriaco. Il 9 ottobre la 73° e 23° Divisione vennero inviate sul Piave dove; nel corso della Battaglia di Vittorio Veneto, diedero un decisivo contributo allo sfondamento delle Iinee austriache. Sull’Altopiano rimase la 48° Divisione che nell’offensiva finale, assieme ai reparti italiani e francesi, si lanciò all’inseguimento degli austriaci sino alle porte di Trento.
Val Magnaboschi
La zona di combattimento e cimiteriale di Val Magnaboschi rappresenta certamente per i fanti italiani quello che il Cengio simboleggia per i Granatieri e quello che l’Ortigara ha finito col significare per gli Alpini. Essa è diventato il sacrario naturale del sacrificio della nostra fanteria sull’Altopiano dei Sette Comuni, come testimonia anche la colonna romana postavi a ricordo nel dopoguerra. Gli eventi bellici che ne consacrarono tale significato coincisero con la fase determinante e conclusiva dell’offensiva austriaca della primavera del 1916, nota nelle fonti italiane come Strafexpedition (Spedizione punitiva). Perduto il nodo del Monte Cengio ed annientata la resistenza della Brigata Granatieri il fronte italiano, per decisione del Gen. Rostagno, impressionato da quanto in precedenza accaduto, si era ritirato dietro il profondo intaglio della Val Canaglia e correva sulle alture di Monte Paù-Monte Zovetto-Monte Lemerle per proseguire poi verso il Kaberlaba ed il Torle. La Valle di Magnaboschi veniva così a costituire l’immediata retrovia e la principale via di collegamento di questi improvvisati capisaldi. Fu naturale che essa divenisse, a partire dal 6 giugno 1916, il principale obiettivo del 1° Corpo d’armata austro-ungarico, anche perché il suo comandante, il Gen. Kirchbach auf Lauterbach, non ritenne opportuno affrontare l’ostacolo della Val Canaglia e puntò decisamente sul centro del nuovo schieramento italiano. Oltre quella valle si prospettava, come un miraggio, la vista della pianura veneta e la possibilità della sua conquista. Lo stesso comandante d’Armata, l’ungherese Gen. Kovess von Kovesshaza, vide nell’occupazione della linea Lemerle-Kaberlaba-Sisemol la premessa indispensabile per la caduta di Monte Paù, l’ultimo pilastro occidentale dell’Altopiano prima dello sbocco al piano. Fu così che nei giorni successivi prima la 32° e quindi la 33° Divisione italiana di fanteria dovettero difendere, sostenute dalla poca artiglieria che stava salendo a fatica sull’Altopiano, l’urto della 34° Divisione austroungarica. La sera del 16 giugno 1916 gli austriaci sfondarono in Val Magnaboschi, oltre la Casera, nel punto di collegamento della Brigata Liguria con la Forlì: due compagnie della Brigata Liguria furono accerchiate e catturate costringendo i comandi superiori ad arretrare la Brigata sul Magnaboschi abbandonando lo Zovetto. La resistenza italiana era stata comunque tale da provare i reparti austriaci al punto da impedire loro di sfruttare il momentaneo successo.
Così descrive uno momenti maggiormente rischiosi il comandante la Brigata Forlì:
“Si apre al nemico un più facile ingresso per la selletta di Magnaboschi, però tappato con un battaglione del 214°, giunto nella mattinata in rinforzo al 43°. Il nemico tenta di forzarlo, dopo violenta preparazione di fuoco il 17, ma provvidenziale un altro rinforzo arriva in quel momento al comandante del 43°: il battaglione del 214° col comando di reggimento. I due battaglioni vengono lanciati al contrattacco. Eroico contrattacco, fieramente guidato dal comandante di reggimento Boncolardo, e dai due comandanti di battaglione Boschetti e Poggesi.”
La 34° Divisione austroungarica tra il 15 ed il 16 giugno ebbe a contare 243 morti e 1313 feriti mentre le perdite della 33° Divisione italiana assommarono a 234 morti, 868 feriti e 647 dispersi. La valle venne così ad accogliere le spoglie dei caduti italiani ed austriaci, come accoglierà quelle dei caduti del Corpo di Spedizione britannico che qui venne schierato dalla primavera del 1918 e che ebbe modo di dare il suo decisivo contributo all’arresto dell’offensiva austriaca sull’Altopiano durante la Battaglia del Solstizio. Nel dopoguerra la creazione dei due cimiteri , in cui le sepolture degli uomini dei Reggimenti dell’Oxfordshire e del Buckinghamshire, cosi come dei fucilieri del Northumberland e dei fanti del Gloucester erano di fronte a quelle dei fanti delle Brigate “Liguria”, “Trapani”, “Arno” e “Forlì”, visitati oltretutto dallo stesso re d’Inghilterra, costituì un fatto di assoluto rilievo nell’elaborazione di una memoria collettiva non solo nazionale e divenne un importante elemento nelle buone relazioni tra i due paesi.
Selletta e Monte Lèmerle
La vita nelle trincee costruite dava l’idea di buche fatte alla meglio , giusto per ripararsi , che consentivano una grama esistenza se non solamente una soppravvivenza agli attacchi , soprattutto quando queste venivano costruite sotto il fuoco dell’artiglieria nemica o subito a ridosso del punto di attacco. Dopo l’offensiva è l’arretramento delle truppe austroungariche , queste linee furono ricostruite dal Genio e la differenza si vede come siano fatte ccon logiche di progettazione e secondo alcuni standard , tesi a garantire la sicurezza dei difensori , una buona visuale di tiro , e non ultima dare una condizione di vita perlomeno migliore di una buca piena di terra. Il corpo Britannico che subentrò agli italiani continuo la sistemazione in questo senso.
Bunker inglese sul Lèmerle
Le divisioni britanniche avevano al loro interno un battaglione di pionieri che venivano usati per la creazione di trincee , ripari , baraccamenti per le truppe e postazioni varie , il bunker non era altro che il posto di comando dei pionieri 9°South Staffordshire rgt, che realizzo buona parte delle opere assieme alla 23° divisione , tra Cesuna e la strada del Barental (strada dell’orso) che porta da Asiago a Bassano del Grappa .
Cima Lèmerle
Questa cima che ora è quasi completamente coperta dal bosco , svolse nella strafexpedition un ruolo importante fungendo da fulcro con il monte Kaberlaba e Torle , collegando la val Magnaboschi allo Zovetto e a Passo Campiello , a partire dal 6 giugno fino al 18 giugno 1916 , venne attaccato dagli austroungarici la 34°divisione del Banato di Temesvar , e battuto da tre brigate di artiglieria campale e dal raggruppamento di artiglieria pesante Janecka . Tra le forze italiane invece l’appoggio dell’artiglieria era scarno , e nonostante i pochi trinceramenti riuscirono a resistere fino all’attacco del 24°rgt fanteria di Czernoviz , ma fu subito dopo riconquistato in contrattacco da due battaglioni di Bersaglieri , gli altri sforzi da parte degli austroungarici di sfondare la linea difensiva italiana sono stati vani , sul Lemerle e sulla cresta combatterono soprattutto i fanti della brigata Forlì 43°e 44° rgt , il Gen. Franchi loro comandante riporta così:
“Dieci giorni e dieci notti di eroismo e di sacrificio avevano vissute quelle valorose truppe , in un continuo inferno di fuoco e di sangue , in una continua tragedia di lotta e di morte ,con privazioni di rancio, con le labbra spesso riarse della sete e dalla febbre, prive di sonno e di riposo; nessuno, nessuno ebbe il pensiero alla fuga, alla disperazione, all’esonero.“
Tempo di percorrenza del anello : 2h30
Dislivello totale : 200 m
Quota massima raggiunta : 1240 m
Come Raggiungere
Si sale dal Costo di Asiago , superato l’abitato di Tresche Conca si prende a destra verso Cesuna imboccando poi Via Magnabosco si raggiungerà l’ampio posteggio di Via Vecchia Stazione a Cesuna di Roana , da li si parte a piedi per la nostra escursione.
Descrizione
L’escursione è molto facile ed ideale per tutti , si sale lungo una piccola mulattiera , in un bosco molto fitto , dove sono posizionate alcuna tabelle che descrivono la zona ed alcune opera scultoree di legno , fatte dagli scultori Marco Pangrazio e dal suo collaboratore Giovanni dal Sasso, che permettono di sedersi e riflettere per mantenere vivo il ricordo di quella notte in cui Vaia compi il suo disastro , anche se qui il danno si deve dire sia stato contenuto , non come successo nel Passo Vezzena oppure sulla Piana di Marcesina , si sale lungo un bosco fantastico fino a raggiungere la cima del Monte Lemerle teatro di aspri combattimenti , considerato il monte dei fanti , la brigata Forlì 43°e 44° rgt , il Gen. Franchi riporta così:
“Dieci giorni e dieci notti di eroismo e di sacrificio avevano vissute quelle valorose truppe , in un continuo inferno di fuoco e di sangue , in una continua tragedia di lotta e di morte ,con privazioni di rancio, con le labbra spesso riarse della sete e dalla febbre, prive di sonno e di riposo; nessuno, nessuno ebbe il pensiero alla fuga, alla disperazione, all’esonero.“
Proseguendo ed iniziando a scendere , si raggiunge il bunker Inglese che fu posto di comando del 9°Staffordshire rgt , dove una copia del fregio Inglese ne conferma la sua provenienza , alcune sculture ne abbelliscono la cruda realtà del cemento , si raggiunge poi un altro bivio che riporta un’ulteriore tabella ed alcune sculture fino a raggiungere poi la selletta del Lemerle , con le postazioni di mitragliatrice che guardano verso il fondo della valle , si raggiungerà poi il Sacello dedicato a Sant’Antonio e San Girolamo , mentre sulla sinistra salendo ancora qualche centinaio di metri si potrà vedere la Colonna Romana che fu il punto ci fu la massima penetrazione dei soldati austroungarici , ed il Cimitero Inglese ed Italiano , poi si potra ridiscendere lungo la stradina asfaltata per completare questo piccolo anello , nel ricordo di chi ha perso la vita qui nel 1915-1918 , e per non dimenticare il disastro di Vaia.
Itinerario : Campiello – Monte Paù-Monte Zovetto- Monte Lemerle
Tipo di terreno : sentiero e mulattiera, sterrato circa 22 Km
Tempo di percorrenza del sentiero : 6h40
Dislivello totale : 729 m
Quota massima raggiunta : 1414 m
Come raggiungere
Si sale dalla strada del Costo di Asiago , dopo essere entrati nella Val Canaglia , superato il Passo Campiello , si raggiunge la fermata dell’ex trenino , si lascia l’auto e si parte a piedi.
Descrizione
Si scende da Campiello verso il cimitero Italo-Austriaco di Campiello , prendendo poi la strada forestale che sale nella malga Cerasana e Malga Roccolo per poi proseguire verso il monte Croce , passando per un piccolo sito di lancio con il parapendio , proseguendo sempre sulla strada si raggiunge in una curva , il sentiero 661 che porta prima a Monte Paù-Cima del Gallo 1417 m attraverso un sentiero esposto verso la fantastica conca di Arsiero-Cogollo del Cengio e Piovene Rocchette, per poi scendere attraverso la malga Gallo , ed attraverso il bosco distrutto da vaia e dal Bostrico che sta facendo strage di abeti rossi , si scende su questa desolazione fino a raggiungere il bivio che sale da Campiello (quella che non passa per il monte Paù )si mantiene la destra , imboccando a breve la Trincea del Monte Zovetto , dove incontreremo la linea fortificata delle trincee Inglesi , in un contesto in cui è facile comprendere l’importanza strategica di questo sito , e dove il panorama rimane unico nella zona , a poche centinai di metri si può raggiungere sia la Malga Zovetto che il rifugio Kubelek , da li riprendendo la strada si scende per circa 1 km e sulla destra si potrà vedere l’entrata del sentiero anche se non segnalato che porta nei due cimiteri di Magnaboschi quello Italiano ed Inglese , superati i cimiteri e la colonna romana , si arriva al piccolo Sacello di Sant’Antonio e San Girolamo, li si prende la stradina sterrata a destra che riporta la salita sul monte Lemerle passando per l’omonima forcella , si sale in un bosco che privo di visibilità al contrario del monte Zovetto , ma che è stato teatro di aspri combattimenti si raggiunge così il bunker Inglese che fu posto di comando del 9°Staffordshire rgt , dove una copia del fregio Inglese ne conferma la sua provenienza , si raggiunge dopo poco la cima del Monte Lemerle , considerato il monte dei fanti , la brigata Forlì 43°e 44° rgt , il Gen. Franchi riporta così:
“Dieci giorni e dieci notti di eroismo e di sacrificio avevano vissute quelle valorose truppe , in un continuo inferno di fuoco e di sangue , in una continua tragedia di lotta e di morte ,con privazioni di rancio, con le labbra spesso riarse della sete e dalla febbre, prive di sonno e di riposo; nessuno, nessuno ebbe il pensiero alla fuga, alla disperazione, all’esonero.“
Si scende poi verso la valle per raggiungere l’abitato di Cesuna , sul passaggio del trenino, per poi imboccare la ciclabile che ci porterà di nuovo alla Stazione di Campiello.
Come raggiungere
Si sale verso le Melette di Gallio e si procede verso Campomulo imboccando la strada per salire sull’Ortigara , fino a raggiungere un bivio a destra che scenderà sulla piana di Marcesina, entrando nella devastazione di Vaia , raggiunto un primo bivio che riporta il Rifugio Barricata , si svolta a sinistra e si prosegue fino a vedere l’Aquila in lontananza . Se invece si sale da Foza si deve percorrere tutta la Piana di Marcesina fino a raggiungere il bivio che si troverà a destra che porta al Rifugio Barricata . ( ricordo che la strada che porta alla piana di Marcesina da Campomulo è sterrata e poco manutentata ).
Dopo il grande Drago di Vaia , lo scultore Marco Martello Martelar compie un nuovo capolavoro, “Per me Il legno è il tramite, il ponte che lega arte, uomo e natura” alta 7 metri e lunga 5 metri , del peso di 1600 kg e circa 1800 viti , un’opera fantastica, situata in una zona in cui Vaia ha compiuto il disastro più beffardo , la Piana di Marcesina , forse uno dei luoghi più suggestivi e unici dell’altipiano , dove il Trentino si inerpica in quel cippo Anepoz dove le formelle di Austria e La Serenissima si incontrano nel maestoso è lungo sentiero dei cippi , la terra che fu confine , quel pezzo di terra dove Mario Rigoni Stern ha scritto quella famosa frase scalfita sul marmo dell’Albergo Marcesina :
“Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su una slitta tirata da un generoso cavallo per la piana di Marcesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero come sarebbe triste il mondo” Mario Rigoni Stern
Qui in questa piana resa un pò cupa e triste da questa immensa distruzione di Vaia , dove la minuscola Chiesetta di San Lorenzo appare come microscopica , nella vastità di questa piana che d’inverno raggiunge incredibili temperature di -35° , paludosa e verde , nella primavera ed estate , a pochi passi da quella sanguinosa battaglia dell’Ortigara , ora avrà un’Aquila che sarà un testimone del ricordo di quella notte in cui la tempesta Vaia , ha compiuto la sua devastazione , io da testimone l’ho potuto constatare mentre la notte di Vaia tagliavo piante sulla strada per il passo Vezzena , e dove la mattina si aprì un scenario apocalittico.
Lo Scultore ed il Drago
Marco Martalar Scultore del legno e artista del bosco , dove passo la maggior parte del tempo per creare e farmi ispirare.Gli alberi , gli animali , il silenzio , il fuoco e la natura ancora selvaggia, per me linfa vitale dove la mia arte trae nutrimento.
Il legno della scultura infatti non è trattato e con il tempo deperirà per l’effetto degli agenti atmosferici. Perciò, cambierà forma e, tramite la decomposizione, andrà a formare nuovo humus per i boschi. Gli alberi sradicati dalla tempesta saranno quindi nutrimento per altri alberi e contribuiranno a renderli più rigogliosi.
Quando sono arrivato sul grande prato che lo ospita mi sono emozionato , la quantità di persone era fuori dalla mia immaginazione , Persone sedute sul prato a godersi il sole l’aria, persone che passeggiavano , bimbi che giocavano. Lui era lì fermo come quando lo avevo lasciato, come quando lassù io e lui in solitudine stava nascendo, ora invece circondato da centinaia di persone, il tutto senza caos gente rispettosa con la voglia di toccarlo o fare una foto, è stato bello. Marco Martalar
Tempo di percorrenza : 1h30 Dal Piazzale principe del piemonte – 2h30 Da Campiello
Dislivello totale : 200 m – 400 m da Campiello
Quota massima raggiunta : 1351 m
Come Raggiungere
Per salire al Monte Cengio ci sono diverse vie , la prima la più facile è salire attraverso la strada del Costo di Asiago , poco prima di raggiungere l’abitato di Tresche Conca , nei pressi della Casetta Rossa di Passo Campedello si incontra un bivio sulla sinistra che porta prima al piazzale principe del Piemonte dove si potrà lasciare l’auto per proseguire a piedi . Il secondo percorso , diciamo un pò più impegnativo si lascia l’auto appena entrati nella stretta valle prima di raggiungere la Casetta Rossa , dove un piccolo posteggio sulla sinistra si potrà lasciare l’auto e proseguire a piedi , invece per chi vuole avventurarsi in qualcosa di più difficile ma con scenari molto panoramici ed appaganti , lo potrà fare con il Sentiero n. 651 che sale dal Monastero della Resurrezione a Mosson (Cogollo del Cengio) già descritto in precedenza .
Cenni Storici
Monte Cengio e i Granatieri di Sardegna
Ricerca 10.000 uomini che erano giunti ad Asiago, riuscirono a salvarsi in poco più di 1000 , alla sera del 3 giugno il Monte cengio era in mano austriaca ma le perdite furono alte anche per gli imperiali e il sacrificio della brigata Granatieri di Sardegna era riuscito a fermare per sempre la discesa in pianura dei fanti dell’imperatore Francesco Giuseppe , con i granatieri combattevano i Fanti delle Brigate Catanzaro, Novara, Pescara e Modena al termine della strafexpedition gli austriaci si ritirarono nei territori occupati e il 24 giugno 1916 le truppe italiane ripresero possesso del Monte cengio e di tutto il pianoro circostante fino alla Val d’Assa . I comandi italiani decisero di predisporre una serie di opere difensive articolate su tre successivi linee “la linea di massima resistenza”, “la linea di resistenza ad oltranza” e “la linea di difesa marginale”.
la linea di massima resistenza era formata da tanti piccoli posti di sorveglianza situati in posizione avanzata sul ciglio della Val d’assa a guardia dei sentieri che dal fondo della valle risalivano gli scoscesi dirupi .
La linea di resistenza ad oltranza la più importante era in realtà un sistema di postazioni difensive unite tra di loro da un’unica trincea costruite proprio su quelle quote dove i granatieri avevano combattuto per la difesa dell’altopiano punto il Monte cengio, il Monte barco, il Monte Belmonte, il Monte Busibollo e malga ciaramella divennero altrettanto fortini naturali che supportandosi a vicenda costituirono un complesso difensivo , che peraltro non venne più direttamente interessato delle vicende belliche. La Val barchetto fu compresa nel sistema difensivo di Monte barco è attraversata da uno sbarramento difensivo che collegava il caposaldo di quota 1363 a sinistra con le linee di trincee principali dello stesso Barco a destra lasciando peraltro libera la rotabile utile per il trasporto del materiale.
Infine la linea di difesa marginale mai ultimata costituita l’ultima linea difensiva che sfruttando le alture che delimitavano a sud dell’altopiano di Asiago doveva servire a fermare eventuali attacchi austriaci nella probabilità che avessero ceduto le due altre linee di difesa. Il settore Monte Cengio per la sua importanza e per la sua posizione era compreso nelle linee di resistenza ad oltranza e a sua volta contava i suoi capisaldi difensivi nelle quote 1363 , 1312, 1351, 1356 e 1332 rilievi che si alzavano sui dirupi della Val d’astico per collegare tra loro sistemi difensivi si costruì una mulattiera di arroccamento in seguito denominata delle granatiere in onore del corpo da cui che qui difese la pianura veneta.
Il 28 maggio del 1916 gli austroungariche risalivano da Val D’Assa attestandosi sul pianoro del Cengio mentre i Granatieri si prepararono a resistere sulle alture dello stesso Monte alla sera del 29 maggio un gruppo di fanti imperiali comandanti dal col Klielman penetrò nel forte Punta Corbin già disarmato e sgombrato dalle truppe italiane il 30 maggio del 1916 i Granatieri ricevettero l’ordine di riconquistare il forte ma durante l’avvicinamento stesso scontravano con gli austriaci che miravano la conquista del Monte Cengio e di tutto il suo pianoro nonostante le gravi perdite subite nei combattimenti Granatieri riuscirono a fermare l’assalto austriaco e si asserragliarono intorno alla cima della montagna il secondo tentativo di conquista austriaco del 31 maggio i Reiner salisburghesi del 59°rgt del 31 maggio trovò anche questa volta i granatieri che grazie all’aiuto dei fanti delle Brigate Pescara , Catanzaro e Novara riuscirono a fermare gli assalti . Gli austriaci conquistarono il vicino Monte Barco , posizionando alcune mitragliatrici degli austriaci sulla Val barchetto interruppero i collegamenti tra i granatieri sul Cengio e i comandi di Campiello impedendo il rifornimento di acqua , cibo e munizioni isolati sulle alture del Monte cengio al comando del cap Morozzo della Rocca vi erano i granatieri del I° reggimento assieme ai Fanti delle Brigate Catanzaro , Pescara e Novara con i pochi mezzi a disposizione privi di rifornimenti i soldati italiani stesero quel poco di filo spinato avevano a disposizione e alzavano qualche muretto a secco con le pietre trovate sul terreno per difendersi dal fuoco di fucileria e delle mitragliatrici schwarzlose,il 3 giugno del 1916 soldati imperiali lanciarono l’attacco finale dopo un devastante bombardamento mattutino risalendo la Val di Silà gli Schutzen comandati dal col.Alpi riuscirono a sfondare le linee di difesa ingaggiarono un combattimento corpo a corpo con i granatieri italiani che alle spalle delle trincee avevano solo lo strapiombo della Val d’astico in questi combattimenti che nacque la leggenda del salto del granatiere in quando i soldati italiani piuttosto che arrendersi preferivano gettarsi dei dirupi avvinghiati nella lotta agli austriaci andando incontro entrambi è morto certa . Nei successivi mesi la battaglia , tornato il Cengio in mano italiana la Val di Silà viene sbarrata da un duplice trincea e da una più a Valle che raccordava la vecchia trincea di granatieri e proseguiva per le pendici del Monte Barco
Quota Piazzale Principe del Piemonte
La quota 1045 è la punta estrema del sistema montuoso del Monte Cengio tra la Val Canaglia e la Val Cengiotta , sistemato a difesa nel 1917 per ostacolare qualora si fosse perduto di nuovamente il Monte Cengio un’eventuale attacco austriaco proveniente da Occidente ed è la funzione di controllo della val Cengiotta e delle mulattiere che salivano da Cogollo del cengio chiamato “sentiero delle postazioni “ le mulattiere era già stata utilizzata la notte del 2 giugno del 1916 durante la battaglia del Cengio per portare con i muli gli ultimi rifornimenti di acqua e viveri e granatieri in trincea . La linea di difesa era organizzata con trincee difese da reticolati postazioni mitragliatrici quasi tutti in caverna ricoveri truppe in caverna scavate nella roccia o in tane di volpe capaci di contenere circa 1000 uomini.
La Cannoniera
Quattro postazioni per pezzi di artiglieria da montagna da piccolo calibro 70 mm la postazione venne costruita la primavera e l’estate del 1917 dalla 2° compagnia minatori partente al Comando del Genio del XXVI Corpo D’Armata , la galleria di accesso della larghezza di 2 m sviluppa una lunghezza di 74 m e su di essa si affacciano quattro caverne e un deposito di munizioni profondo circa 3 metri . Il fronte della batteria sviluppa invece una larghezza complessiva di circa 24 m . La batteria chiudeva ad est il complesso sistema difensivo del caposaldo del cengio che si collegava poi all’adiacente caposaldo di Monte Barco .
Il Salto Del Granatiere
Scrisse il gen. Pennella comandante della brigata granatieri di Sardegna
« si narrava già di aver venduto rotolare per le rocce strapiombanti la sull’Astico nel furore dell’ardente lotta grovigli umani di austriaci e granatieri»
Questa testimonianza dell’aspirante Franco Bondi ufficiale del IV btg. del I rgt Granatieri di Sardegna
«improvvisamente poi verso le 2 pomeridiane il nemico ci assalì alle spalle e contemporaneamente anche di fronte , data della sorpresa e le condizioni disperate in cui ci trovavamo si svilupparono una serie di combattimenti singolari con bombe a mano e fucileria da parte del nemico e all’arma bianca da parte nostra… Fui testimone oculare di atti di eroismo dei miei granatieri e di quelli della sezione mitragliatrici che si trovavano immediatamente alla mia destra di cui un caporalmaggiore servente continuo a far fuoco ancora l’arma fino a che fu ucciso a baionettata sul pezzo e così pure le vedete sorprese dall’attacco furono finite a baionettata»
Galleria Comando
Questa era la galleria comando alle pendici di quota 1351 qui erano situati anche i pezzi di artiglieria da 149 mm avevano il compito di ostacolare l’avanzata austriaca lungo la Val d’astico è proprio la loro efficacia azione costrinse i comandi austriaci a dover conquistare nel più breve tempo possibile Monte Cengio durante la battaglia del giugno 1916 i cannoni vennero portati all’aperto sul piazzale dinanzi all’entrata della galleria da dove il contrastarono anche se solo per poco tempo gli assalti di soldati imperiali terminate le munizioni rimasero inutilizzati nella galleria il cap. Federico Morozzo della Rocca comandante del IV btg del I° rgt granatieri di Sardegna situo il comando di settore del Cengio la caverna fungeva anche da posto di primo soccorso sanitario qui vennero ammassati i feriti durante l’attacco risolutivo del 3 giugno . Ricorda il tenente Giacomo Silimbani aiutante maggiore dei cap. Morozzo :
«venni portato al posto di medicazione situato in caverna già pieno di feriti e posto in una barella fuori il combattimento era cannettato ente impegnato ma io non sentivo che il frastuono confuso mentre un caporalmaggiore di sanità stava affacciando me la seconda ferita irruppero nella caverna gli austriaci semisvenuto vendete trasportato dagli stessi granatieri portaferiti per ordine di un ufficiale austriaco al posto di medicazione nemico e poi aprire le scale appresso una sezione di sanità»
Monte Cengio Zona Sacra
Dei 6000 Granatieri che erano giunti in zona Cengio il 22 maggio del 1916, la notte su 4 giugno riparavano sul Monte Paù circa 1300 superstiti. Quando questi, pochi giorni dopo, sfileranno nuovamente per le strade di Marostica, la popolazione incredula allibita rimarrà convintamente in attesa di una seconda colonna. Composta di morti, feriti e prigionieri, essa era rimasta lassù, sulle balze del Cengio, tra Tresche e Cesuna . Le perdite complessivamente registrate dalla brigata granatieri di Sardegna, dei reggimenti di fanteria 211°,212°, 154°,142° e 144°, oltre ai militari di altre armi, fra il 29 maggio e il 3 giugno compreso furono il seguenti : ufficiali morti 51, feriti 112 ,dispersi 77; militari morti 1098, feriti 2482, dispersi 6044 per un totale di 10.264 uomini si deve alla fede, al patriottismo e alla tenacia dei Granatieri e delle popolazioni Vicentine se ricordo degli eroi del cengio e stato noi tramandato sulla terra che fu teatro di una delle più sanguinose battaglie del fronte Tridentino. Il Cengio è stato dichiarato il 27 giugno del 1967 sono SACRA
Chi era Carlo Stuparich
Carlo Stuparich (Trieste 1894 – Val Silà 1916) fratello di Giani Stuparich , dopo aver frequentato il Liceo ginnasio comunale di Trieste. All’entrata in guerra dell’Italia, con il fratello e Scipio Slapatersi presentò alla caserma del 1° rgt. Granatieri a Roma, per contrarvi l’arruolamento volontario. Con essi fu inoltrato al fronte, nel Monfalconese, dove affrontò le prime due battaglie dell’Isonzo come soldato semplice; divenuto sottotenente della Milizia territoriale, trascorse un periodo di forzata inattività sulle montagne soprastanti il Garda, per rientrare al fronte ancora tra i granatieri, prima nel settore Oslavia – San Floriano, poi sull’altipiano di Asiago. Qui, nelle giornate convulse della Strafexpedition, rimase isolato con il plotone affidato al suo comando nella Val Silà, sulla strada che conduce a Forte Corbin; vistosi circondato, caduti quasi tutti i suoi uomini, alla cattura preferì spararsi un colpo di rivoltella alla tempia. Il corpo rotolò in una sottostante dolina, nella quale riposò per tre anni finché il fratello non poté ritrovarlo e seppellirlo dapprima a TreschèConca,e infine a Trieste,dove riposa nella tomba di famiglia. Alla sua memoria, venne conferita la medaglia d’oro al valor militare.
«Nobilissima figura tempra di soldato, volontario dall’inizio della guerra, si votò con entusiasmo alla liberazione della terra natia. Comandante di una posizione completamente violata, di fronte a forze nemiche soverchianti, accerchiato da tutte le parti, senza recedere di un passo, sempre sulla linea del fuoco animò e incitò i dipendenti, fulgido esempio di valore, finché rimasti uccisi e feriti quasi tutti i suoi uomini e finite le munizioni, si diede la morte per non cadere vivo nelle mani dell’odiato avversario.» — Monte Cengio, 30 maggio 1916.
«Qui, faggi, carpini, noccioli e, sotto gli arbusti, fra il muschio, zone fragranti di mughetti. In questa conca silenziosa, alle pendici del Cengio, su cui passano le nuvole e, dopo uno scroscio di pioggia, appare per un momento il sole, ha vissuto le sue ultime ore mio fratello Carlo. Il pensiero che mi riconduce a quello che Carlo visse in quei momenti è intenso, ma non è cruccioso: cerco intorno e dentro a me stesso, mi raccolgo, rivivo. Tutte le volte sono sceso di lassù con l’animo fatto più semplice e chiaro.» Giani Stuparich
Questa volta sono qui per descrivere un evento che chi , come me , semplice montanaro o semplice escursionista ne va fiero , non sono ne accompagnatore ne guida , sono solo istruttore di trekking abilitato , ma questo conta poco davanti a qualcosa che si fa per passione vera, salire sull’Ortigara lo possono fare tutti , ma prendersi il tempo per alcune riflessioni su questo luogo unico e sacro non è ne da tutti ne per tutti , si ho detto sacro , perchè su ogni metro di terreno si calpesta una macchia di sangue versato nelle sanguinose battaglie che hanno reso celebre questo arduo monte dalle forme strane e deformato dalle granate e bombardamenti.
Salgo qui da quando ero bambino Terra Sacra agli Alpini , avevo 10 anni la prima volta, conservo ancora un ricordo di mio padre che mi cercava quando il salivo le rocce dietro la chiesetta , ho portato su molte persone qui , ogni volta con emozioni diverse , ma quando le riesci a leggere negli occhi dei tuoi amici ,queste emozioni si amplificano e diventano ancora più grandi, salire qui senza comprendere parte di ciò che è successo non è la stessa cosa Grazie Lucio , Barbara , Erminio…e a tutti quelli che nel tempo sono saliti con me.
…PER NON DIMENTICARE , E PER FARE SAPERE…
Aggiungo la famosa frase di Gianni Pieropan che definisce meglio tutto questo :
Tutto può sembrare semplicemente scontato , dal decidere cosa, come e quando ce voluto poco , ma il dove l’ho deciso io , ma non perchè sia più bravo e migliore degli altri perchè conosco zone in cui le emozioni diventano cose concrete tanto che certe volte viene difficile trattenere una lacrima di commozione e stupore per quelle vite spezzate a vent’anni , e come impresso nella lapide di adolfo Ferrero che di anni anche lui ne aveva solo 20
Monte Ortigara- Monte Caldiera – Monte Lozze – un full immersion tra panorami mozzafiato e Storia….passo lento, quasi ad accompagnare quel silenzio, d’oro , qualche battuta, poi ci si ferma , occhi tesi a catturare testimonianze , qua e là di una guerra sanguinosa, che ivi si è consumata, testimonianze che si mischiano con spettacolari scorci, di panorami stupendi, intorno a noi. Luciano ci guida , con naturalezza , in un ambiente che, si vede, gli è familiare ; ci fermiamo e lui ci legge qualche riga del libro che ha portato, scritto da chi quella guerra, in quel posto, l’ha vissuta davvero….
Grazie a Lucio , Erminio e Luciano per questa emozionante avventura
Barbara
Un’esperienza troppo emozionante per racchiuderla in 30 foto Ortigara Grazie Luciano
Lucio
TRAMA
Siamo sul fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani. Nel film il racconto si svolge nel tempo di una sola nottata. Gli accadimenti si susseguono sempre imprevedibili: a volte sono lunghe attese dove la paura ti fa contare, attimo dopo attimo, fino al momento che toccherà anche a te. Tanto che la pace della montagna diventa un luogo dove si muore. Tutto ciò che si narra in questo film è realmente accaduto. E poiché il passato appartiene alla memoria, ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento.
Riflessioni Personali
Questo film , girato sulle nostre montagne narra il peso della vita in trincea con i pidocchi , freddo e bombardamenti a cui sono sottoposti i soldati nel periodo bellico 1915-1918 , soldati che avevano vent’anni , una giuventù che ha coperto con il sangue questi luoghi che non sto qui ad elencare , tanti essi sono , torneranno i prati … si i prati sono tornati ma quei soldati che non sono tornati hanno lasciato qui il loro sangue e la loro vita , a loro va il mio massimo rispetto , di chi ha combattuto per la libertà , e come riporta la frase sul piazzale lozze dell’Ortigara
Testimonianza e simbolo d’ogni umana sofferenza , queste sacre cime ricordino quanto ardua sia la conquista della pace . Gianni Pieropan
…Per non dimenticare e per far sapere….
Qui sotto ci sono alcune foto scattate sul set cinematografico , presso la Val Giardini di Asiago , dove la trincea usata come set è ancora li .
Come Raggiungere
Si sale attraverso la strada della Valdastico dopo essere usciti a Piovene Rocchette per chi sale da Vicenza , si supera l’abitato di Lastebasse e si Raggiunge Località Nosellari imboccando la strada per il lago di Lavarone per poi proseguire fino ai Gionghi , li si può lasciare l’auto e proseguire a piedi per circa 2 km , su una carrareccia che porta presso la località Magrè , oppure si può salire fino alla località Magrè e salire a piedi riducendo di molto il percorso.
Drago di Vaia
Questa scultura di legno, è la più grande d’Europa ed è il simbolo della rinascita dei boschi del Triveneto, colpiti dalla terribile tempesta Vaia dell’ottobre 2018. Il legno utilizzato proviene infatti dagli alberi caduti a causa del forte maltempo di quel periodo. Il Drago Vaia è stato realizzato, tra ottobre e novembre 2021, dallo scultore di Asiago Marco Martalar, all’interno del progetto Lavarone Green Land. L’opera, con i suoi 6 metri di altezza e 7 metri di lunghezza, è costituita da 2000 pezzi di legno della tempesta Vaia e da 3000 viti.
Lo Scultore
Marco Martalar Scultore del legno e artista del bosco , dove passo la maggior parte del tempo per creare e farmi ispirare.Gli alberi , gli animali , il silenzio , il fuoco e la natura ancora selvaggia, per me linfa vitale dove la mia arte trae nutrimento.
Il legno della scultura infatti non è trattato e con il tempo deperirà per l’effetto degli agenti atmosferici. Perciò, cambierà forma e, tramite la decomposizione, andrà a formare nuovo humus per i boschi. Gli alberi sradicati dalla tempesta saranno quindi nutrimento per altri alberi e contribuiranno a renderli più rigogliosi.
Quando sono arrivato sul grande prato che lo ospita mi sono emozionato , la quantità di persone era fuori dalla mia immaginazione , Persone sedute sul prato a godersi il sole l’aria, persone che passeggiavano , bimbi che giocavano. Lui era lì fermo come quando lo avevo lasciato, come quando lassù io e lui in solitudine stava nascendo, ora invece circondato da centinaia di persone, il tutto senza caos gente rispettosa con la voglia di toccarlo o fare una foto, è stato bello. Marco Martalar
Tempo di percorrenza del sentiero solo andata : 3h10
Dislivello totale : 1020 m
Quota massima raggiunta : 1300 m
Sì prende la strada che da Bassano del Grappa porta verso Trento , ovvero la Valsugana , superato la Tagliata di Forte Tombion , il luogo più stretto della valle , si imbocca la strada che porta ad Enego , appena superato il ponte di può lasciare l’auto e di prosegue a piedi verso l’abitato di Piovega di sopra.
Descrizione
Si sale qualche centinaio di metri fino a trovare un bivio a sinistra che scende leggermente fino ad una contrada in cui e presente un capitello . Se inizia a salire a sinistra del capitello , per il prato fino ad incrociare per la prima volta la strada asfaltata che sale , si attraversa notando il segnavia sul lato opposto , la si attraverserà ancora un paio di volte prima di raggiungere l’abitato di Enego , anche se questa nn e la destinazione . La mulattiera e molto bella ed in buone condizioni anche se presenta alcuni movimenti sui sassi mossi dovuti a una tempesta qualche anno fa , giunti al bivio che porta a Enego si mantiene la destra , continuando salire per il sentiero sempre ripido che porterà a quota 1300 di Rifugio Tombal , tutto il percorso e molto bello anche se richiede una buona preparazione fisica del resto si parte dalla Valsugana , si raggiunge il rifugio posta al di sotto mentre sulla sinistra si può notare la Casera Tombal . Questo percorso come del resto il 791 veniva usato per il trasporto del legname a valle e per permettere al bestiame di raggiungere la zona di alpeggio estiva , il rientro dev’essere fatto dallo stesso percorso , per chi invece più preparato fisicamente dopo essere rientrato fino ad a Enego attraverso il sentiero 868 , seguendo le indicazioni può scendere dal 791 che porta fino alla Valsugana dove si passa per la famosa Birreria Cornale posta sulla ciclabile che porta da Bassano del Grappa vero Trento.