Si sale a Forno di Zoldo , raggiunto il bivio che porta a passo Cibiana si può lasciare l’auto , oppure sul posteggio davanti il palazzetto di Hockey , appena imboccata la strada si nota sulla destra il segnavia del sentiero.
Descrizione
Il sentiero 491 , parte a quota 820 m su un boschetto a ridosso delle abitazioni , per poi salire in un primo tratto di faggetta , mentre gradualmente inizia ad inerpicarsi un pò più velocemente verso la Val della Casera, poco usato , infatti nella parte iniziale presenta il tratto prativo con erba abbastanza alta , si sale a mezza costa anche se risulta ancora ampio e abbastanza piano , la visuale verso Zoldo alto ed il Civetta , ed il Pelmo lo rende fantastico , si prosegue con panorami meravigliosi quando il bosco regala spazi liberi in cui ammirare il tutto , il sentiero si stringe e prosegue in un crinale dove destra in lontananza si vede la strada , si restringe ancora camminando quasi su un crinale strapiombante anche se ricco di piante , si raggiunge il Col a Vèent mentre si può ammirare in lontananza e dall’altra parte della valle in località le Boccole , l’Insonnia , locale tipico della Zona , si prosegue con alcuni tratti un pò più esposti ma dove il panorama merita di essere ammirato , si transita inoltre in una fontana di acqua incredibilmente fresca e dissetante , il sentiero qui ha ripreso quota e la sua larghezza in questi pianori dove il sottobosco sembra incantato si passa per il Parer dal’agre ed in località Fagarè a circa 1045 m , si raggiunge cosi a breve la Casera del Mugiòn , dove incroceremo il bivio del sentiero 490 che sale da Pontesei . Il sentiero ricominci di nuovo a salire anche se non in maniera ripida ed esposta , anzi regala un meraviglioso sottobosco , anche alcuni passaggi molto belli , per poi iniziare un pò più pendente dopo il passaggio in un canalino fluviale , raggiungendo poi un bellissimo ponticello in tronco , che attraversa un torrente si sale ancora , ma si inizia a sentire il profumo di qualcosa di buono che nella sua semplicità viene cucinato nel rifugio Casera di Bosconero 1457 m, proprio sotto al Sasso di Bosconero , un luogo unico in cui ristorarci , mente e fisico . Un luogo che merita l’appellativo “Rifugio”. Dopo una sosta ad ammirare un panorama mozzafiato sia davanti al rifugio che nella maestosa parete del Sasso di Bosconero situato alle spalle del rifugio , torniamo indietro per un centinaio di metri e raggiungiamo un bivio , dove prenderemo il 485 per Casera de Zot , il sentiero sarà da prima un pò pendente , poi entrerà di nuovo nel bosco verso la Casera dove affiancheremo la stessa scendendo attraverso la valle per raggiungere la bellissima cascata , dove un bagno ai piedi sarà di ristoro , proseguiremo poi attraverso il sentiero , che con alcuni saliscendi ci porterà a laghetto delle streghe , un piccolo laghetto in un posto quasi magico e fantastico , proseguiamo per il sentiero fino a raggiungere Casera del Mugon e rientrare nel 491 che ci riporterà a Forno di Zoldo ripercorrendo a ritroso il cammino del mattino.
Si sale a Cortina D’Ampezzo e si prosegue verso Dobbiaco , raggiungendo così la località Carbonin , al bivio nel villaggio Croda Rossa prendiamo la strada per il lago di Misurina, poco dopo aver imboccato la strada sulla destra troveremo un ampio posteggio in cui lasceremo l’auto . Si può raggiungere questo luogo sia anche da Auronzo di Cadore passando per il lago di Misurina , oppure da Dobbiaco .
Descrizione
Il sentiero parte poco lontano dal villaggio Croda rossa , salendo verso Cortina D’Ampezzo , si imbocca il sentiero 37 che fa parte anche dell’altavia n°3 , che costeggia ed usa una strada che porta al Rifugio Vallandro ed al Forte omonimo ,la salita non presenta difficoltà ed è praticabile da tutti , molto bello il sottobosco ed il panorama incredibile sia sul versante della Croda Rossa D’ampezzo che sul gruppo del Cristallo nel versante Trentino , parte del percorso è sulla carrabile e parte in sentieri che accorciano la distanza , senza grosse pendenze si raggiunge il rifugio Vallandro 2040 m , raggiunto il rifugio ed ammirato lo splendido scenario che si apre sia sulla prateria di Prato Piazza e la grandezza immensa della Croda Rossa e la vastità del Gruppo del Cristallo , sulla Cresta Bianca , sul Circo del Cristallo , lo spigolo della Cresta di Costabella conosciuta anche con il nome Schönleitenschneide , ed la Val Prà de Vecia che nel periodo bellico 1915-18 sono stati teatro di sanguinosi combattimenti , dal fianco del rifugio si sale su un sentierino in costa che permette panorami nella valle di grande bellezza con alcune postazioni di osservazione verso quello che fu l’antico confine austroungarico , qui la salita è un pò più impegnativa , ma abbastanza corta fino ad entrare il un ampio prato adibito al pascolo , diviso dal sentiero che sale fino al monte Specie 2307 m , la distesa prativa non la si può nemmeno descrivere , la bellezza di questi territorio la rende incredibilmente fantastica , raggiunta la cima la visione sulle Tre cime di Lavaredo , il Monte Piano e Piana con il sentiero dei pionieri che sale dal Lago di Landro , l’immensità della Croda Rossa , in questo panorama che spazia Gruppo del Cristallo fino alle Tofane , mentre sul basso le praterie di Prato Piazza completano un’incredibile panorama , si scende prendendo il 40A, verso la Malga di Prato Piazza dove è possibile anche mangiare qualcosa , proseguiamo con il 40A poi verso l’hotel Croda Rossa e Prato Piazza , da lì prenderemo il sentiero 18 che scende verso località Carbonin , passando ai piedi della Croda Rossa e imboccando la Val dei Chenòpe , che non presenta difficoltà tecniche , se non in un piccolo tratto più ripido , molto bella ed appagante con una piccola cascatina , si scende abbastanza velocemente e si arriva alla casa Cantoniera dismessa per poi entrare nel canale fluviale attraversandolo per salire sulla ciclabile che ha sostituito l’antica ferrovia che portava a Dobbiaco, percorrendo circa 3km si raggiunge il punto di partenza , esiste un altro punto di salita per il sentiero 34 che sale dal Lago di Landro ma risulta molto più lontano dal punto di vista del rientro , anche se di poco , sale da Val Chiara dove la zona presenta anche numerosi postazioni e baraccamenti del periodo bellico.
Cenni storici
Alla vigilia dell’apertura delle ostilità il generale Nava, comandante della 4° armata, dando ai comandi di due corpi d’armata da lui indipendenti le direttive d’azione per i primi atti di offesa, indicava come primi obiettivi da raggiungere sul fronte del cadore ; uno la presa di possesso dell’intero massiccio del Monte piana ; due le ha prese in possesso della conca di Cortina d’Ampezzo entrambi questi obiettivi erano nella zona del primo corpo d’armata al comando del generale Ragni . Il comando del corpo d’armata rispose di non ritenere possibile l’occupazione dei due obiettivi. Riguardo al monte Piana e il suo infatti prevedeva che non sarebbe stato possibile sistemarsi stabilmente perché efficacemente battibile delle artiglierie austriache, soprattutto da quelle del codice Specie e del Monte Rudo, confidava, tuttavia che neppure l’avverario avrebbe avuto la possibilità di stabilirsi qualora le artiglierie italiane da campagna e da montagna, sostenute da adeguati contingenti di fanteria avessero avuto il tempo di appostarsi lungo il fronte col Sant’Angelo Misurina malga di rimbianco forcella Longeres, così da portar controbattere efficacemente il tavolato superiore del Monte. Riguardo la conca di Cortina D’Ampezzo, il comando del corpo d’armata prevedeva gravi difficoltà per occuparla, mentre rilevava il valore inestimabile di tale occupazione . In realtà molte furono le incertezze che accompagnarono queste prime operazioni di guerra del Cadore scrive in generale Faldella. Orientato ad applicare procedimenti ossidionali per superare le fortificazioni nemiche il generale Nava non vide in quei primi giorni di guerra l’utilità di azioni condotte rapidamente e di sorpresa, che potevano conseguire successi, facilitando l’ulteriore sviluppo delle operazioni. Nelle direttive che emanò il 7 Aprile, il generale Nava vietò di prendere iniziative e si riserbo ogni decisione circa l’opportunità: di prevenire nemico su alcuni punti di capitale importanza per le successive operazioni il generale Cadorna intervenne, sebbene in ritardo, per evitare che la quattro armata rimanesse del tutto inoperosa, in attesa del parco d’assedio , e il 22 maggio fece spedire, a quella sola Armata, il telegramma numero 215 contenente l’ordine di imprimere alle operazioni ” spiccato vigore cercando di impadronirsi al più presto possibile posizioni nemiche oltre il confine, necessaria ulteriore sviluppo operazioni ” il generale Nava diciamo allora, alle 13:30 del 23 maggio un ordine stupefacente premesso che il nemico avrebbe potuto disporre di grandi forza, avvertì che nelle operazioni tendenti a sorprendere l’avversario occorreva essere “avveduti e cauti “. Secondo lui, l’occupazione della conca di Cortina avrebbe potuto: “trarre un mal esito delle operazioni “. I comandanti di corpo d’armata dovevano meditare su tale considerazione, far conoscere il loro parere e proporre, a ragion veduta, gli atti di prima offesa che, al loro giudizio si possono meglio compiere senza incorrere sui più gravi rischi punto il comandi di corpo d’armata ricevettero questo ordine 8 ore prima dell’inizio delle ostilità quando già le truppe avrebbero dovuto essere pronte a trapassare le frontiere . I comandanti, invece di spingere ad agire di sorpresa, dovevano meditare e proporre punto i risultati corrispondono alle premesse e furono deplorevoli.
Un giudizio altrettanto severo sarò dell’operato dei generale Nava nei primi giorni di guerra e formulato dal generale Fadini:
Il generale Nava comandante della quarta armata italiana destinata ad irrompere in Val Pusteria, non si muoveva e soprattutto non sapeva che pesci pigliare nel giro di poche settimane sarà tra i primi è senz’altro il più illustre tra i silurati di Cadorna ma intanto “è lentissimo e titubante e nonostante le energie fisiche esortazioni del comando supremo dimostra scarso spirito offensivo il suo vecchio timore dei responsabilità” .
A proposito del telegramma del 22 maggio di Pieri commenta :
Sembra che il Cadorna intendesse l’occupazione mediante colpi di mano, degli elementi avanzati degli sbarramenti nemici come il Col di Lana e Sasso di Stria , ed il Son Pauses . Ma simili colpi di mano non erano affatto “in conformità delle direttive dell’aprile 1915” che anziché gli sconsigliavano . Ne il Nava, nei due comandanti di corpo d’armata ritennero possibili .Comunque nè il Cadorna ne i suoi sottoposti pensavano che si potesse, all’apertura delle ostilità girare per alto gli sbarramenti e penetrare in tal guisa profonda nel territorio nemico. Inazione italiana meraviglio anche l’avversario infatti generale Krafft Von Dellmensingen comandante dell’AlpenKorps tedesco annota sul suo diario “apprendo che il nemico non ha intrapreso finora nessun ,nulla di serio. Si vede che non sa cogliere il suo vantaggio”. Il 27 maggio il comando supremo, constatato “che il nemico non è in grado o almeno non intende di contrastare seriamente la nostra avanzata” diramo l’ordine di guadagnare con un primo balzo il maggior terreno possibile:
Conviene qui e approfondire di questo stato di cose …occupando subito quelle posizioni oltre il confine, la cui conquista , quando il nemico avesse il tempo di portarvi adeguate forze , costerebbe a noi grossi sacrifici… Aspettando per operare con decisero offensiva , che tutti i mesi per vivere e combattere siano perfettamente organizzati, noi rischieremmo di dover ben presto consumare quei mezzi per conquistare obiettivi ,che oggi potremmo raggiungere senza colpo ferire.
Quest’ordine determinò l’avanzata delle truppe a passo Tre Croci e sulla Val Boite al’altezza di Zuel conquistando anche la conca di Cortina , interessante ricordare che tali occupazioni furono precedute da un’audace esplorazione del Sottotenente Matter 55°Fanteria ,questo partito da Misurina il 26 maggio verso il Passo Tre Croci, abbatte il cippo di confine e raggiunge il passo , lo trova sgombro e quindi ritorna a Misurina con un lungo canocchiale sequestrato sul piazzale antistante all’albergo.
Il giorno seguente 27 maggio mentre il resto della compagnia occupa i Tre Croci e SonForca scende a Cortina con una pattuglia e trova sgombrata dagli austriaci c’è già il 20 maggio avevano ritirato tutte le autorità militari e si limitavano a inviare, di notte, qualche pattuglia da Fiames e da Son Pauses. Va a cercare le autorità del paese e invita il capo del Comune e Decano ad accompagnarlo a Tre Croci . Qui li presenta il maggiore Bosi, il futuro magnifico eroe del piana comandante del battaglione, il quale in breve colloquio dà assicurazione che, qualora non vengano fatte rappresaglie contro le truppe occupanti, sarà rispettato ogni persona e ogni cosa ed invita a rientrare a Cortina. Nel pomeriggio del giorno successivo e durante tutto il 29 maggio il grosso delle truppe italiane occupa tutte le conca Ampezzana risalendo lentamente da Acqubona e Zuel .
Fonte : La guerra in Ampezzo e Cadore- Antonio Berti -Mursia
Si sale da Cortina verso il Passo Falzarego , dopo alcuni km si incrocia il bivio con il passo Giau , lo si imbocca e si sale fino ad incontrare una stradina sterrata sulla sinistra con un cartello indicativo da dove parte il sentiero che sale verso i Lastoi , presso la località Ponte Peziè de Parù . Si lascia l’auto e si prosegue a piedi.
Descrizione
Questo percorso ad anello molto bello e panoramico , si sale attraverso il sentiero 434 che parte da una stradina a Ponte Peziè de Parù 1512 m , subito fin dall’inizio sale ripido in una stradina forestale molto ripida , il sentiero mostra nonostante la folta vegetazione scenari visti già ma da angolazioni molto diverse , il bosco è incantato , un sottobosco incredibilmente bello , il sentiero non molla mai fino a raggiungere la quota di 1876 m , dove troveremo dapprima il Cason del Formin , e un primo bivio che sale con il 437 dal Ponte de Recurto , qui noi cambieremo sentiero imboccando il 435 che ci fa entrare nella Val de Formin , divenendo anche meno ripido , mentre il 434 porterebbe direttamente al lago di Federa e al Rifugio Croda da lago Palmieri 2046 m attraverso la Val Negra . Proseguendo sul 435 , lo stesso si inerpica in tratti ancora boschivi e si iniziano a vedere la creste della Croda , iniziando con le Ciadines , poi Croda Bassa da Lago , mentre il sentiero prosegue tra massi detritici di notevoli dimensioni ed ancora qualche tratto boschivo , per poi uscire definitivamente dal bosco e salire su alcuni ghiaioni con discreta pendenza , raggiunta la quota 2300 circa appariranno nella loro vastità i Lastoi del Formin con scenario che varia dal lunare dei Lastoi a distese prative di un verde incredibile , si sale ancora calpestando queste pietre erose dal tempo , che fanno vedere scenari non visibili in altri luoghi , mentre in lontananza si individuano le creste dei Lastoi , la Ponta del Giau , il Gran Diedro ed infine più in alto e lontano la Ponta dei Lastoi del Formin a 2657 m , , mentre leggermente più a sinistra lo Spiz de Mondeval 2512 m , mentre noi raggiungeremo la forcella Formin 2463 m , una pausa per ammirare l’enorme bellezza e grandezza di questo luogo , da perdere gli occhi nel vedere la distesa prativa subito sotto alla Forcella , si scende ora sempre dal 435 per raggiungere forcella Ambrizzola 2274 m , dove diversi sentieri saliranno a raccordarsi con il nostro , ora da forcella Ambrizzola imboccheremo il 434 attraverso una mulattiera , con a destra una prateria dedicata al pascolo del bestiame ,passando sotto le Creste della cima Ambrizzola e la Croda da Lago , un paradiso che ricolma in quel lago di Federa a fianco del Rifugio Palmieri Croda da Lago 2046 m un luogo dove il tempo pare si sia fermato e la mente potrà vagare in quelle praterie che non conoscono il tempo , una sosta magari per il pranzo e d’obbligo anche se poi la mente da li non vorrà più scendere . Si costeggia il lago imboccando il 431 anzichè il 434 che porterebbe in poco tempo a quella mulattiera ripida dopo il Cason del Formin , mentre il 431 scende meno ripido e porterebbe fino al rifugio Lago D’Aial , si scende abbastanza dolcemente in un sottobosco incantato con alcuni tratti un po più pendenti , superando anche la palestra di roccia del Becco D’Aial , e a pochi minuti si raggiungera un bivio non segnalato a sinistra , mentre a destra prosegue il 431 , si imbocca a sinistra su una stradina forestale che ti permetterà di raggiungere la ciclabile ovvero il 406 e poi in circa 25 minuti , il bivio con il 434 , dove tenendo la destra e superato il ponte avremo chiuso l’itinerario e raggiunto Ponte Peziè de Parù 1512 m, un bellissimo ed unico percorso nel suo genere , nella sua bellezza e varietà di scenari che avremo incontrato in questo nostri viaggio.
La leggenda di Merisana
Nella Val Costeàna c’è una collina che un tempo si chiamava Col de la Merisana. Poco lontano vi scorre il Ru de ra Vèrgines, Torrente delle Vergini. I vecchi ampezzani raccontavano che avesse quel nome perché abitato dalle Ondine, abitatrici di acque e boschi, che sul mezzogiorno d’estate uscivano dal ruscello. La loro regina si chiamava Merisana e la sua sovranità si estendeva da monte Cristallo fino alle montagne azzurre dei Duranni. Gli alberi si chinavano e le ubbidivano, le onde si abbassavano quando si avvicinava a riva, aveva un grande potere ma era infelice: il pensiero che vi fossero sulla terra infinite creature sofferenti e non poterle aiutare rattristavano il suo cuor pietoso. Accadde che il Rej de Ràjes (il Re dei Raggi) del regno dietro l’Antelao si fermò un giorno presso il torrente e gli parve di sognar ad occhi aperti scorgendo, per un solo istante, il dolce viso di Merisana. Passò un intero anno col pensiero di quel “sogno”, finché non ne parlò col re dei Lastojères che gli disse che non era un sogno ma sarebbe bastato andar a mezzogiorno per vederla. Così riuscì a conoscerla e parlarle e dopo solo sette giorni le chiese di sposarlo. Lei rispose ch’era ben felice di farlo, ma non poteva celebrar nozze finché ci fossero stati al mondo tanti infelici: prima avrebbe dovuto trovar modo di render tutti lieti. Nessun uomo avrebbe dovuto bestemmiare, né le donne lamentarsi, né i bimbi piangere, né gli animali soffrire. Il re si consultò coi suoi saggi ma non era fattibile. Dovette tornar indietro a chieder di rinunciare o limitare il desiderio. Merisana allora chiese che valesse almeno per un giorno, ma il re le fece comprendere che nemmeno questo era possibile. Merisana si rassegnò a limitare ancora la richiesta -il mezzogiorno è l’ora che più mi piace. A mezzogiorno ci sposeremo e almeno per un ora tutti saranno felici: uomini e animali, alberi e fiori!- Il re non poteva chiedere di più, così mandò notizia a uomini, animali, alberi e fiori che il giorno dopo ci sarebbero state le nozze del Rèj de Ràjes con Merisana e ogni pena sarebbe stata alleviata. Tutti si rallegrarono e per gratitudine le piante fecero sbocciare i fiori più belli e uomini e animali li raccolsero per portarli a lei. Fiori e le fronde furono così tanti che non si sapeva più dove metterli, così due nani della montagna li raccolsero e fecero un albero, il làrice. L’albero non aveva però vigore vitale, così Merisana si tolse il velo da sposa e lo posò sopra l’albero che inverdì e fiorì. Il larice è un albero strano. È una conifera ma i suoi aghi non sono sempre verdi e in autunno ingialliscono e cadono come le foglie dei latifogli. Questo accade perché è un albero formato da piante d’ogni specie. Quando in primavera il larice si desta dal sonno invernale è facile distinguere attorno ai suoi rami, rivestiti di teneri sottilissimi aghi, il tessuto lieve del velo da sposa di Merisana.
Tempo di percorrenza del sentiero : 3h15 Da Cesuna 4h Da Campiello
Dislivello totale : 350 m
Quota massima raggiunta : 1233 m
Come Raggiungere
Questa linea , come avevo già descritto nell’Anello Campiello-Monte Paù -Zovetto -Val Magnaboschi-Monte Lèmerle , è possibile prenderla da Campiello il tratto tratteggiato , sulla strada che porta a Tresche Conca , ma si può anche salire da Cesuna , e volendo si sale anche in auto fino al Zovetto , ma vi invito ha lasciare l’auto in basso , vicino ai due cimiteri e salire dapprima sullo Zovetto , e poi sul Monte Lèmerle , la lunghezza di questo itinerario si aggira sulle 3h30-4h , con poca difficoltà di dislivello.
Riflessioni
Ho dovuto fare un post solo per scrivere , sintetizzare e riassumere l’importanza ed il grande sacrificio di sangue versato su queste posizioni , quasi inesorabilmente dimenticate da chi pratica il semplice escursionismo , ma l’importanza di questi siti , parla solo percorrendoli e qui vi voglio informare per approfondire , Campiello , Monte Paù , Monte Zovetto , Val Magnaboschi , Monte Lèmerle , certo , anni di guerra non si possono documentare in poche righe , ma qualcosa si deve dire su questa linea che ha bloccato agli austroungarici di scendere sulla pianura Veneta.
Cenni storici
Nella zona di Cesuna gli italiani andarono a schierarsi fra il monte Lemerle, il monte Magnaboschi, il monte Pau e il monte Zovetto. Qui i reparti, disorganizzati e non pratici del terreno, riuscirono incredibilmente a resistere ad un ulteriore tentativo di affondo austriaco. Le brigate Granatieri (1° e 2° reggimento), Forlì (43° e 44° reggimento fanteria), Trapani (144°, 149° e 150° reggimento fanteria), Modena (41° e 42° reggimento fanteria), Udine (95° e 96° reggimento fanteria) e Liguria (157° e 158° reggimento fanteria) ressero l’urto sebbene il pericolo di uno sfondamento si presentasse imminente a più riprese. Riporta Gianni Pieropan nel suo libro Le montagne scottano: “Quando il giornalista Giuseppe De Mori si riaffacciò sullo Zovetto, stando a fianco dello stesso generale Papa (comandante della brigata Liguria che aveva tenuto la linea dello Zovetto), esso gli apparve bruciato, sconvolto, tutto un terriccio giallo ed un pietrame grigio, seminato di cadaveri e gemente di feriti, una visione tragica e nel contempo sublime, perché da quelle buche, da quei crepacci, da quelle trincee di cadaveri si vedevano emergere gli elmetti dei Fanti e le canne dei lori fucili, rari, ma impavidi e intrepidi”. A testimonianza di questi fatti d’armi, in loco, ancora oggi, sono ben visibili i monumenti dedicati a questi reparti.
Monte Zovetto
Il zovetto regala un panorama unico nella conca di Asiago , il Monte della brigata “Liguria”, qui gli uomini guidati dal gen. Achille Papa , che aveva voluto tenacemente quella difesa anche a dispetto dello scetticismo di alcuni superiori, seppero realizzare su una delle alture più brulle spoglie della zona un autentico miracolo. Dopo una serie di azioni di pattuglie della sottostante Val Canaglia, condotte nei giorni 7 ed 8 giugno 1916, a partire dalla preparazione di artiglieria del 13 fino a tutto il 16 i soldati della “Liguria” arrestarono ogni urto da parte della 68°brigata di fanteria Austroungarica . Lo fecero potendo contare solamente sulle trincee scavate da loro stessi, con scarso supporto di artiglieria, senza rancio caldo e dovendo affrontare sempre più espedienti tattici da parte degli abili avversari e perdendo alla fine quasi 2000 uomini. Nonostante la conquista della Casara Zovetto, il pronto intervento dei reparti di rincalzo consentirà di contenere l’assalto Austroungarici precludendo loro la possibilità di sfondare le ridottissime linee della “Liguria” e di dilagare in Val magnaboschi. La giornata chiave del 15 giugno viene così descritta dal cap. Valentino Coda :
“ora di austriaci hanno adottato una nuova tattica. Senza sospendere né rallentare il fuoco di artiglieria, le fanterie a piccoli drappelli, a sbalzi periodici di poche decine di metri si spostano obliquamente verso le ali di di ogni nostra ridotta, tentando di accerchiare le posizioni che sono valse a rompere l’attacco frontale. Siffatta manovra impone ai difensori un raddoppiamento della vigilanza: bisogna alzare la testa oltre agli ultimi scherm,i sollevarsi di tutte le spalla, imbracciare il fucile, far fuoco, il che significa lungo andare, essere sfracellati da una granata. Quando tuona così tremendo il cannone, istinto fa sì che anche gli uomini più coraggiosi si rannicchino in fondo ai ricoveri, ma i difensori dello Zovetto non hanno più nulla di umano.“
La trincea del Zovetto faceva parte della linea di rinforzo italiana , con la funzione di collegare , la zona di Campiello con Cesuna , val Magnaboschi ed il Monte Lèmerle , questo tratto di trincea recuperato permetteva con postazioni di mitragliatrice di sorvegliare la Val Magnaboschi , oltre ad essere utilizzate come osservatorio di artiglieria.
Già nell’aprile del 1917 giunsero in Italia dal Regno Unito i primi gruppi di artiglieria per sostenere i nostri attacchi sul Carso. Dopo la sconfitta italiana sull’Alto Isonzo ed il ripiegamento del nostro esercito sulla linea Altopiano-Grappa-Piave, che venne inviato in Italia un Corpo di Spedizione britannico oltre a 6 divisioni francesi. Tali truppe vennero tenute lontano , nel timore che un ulteriore crollo da parte italiana potesse coinvolgerle, soprattutto sul piano morale. La tenuta dei nostri reparti sull’intero arco difensivo e la ripresa offensiva realizzatasi con la prima battaglia dei Tre Monti convinsero i nostri alleati della volontà del nostro esercito di proseguire il conflitto. Divisioni inglesi e francesi cominciarono quindi a dare il cambio alle nostre unità più provate, prima sul Montello e quindi proprio sull’Altopiano dei Sette Comuni. Qui, nel settore compreso tra l’abitato di Cesuna e la strada del Barental, dalla fine del mese di marzo 1918 venne schierato il XIV Corpo d’Armata, al comando di Lord Cavan, che comprendeva la 7°, la 23° e la 48° Divisione. E proprio la 23° e la 48° Divisione nel giugno 1918 affrontarono la Battaglia del Solstizio fronteggiando l’assalto dei reparti ungheresi della 38° Divisione Honvéd. Nonostante alcuni cedimenti locali davanti a Cesuna, nel settore della 48a Divisione, l’intervento delle artiglierie italiane schierate sul nodo del Cengio e un deciso contrattacco inglese consentì di respingere l’assalto austriaco. Il 9 ottobre la 73° e 23° Divisione vennero inviate sul Piave dove; nel corso della Battaglia di Vittorio Veneto, diedero un decisivo contributo allo sfondamento delle Iinee austriache. Sull’Altopiano rimase la 48° Divisione che nell’offensiva finale, assieme ai reparti italiani e francesi, si lanciò all’inseguimento degli austriaci sino alle porte di Trento.
Val Magnaboschi
La zona di combattimento e cimiteriale di Val Magnaboschi rappresenta certamente per i fanti italiani quello che il Cengio simboleggia per i Granatieri e quello che l’Ortigara ha finito col significare per gli Alpini. Essa è diventato il sacrario naturale del sacrificio della nostra fanteria sull’Altopiano dei Sette Comuni, come testimonia anche la colonna romana postavi a ricordo nel dopoguerra. Gli eventi bellici che ne consacrarono tale significato coincisero con la fase determinante e conclusiva dell’offensiva austriaca della primavera del 1916, nota nelle fonti italiane come Strafexpedition (Spedizione punitiva). Perduto il nodo del Monte Cengio ed annientata la resistenza della Brigata Granatieri il fronte italiano, per decisione del Gen. Rostagno, impressionato da quanto in precedenza accaduto, si era ritirato dietro il profondo intaglio della Val Canaglia e correva sulle alture di Monte Paù-Monte Zovetto-Monte Lemerle per proseguire poi verso il Kaberlaba ed il Torle. La Valle di Magnaboschi veniva così a costituire l’immediata retrovia e la principale via di collegamento di questi improvvisati capisaldi. Fu naturale che essa divenisse, a partire dal 6 giugno 1916, il principale obiettivo del 1° Corpo d’armata austro-ungarico, anche perché il suo comandante, il Gen. Kirchbach auf Lauterbach, non ritenne opportuno affrontare l’ostacolo della Val Canaglia e puntò decisamente sul centro del nuovo schieramento italiano. Oltre quella valle si prospettava, comeun miraggio, la vista della pianura veneta e la possibilità della sua conquista. Lo stesso comandante d’Armata, l’ungherese Gen. Kovess von Kovesshaza, vide nell’occupazione della linea Lemerle-Kaberlaba-Sisemol la premessa indispensabile per la caduta di Monte Paù, l’ultimo pilastro occidentale dell’Altopiano prima dello sbocco al piano. Fu così che nei giorni successivi prima la 32° e quindi la 33° Divisione italiana di fanteria dovettero difendere, sostenute dalla poca artiglieria che stava salendo a fatica sull’Altopiano, l’urto della 34° Divisione austroungarica. La sera del 16 giugno 1916 gli austriaci sfondarono in Val Magnaboschi, oltre la Casera, nel punto di collegamento della Brigata Liguria con la Forlì: due compagnie della Brigata Liguria furono accerchiate e catturate costringendo i comandi superiori ad arretrare la Brigata sul Magnaboschi abbandonando lo Zovetto. La resistenza italiana era stata comunque tale da provare i reparti austriaci al punto da impedire loro di sfruttare il momentaneo successo.
Così descrive uno momenti maggiormente rischiosi il comandante la Brigata Forlì:
“Si apre al nemico un più facile ingresso per la selletta di Magnaboschi, però tappato con un battaglione del 214°, giunto nella mattinata in rinforzo al 43°. Il nemico tenta di forzarlo, dopo violenta preparazione di fuoco il 17, ma provvidenziale un altro rinforzo arriva in quel momento al comandante del 43°: il battaglione del 214° col comando di reggimento. I due battaglioni vengono lanciati al contrattacco. Eroico contrattacco, fieramente guidato dal comandante di reggimento Boncolardo, e dai due comandanti di battaglione Boschetti e Poggesi.”
La 34° Divisione austroungarica tra il 15 ed il 16 giugno ebbe a contare 243 morti e 1313 feriti mentre le perdite della 33° Divisione italiana assommarono a 234 morti, 868 feriti e 647 dispersi. La valle venne così ad accogliere le spoglie dei caduti italiani ed austriaci, come accoglierà quelle dei caduti del Corpo di Spedizione britannico che qui venne schierato dalla primavera del 1918 e che ebbe modo di dare il suo decisivo contributo all’arresto dell’offensiva austriaca sull’Altopiano durante la Battaglia del Solstizio. Nel dopoguerra la creazione dei due cimiteri , in cui le sepolture degli uomini dei Reggimenti dell’Oxfordshire e del Buckinghamshire, cosi come dei fucilieri del Northumberland e dei fanti del Gloucester erano di fronte a quelle dei fanti delle Brigate “Liguria”, “Trapani”, “Arno” e “Forlì”, visitati oltretutto dallo stesso re d’Inghilterra, costituì un fatto di assoluto rilievo nell’elaborazione di una memoria collettiva non solo nazionale e divenne un importante elemento nelle buone relazioni tra i due paesi.
Selletta e Monte Lèmerle
La vita nelle trincee costruite dava l’idea di buche fatte alla meglio , giusto per ripararsi , che consentivano una grama esistenza se non solamente una soppravvivenza agli attacchi , soprattutto quando queste venivano costruite sotto il fuoco dell’artiglieria nemica o subito a ridosso del punto di attacco. Dopo l’offensiva è l’arretramento delle truppe austroungariche , queste linee furono ricostruite dal Genio e la differenza si vede come siano fatte ccon logiche di progettazione e secondo alcuni standard , tesi a garantire la sicurezza dei difensori , una buona visuale di tiro , e non ultima dare una condizione di vita perlomeno migliore di una buca piena di terra. Il corpo Britannico che subentrò agli italiani continuo la sistemazione in questo senso.
Bunker inglese sul Lèmerle
Le divisioni britanniche avevano al loro interno un battaglione di pionieri che venivano usati per la creazione di trincee , ripari , baraccamenti per le truppe e postazioni varie , il bunker non era altro che il posto di comando dei pionieri 9°South Staffordshire rgt, che realizzo buona parte delle opere assieme alla 23° divisione , tra Cesuna e la strada del Barental (strada dell’orso) che porta da Asiago a Bassano del Grappa .
Cima Lèmerle
Questa cima che ora è quasi completamente coperta dal bosco , svolse nella strafexpedition un ruolo importante fungendo da fulcro con il monte Kaberlaba e Torle , collegando la val Magnaboschi allo Zovetto e a Passo Campiello , a partire dal 6 giugno fino al 18 giugno 1916 , venne attaccato dagli austroungarici la 34°divisione del Banato di Temesvar , e battuto da tre brigate di artiglieria campale e dal raggruppamento di artiglieria pesante Janecka . Tra le forze italiane invece l’appoggio dell’artiglieria era scarno , e nonostante i pochi trinceramenti riuscirono a resistere fino all’attacco del 24°rgt fanteria di Czernoviz , ma fu subito dopo riconquistato in contrattacco da due battaglioni di Bersaglieri , gli altri sforzi da parte degli austroungarici di sfondare la linea difensiva italiana sono stati vani , sul Lemerle e sulla cresta combatterono soprattutto i fanti della brigata Forlì 43°e 44° rgt , il Gen. Franchi loro comandante riporta così:
“Dieci giorni e dieci notti di eroismo e di sacrificio avevano vissute quelle valorose truppe , in un continuo inferno di fuoco e di sangue , in una continua tragedia di lotta e di morte ,con privazioni di rancio, con le labbra spesso riarse della sete e dalla febbre, prive di sonno e di riposo; nessuno, nessuno ebbe il pensiero alla fuga, alla disperazione, all’esonero.“
Si sale verso località Sesto , sia che si passi da Auronzo oppure si salga direttamente a Sesto , evitando cosi di passare sia per Cortina d’Ampezzo che da Auronzo di Cadore e il lago di Misurina , raggiunto l’abitato di Moso si prende la Val Fiscalina fino a raggiungere un ampio posteggio a pagamento dove lasceremo l’auto e proseguiremo a piedi verso il Rifugio Fondovalle . Oppure direttamente a Sesto da Sappada senza così passare ne da Cortina d’Ampezzo, ne da Auronzo , accorciando notevolmente i km in auto.
Descrizione
Questo percorso è ideale per tutte quelle persone che amano il trekking , non occorre essere alpinisti , ma ovviamente si tratta di Dolomiti , e le quote sono severe , i cambiamenti metereologici altrettanto , premesso questo si tratta di un sentiero ad anello che permette di visitare un sito di interesse internazionale , patrimonio dell’UNESCO , anche se io preferisco paradisi molto meno affollati , ricordo che il posteggio è a pagamento , un percorso tra i più belli per salire al Rifugio Locatelli Innerkofler 2405 m , si parte dal Rifugio Fondovalle 1548 m, il sentiero poco difficile e molto variegato , presenta passaggi molto belli nel suo primo tratto boschivo per poi salendo sempre privo di difficoltà su tratti rocciosi per poi culminare sull’Alpe dei Piani con gli omonimi laghetti . Il tracciato sale su un terreno sassoso, ma piacevole in mezzo ad una vegetazione molto variabile , dai mughi alle pinete di abeti ,transitando sul lato destro di un piccolo torrente, mentre man mano che si sale si allontana dallo stesso nel punto in cui la pendenza inizia un pò ad aumentare senza mai divenire ostica e difficile, raggiungendo questo tratto si potrà notare la cascata proprio a ridosso del boschetto, dove anche la pendenza si farà un pò più severa e sulle cengie circostanti si ammirerà la Cima Fiscalina e la Cima dell’Uno mentre giusto davanti si vedrà la croce de Paterno 2746 m. All’uscita del canalone a circa 2025 m lo scenario cambia ancora divenendo fatto di rocce e mughi, dove apparirà davanti la Torre di Toblin e il Sasso di Sesto teatro di cruente battaglie alla baionetta, per poi infine raggiungere il tratto prativo a ridosso dell’Alpe dei Piani , dove uscirà anche la sagoma delle Tre Cime di Lavaredo e il Rifugio Locatelli Innerkofler 2405 m. Una breve pausa , per poi proseguire proprio sotto al Monte Paterno , che per me conserva dei ricordi di gioventù quando con la divisa degli Alpini salii le sue rocce fino sulla Croce di vetta , mentre il coro della Cadore ineggiava signore delle cime , si prosegue attraverso il segnavia n°101 , con un ultimo dislivello di circa 150 metri fino a Forcella Pian di cengia , lo spettacolo che si vede non lo si può minimamente descrivere, l’Alta Val Fiscalina la maestosa Croda Dei Toni 3090 m , la Forcella Giralba a 2431 m , La strada degli Alpini EEA , e la busa di Dentro che porta a Cima del Poperà 3046 m , la Cresta Zsigmondy e sullo sfondo dopo la forcella Undici , lei La croda Rossa di Sesto, si prosegue sul sentiero fino a raggiungere il Rifugio Pian Di Cengia 2528 m. , in quel piccolo pianoro del Pian di Cengia con punta Fiscalina , si inizia a scendere ma lo scenario toglie il fiato , fino a raggiungere il Rifugio Zsigmondy-Comici 2224 m. Si continua a scendere imboccando il n°103 che porterà fino al Rifugio fondovalle chiudendo così l’anello , portando a casa emozioni inspiegabili , anche se non a tutti comprensibili.
Cenni storici
Valle Sassovecchio
La notte del 27 agosto una compagnia di Alpini , una di Bersaglieri ed un plotone di Genieri , partono per un azione nella Valle Sassovecchio , passano sotto le posizioni austriache vicino i laghetti dei Piani , dopo aver tagliato i filo spinato sorge l’alba e non riescono procedere, la colonna viene bersagliata dal nemico dispergendosi tra i mughi mentre nella notte riescono a raggiungere la cascata del Rio. Nelle prime ore del 28 un plotone raggiunge sotto la cima dell’Una e le creste dell’alta val Fiscalina bloccando un reparto avversario , distrugge i reticolati , disturbando il nemico che stava lavorando in trincea , un’alpino avanzando cautamente a carponi attraverso i massi riuscendo a ghermire la piccozza del comandante nemico… La colonna tenta ancora ad avanzare supportata da una batteria da campagna posizionata sulla Forcella Pian di Cengia ed un pezzo posizionato sulla Forcella Camoscetto , ma nn riesce a sostenere il tiro delle batterie austriache , anche se la lotta risulterà vana , l’avversario e praticamente invisibili . La notte del 30 vengono raggiunti da un’altro plotone si prova ad inviare pattugli per stanare il nemico , ma risultano vane , conosce troppo bene le zone e snidarlo è impossibile di giorno i cecchini , i movimenti vengono visti e di notte il riflettore posizionato sulle Grande della Lavaredo sorveglia tutta la zona. Riescono ad occupare un torrione roccioso che verrà trasformato in un caposaldo avanzato chiamato Totenkopf dagli austriaci , Testa di Morto . Nel novembre del 15 gli austriaci decidono l’attacco per eliminare il caposaldo divenuto una fortezza al comando da un Tenente Bavare del Leibregiment ,tre esperti scalatori ed una squadra di Standschutzen . L’attacco e nella notte complice la nevicata e l’oscurità , mentre la foschia copre i loro movimenti, il tenete tedesco raggiunge la scala interna è mentre inizia la salita scorge due occhi nel buio , è un alpino , una lotta furibonda mentre l’alpino viene spinto nel burrone ma prima di cadere riesce a dare l’allarme , gli italiani occorrono e gli austroungarici sfuggono nel buio , trascorse alcune ore il tenente austriaco mentre dorme sulla tenda viene svegliato da un soldato per i continui lamenti , certamente era l’alpino caduto, il tenente ha ancora davanti gli occhi dell’alpino e non esita ad uscire per vedere di cosa si tratta, vede l’alpino con gli occhi chiusi che ogni tanto alza la mano ed invoca la mamma. Anche gli italiani sentono i lamenti e si organizzano per recuperarlo. L’ufficiale tedesco parte tentando di raggiungere l’alpino, in questo momento guerra ed odio non esistono più , i cauti movimenti dell’ufficiale si avvicina al ferito :
Davanti al tenente , il soldato giaceva inerme con il viso contratto dal dolore No questo soldato nn è più il nemico , il tenente lo solleva delicatamente con le braccia e lo trasporta con passo deciso e tranquillo verso le linee nemiche a pochi passo dalla posizione italiana guarda l’alpino, i suoi occhi non erano più timorosi , ma profonda gratitudine . Un giovane era davanti a lui irrigidito nel saluto con voce alta disse “Grazie Camerata Tedesco”. L’ufficiale italiano accompagna il Tenente Tedesco verso la linea nemica arroccata sulla cresta Rocciosa , si arresta fece il saluto rimanendo con gli occhi fissi quasi a proteggerlo fino a quando nn rientra nelle proprie linee .
Fonte storica tratta dal Libro “Guerra in Ampezzo e Cadore” Antonio Berti , A cura di Tito e Camillo Berti , edizioni Mursia
Val Fiscalina
l’8 giugno 1915 una compagnia di Alpini sale ed occupa con un plotone il passo Fiscalino , le Crode Fiscaline ed anche il Pulpito senza trovare resistenza si spingono con una pattuglia verso il Rifugio Zsigmondy-Comici lo trovano sgombro , verso le 20 si vedono alcuni grossi pattuglie austriache salire verso Forcella Giralba con alcuni colpi di artiglieria vengono dispersi e costretti a retrocedere , nel frattempo pare da alcune voci che gli italiani abbiano già occupato sia la Lista che il Rifugio Zsigmondy-Comici, così mandano Innerkofler , Piller e Rogger a controllare , salgono quindi a cima Undici ma il maltempo continuo gli impedisce di vedere bene ma in alcuni squarci riescono ad raccogliere dati sulle posizioni italiane. Nello stesso giorno nella testata della Valle si scontrano 2 pattuglie italiane con 2 austriache , inseguendole e mettendole in fuga , tre morti e tre gravemente feriti tra gli austriaci. Il giorno 9 gli Alpini occupano la forcella Cengia collegandosi cosi con gli altri che già presidiavano la zona del Passaporto . il 10 una pattuglia di alpino s’imbatte in una austriaca che sta salendo da Moso , 5 morti e gli altri si disperdono. L’11 gli alpini avanzano fino ad occupare la Lista cosi da sorvegliare l’intera zona , verso sera molti movimenti austriaci che trasportano materiali in direzione della terrazza ovest di cima Undici. Il 12 giugno l’eliografista alpino scorge un austriaco dal Pulpito che segnala attraverso l’alfabeto morse ” siamo completamente circondati dal nemico ci occorrono rinforzi ” , l’alpino fa fuoco colpisce il soldato austriaco , altri due occorrono ma cadono anche loro.
Il 24 giugno partono dall’albergo dolomiti 2 pattuglie con due rispettive guide Innerkofler e Forcher , il primo con l’incarico di portare la sua pattuglia oltrepassando la base della Lista 2413 m verso le rocce della Cresta Zsigmondy , si sale in notturna verso le ore 3 la pattuglia inizia le rocce della Cresta con la luna piena portandosi poi sulla Mitria 2788 m, per poter vedere gli italiani sulla Lista 300 metri più bassi . Mentre Forcher con la sua pattuglia sarebbe salito ancora una volta sulla cima una per poter controllare la Croda Fiscalina . La pattuglia di Sepp Innerkofler inizia a sparare sugli alpini che subito nn hanno capito cosa stesse accadendo, poi si sono messi a colpi di artiglieria verso gli austriaci , Sepp fu schivato di poco , arriva un secondo colpo a circa 10 metri sopra la pattuglia , ma austriaci si sono messi al sicuro le granate arrivano a circa 6-8 metri da loro . Allora Sepp chiese al tenete di proseguire lui solo per poi vedere se possibile anche gli altri . Saltando giù nel canalone una granata scoppia poco lontano dalla sua testa , comincia il fuoco di fucileria, venne la nebbia e potremmo finalmente muoversi , scendendo poi dal Vallon del Popera . Nel frattempo un grosso pattuglione austriaco è riuscito verso l’albeggiare a raggiungere le guardie italiane attestate sull’alta val Fiscalina , colte a fucilate furono costrette a ritirarsi abbandonando armi , munizioni e ferito.
Si sale dal Costo di Asiago , superato l’abitato di Tresche Conca si prende a destra verso Cesuna imboccando poi Via Magnabosco si raggiungerà l’ampio posteggio di Via Vecchia Stazione a Cesuna di Roana , da li si parte a piedi per la nostra escursione.
Descrizione
L’escursione è molto facile ed ideale per tutti , si sale lungo una piccola mulattiera , in un bosco molto fitto , dove sono posizionate alcuna tabelle che descrivono la zona ed alcune opera scultoree di legno , fatte dagli scultori Marco Pangrazio e dal suo collaboratore Giovanni dal Sasso, che permettono di sedersi e riflettere per mantenere vivo il ricordo di quella notte in cui Vaia compi il suo disastro , anche se qui il danno si deve dire sia stato contenuto , non come successo nel Passo Vezzena oppure sulla Piana di Marcesina , si sale lungo un bosco fantastico fino a raggiungere la cima del Monte Lemerle teatro di aspri combattimenti , considerato il monte dei fanti , la brigata Forlì 43°e 44° rgt , il Gen. Franchi riporta così:
“Dieci giorni e dieci notti di eroismo e di sacrificio avevano vissute quelle valorose truppe , in un continuo inferno di fuoco e di sangue , in una continua tragedia di lotta e di morte ,con privazioni di rancio, con le labbra spesso riarse della sete e dalla febbre, prive di sonno e di riposo; nessuno, nessuno ebbe il pensiero alla fuga, alla disperazione, all’esonero.“
Proseguendo ed iniziando a scendere , si raggiunge il bunker Inglese che fu posto di comando del 9°Staffordshire rgt , dove una copia del fregio Inglese ne conferma la sua provenienza , alcune sculture ne abbelliscono la cruda realtà del cemento , si raggiunge poi un altro bivio che riporta un’ulteriore tabella ed alcune sculture fino a raggiungere poi la selletta del Lemerle , con le postazioni di mitragliatrice che guardano verso il fondo della valle , si raggiungerà poi il Sacello dedicato a Sant’Antonio e San Girolamo , mentre sulla sinistra salendo ancora qualche centinaio di metri si potrà vedere la Colonna Romana che fu il punto ci fu la massima penetrazione dei soldati austroungarici , ed il Cimitero Inglese ed Italiano , poi si potra ridiscendere lungo la stradina asfaltata per completare questo piccolo anello , nel ricordo di chi ha perso la vita qui nel 1915-1918 , e per non dimenticare il disastro di Vaia.
Itinerario : Campiello –Monte Paù-Monte Zovetto- Monte Lemerle
Tipo di terreno : sentiero e mulattiera, sterrato circa 22 Km
Tempo di percorrenza del sentiero : 6h40
Dislivello totale : 729 m
Quota massima raggiunta : 1414 m
Come raggiungere
Si sale dalla strada del Costo di Asiago , dopo essere entrati nella Val Canaglia , superato il Passo Campiello , si raggiunge la fermata dell’ex trenino , si lascia l’auto e si parte a piedi.
Descrizione
Si scende da Campiello verso il cimitero Italo-Austriaco di Campiello , prendendo poi la strada forestale che sale nella malga Cerasana e Malga Roccolo per poi proseguire verso il monte Croce , passando per un piccolo sito di lancio con il parapendio , proseguendo sempre sulla strada si raggiunge in una curva , il sentiero 661 che porta prima a Monte Paù-Cima del Gallo 1417 m attraverso un sentiero esposto verso la fantastica conca di Arsiero-Cogollo del Cengio e Piovene Rocchette, per poi scendere attraverso la malga Gallo , ed attraverso il bosco distrutto da vaia e dal Bostrico che sta facendo strage di abeti rossi , si scende su questa desolazione fino a raggiungere il bivio che sale da Campiello (quella che non passa per il monte Paù )si mantiene la destra , imboccando a breve la Trincea del Monte Zovetto , dove incontreremo la linea fortificata delle trincee Inglesi , in un contesto in cui è facile comprendere l’importanza strategica di questo sito , e dove il panorama rimane unico nella zona , a poche centinai di metri si può raggiungere sia la Malga Zovetto che il rifugio Kubelek , da li riprendendo la strada si scende per circa 1 km e sulla destra si potrà vedere l’entrata del sentiero anche se non segnalato che porta nei due cimiteri di Magnaboschi quello Italiano ed Inglese , superati i cimiteri e la colonna romana , si arriva al piccolo Sacello di Sant’Antonio e San Girolamo, li si prende la stradina sterrata a destra che riporta la salita sul monte Lemerle passando per l’omonima forcella , si sale in un bosco che privo di visibilità al contrario del monte Zovetto , ma che è stato teatro di aspri combattimenti si raggiunge così il bunker Inglese che fu posto di comando del 9°Staffordshire rgt , dove una copia del fregio Inglese ne conferma la sua provenienza , si raggiunge dopo poco la cima del Monte Lemerle , considerato il monte dei fanti , la brigata Forlì 43°e 44° rgt , il Gen. Franchi riporta così:
“Dieci giorni e dieci notti di eroismo e di sacrificio avevano vissute quelle valorose truppe , in un continuo inferno di fuoco e di sangue , in una continua tragedia di lotta e di morte ,con privazioni di rancio, con le labbra spesso riarse della sete e dalla febbre, prive di sonno e di riposo; nessuno, nessuno ebbe il pensiero alla fuga, alla disperazione, all’esonero.“
Si scende poi verso la valle per raggiungere l’abitato di Cesuna , sul passaggio del trenino, per poi imboccare la ciclabile che ci porterà di nuovo alla Stazione di Campiello.
Si sale verso le Melette di Gallio e si procede verso Campomulo imboccando la strada per salire sull’Ortigara , fino a raggiungere un bivio a destra che scenderà sulla piana di Marcesina, entrando nella devastazione di Vaia , raggiunto un primo bivio che riporta il Rifugio Barricata , si svolta a sinistra e si prosegue fino a vedere l’Aquila in lontananza . Se invece si sale da Foza si deve percorrere tutta la Piana di Marcesina fino a raggiungere il bivio che si troverà a destra che porta al Rifugio Barricata . ( ricordo che la strada che porta alla piana di Marcesina da Campomulo è sterrata e poco manutentata ).
Dopo il grande Drago di Vaia , lo scultore Marco Martello Martelar compie un nuovo capolavoro, “Per me Il legno è il tramite, il ponte che lega arte, uomo e natura” alta 7 metri e lunga 5 metri , del peso di 1600 kg e circa 1800 viti , un’opera fantastica, situata in una zona in cui Vaia ha compiuto il disastro più beffardo , la Piana di Marcesina , forse uno dei luoghi più suggestivi e unici dell’altipiano , dove il Trentino si inerpica in quel cippo Anepoz dove le formelle di Austria e La Serenissima si incontrano nel maestoso è lungo sentiero dei cippi , la terra che fu confine , quel pezzo di terra dove Mario Rigoni Stern ha scritto quella famosa frase scalfita sul marmo dell’Albergo Marcesina :
“Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su una slitta tirata da un generoso cavallo per la piana di Marcesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero come sarebbe triste il mondo” Mario Rigoni Stern
Qui in questa piana resa un pò cupa e triste da questa immensa distruzione di Vaia , dove la minuscola Chiesetta di San Lorenzo appare come microscopica , nella vastità di questa piana che d’inverno raggiunge incredibili temperature di -35° , paludosa e verde , nella primavera ed estate , a pochi passi da quella sanguinosa battaglia dell’Ortigara , ora avrà un’Aquila che sarà un testimone del ricordo di quella notte in cui la tempesta Vaia , ha compiuto la sua devastazione , io da testimone l’ho potuto constatare mentre la notte di Vaia tagliavo piante sulla strada per il passo Vezzena , e dove la mattina si aprì un scenario apocalittico.
Lo Scultore ed il Drago
Marco Martalar Scultore del legno e artista del bosco , dove passo la maggior parte del tempo per creare e farmi ispirare.Gli alberi , gli animali , il silenzio , il fuoco e la natura ancora selvaggia, per me linfa vitale dove la mia arte trae nutrimento.
Il legno della scultura infatti non è trattato e con il tempo deperirà per l’effetto degli agenti atmosferici. Perciò, cambierà forma e, tramite la decomposizione, andrà a formare nuovo humus per i boschi. Gli alberi sradicati dalla tempesta saranno quindi nutrimento per altri alberi e contribuiranno a renderli più rigogliosi.
Quando sono arrivato sul grande prato che lo ospita mi sono emozionato , la quantità di persone era fuori dalla mia immaginazione , Persone sedute sul prato a godersi il sole l’aria, persone che passeggiavano , bimbi che giocavano. Lui era lì fermo come quando lo avevo lasciato, come quando lassù io e lui in solitudine stava nascendo, ora invece circondato da centinaia di persone, il tutto senza caos gente rispettosa con la voglia di toccarlo o fare una foto, è stato bello. Marco Martalar
Questa escursione , con i tempi e i dislivelli complessivi sono stati calcolati mantenendo una certa proporzionalità negli sforzi legati alla preparazione fisica , all’esperienza personale , non si tratta come il precedente post che tiene tutti i rifugi buoni percorrendolo in 4 giorni , mentre quello che cerco di spiegare qui , è che lo si può percorrere in tempi meno dilatati e usando solo due pernotti , ma nessuno impedisce di usare tutti i rifugi .
Questo è IL GIRO COMPLETO DELLE MARMAROLE . I tempi sono fattibili , certo volendo lo si può fare in meno tempo , ma se volete fare le gare , iscrivetevi a qualcuna , oppure fatelo come ho fatto io in 19h fermandomi solo ai rifugi per mangiare. buon cammino
Questo itinerario, non è un’escursione qualsiasi, è un cammino verso qualcosa d’inspiegabile, di quello che può “dare” la Montagna, alcune emozioni si potranno descrivere, altre rimangono nel cuore di chi lo percorre , non è una cosa impossibile da realizzare, ma quello che potrete raccogliere da questa escursione, farà parte delle vostre conoscenze e di Valori, che conserverete per le generazioni future, oppure riporrete in quel baule dei ricordi, dove conservate le vostre cose più preziose. Luciano
Il percorso delle Marmarole Runde, e un itinerario ad anello che compie un giro completo su questo fantastico gruppo che sono le Marmarole, situate nella parte alta di Belluno tra Auronzo di Cadore, San Vito di Cadore, Calalzo Di Cadore e Domeggie di Cadore. Il percorso si snoda in più tappe, poi ovviamente dipende dalla velocità di progressione, in ogni caso per godere appieno di questo fantastica escursione meglio farla in 2-3 giorni. Qui in questo post v’illustrerò tappa per tappa …di questo magnifico viaggio. Si parte da Auronzo Di Cadore per un viaggio nella natura , dove pare che tutto il resto si fermi nel tempo.
1° TAPPA : AURONZO DI CADORE – RIFUGIO CHIGGIATO
Punti di appoggio : Auronzo di Cadore 862 m- Monte Agudo 1585 m- Rifugio Ciarèdo 1969 m- Rifugio Baìon 1826 m – Rifugio Chiggiato 1911 m
Tempo di percorrenza: 6h – 8h
Dislivello totale: 1150 m
Quota massima raggiunta: 1988 m
Sentieri usati: 271-1262 -268 – 28 – 272 – 262
Dal centro di Auronzo si sale leggermente sulla ciclabile passando per la centrale elettrica situata sulla sinistra del torrente Ansiei , poco lontano dalle piste da sci e dalla seggiovia che porta al Monte e Rifugio Agudo 1585 m , attraverso i due tronconi si guadagna molto tempo salendo con la seggiovia , raggiunto il Rifugio si ridiscende leggermente verso il primo troncone , per poi entrare attraverso il bosco seguendo il segnavia n.271 , se invece si sale a piedi ricordo che la pendenza sia notevole e sia il punto più ripidi dell’intero tracciato , si sale attraverso il bosco e qualche tratto di pista da sci dove in estate viene installata la rotaia del fun bob , una salita molto bella ed affascinante sul cuore di queste montagne Cadorine che hanno sempre il suo perchè , un sottobosco in cui la natura e la vita primeggia . Il n.271 prosegue in un bosco incantato , superando tratti boschivi estremamente appaganti , con il sentiero che si fa spazio nelle sue ripide valli , per poi in cresta sulla Croda del Grazioso e raggiungendo così quota 1700 m, dove poi entrarà in una carrareccia con alcuni tratti di salita cementati , passando cos’ sotto le creste del Col Burgiou seguendo poi il segnavia n.1262 , dove si inizierà anche a vedere in lontananza il Rifugio Ciaredo , la carrareccia entrerà nei pascoli di Tabia Forzèla Bassa per poi raggiungere il Col dei Buoi 1802 m , imboccando il n.268 si sale ora verso il Rifugio Ciaredo 1969 m, ammirando la vastità dei pascoli della Valle ciampevieì , e del Pian dei Buoi , mentre sull’estrema sinistra si possono notare le fortificazioni di Col Vidal e Col Cerverà , si imbocca il n.28 che in circa 25 minuti porterà al Rifugio Ciaredo 1969, ai piedi della Cima Ciaredo . Si prosegue ora attraverso il n.272, un sentiero con poco dislivello che attraverso mughi e rocce sempre ai piedi delle Marmarole porterà al Rifugio Baion 1828 m molto bello ed accogliente con sculture in legno ed i suoi verdi pascoli, si prosegue per il n.262 , l’alta via del Tiziano costeggiando i piedi della Croda Bianca e del Cimon della Froppa , mantenendosi a quote intorno i 1900 m infatti il dislivello anche di questa parte di percorso risulta abbastanza lieve , si raggiunge un piccolo pezzo attrezzato da una corda in acciaio priva di difficoltà alpinistiche ma posta in loco per un’aspetto di sicurezza. Superato il vallon della Froppa in breve tempo si raggiunge la forcella Sacù ed infine il Rifugio Chiggiato 1911 m, situato in una piccola spianata dove lo scenario appare incredibile e salendo sulla Croda Negra si potrà ammirare il lago di Domeggie , mentre la visuale si disperde nella fantastica ed incredibile Val D’Oten , spaziando fino alla capanna degli alpini , e sulla forcella piccola il Rifugio Galassi ( ex caserma militare ) , e li al suo fianco il Re , sua Maestà Antelao 3264 m . Ma qui noi troveremo rifugio per passare la notte dopo una giornata con panorami mozzafiato ai piedi di quelle montagne poco rinomate , ma grazie a questo estremamente fantastiche. Le Marmarole .
2°TAPPA : RIFUGIO CHIGGIATO – RIFUGIO SAN MARCO
Punti di appoggio : Rifugio Chiggiato 1911 m- Capanna degli Alpini 1390 m-Rifugio Galassi 2012 m – Rifugio San Marco 1823 m
Tempo di percorrenza: 4h20 6h00
Dislivello totale: 1025 m
Quota massima raggiunta: 2120 m
Sentieri usati: 260 – 255 – 227
Dopo un sonno ristoratore e una buona colazione, sì riprende con la lunga discesa del percorso n.260 che ci porterà da quota 1911 m a quella del Pont de la Diassa 1140 m , entrando così nella fantastica e detritica Val D’Oten , qui si sale in una stradina chiusa al traffico dove nel periodo estivo esiste una navetta che porta le persona dal Bar La Pineta 1045 m( a circa 15 minuti a piedi dal bivio che scende dal Rifugio Chiggiato ) alla Capanna degli Alpini 1390 m , raggiunta la capanna d’obbligo visitare le Cascate de le Pile a circa 10 minuti dalla Capanna e sul sentiero che sale al Rifugio Galassi , si inizia a salire proseguendo con il n.255 per l’alta Val D’Oten dapprima in mezzo al bosco con una discreta pendenza , per poi uscire dal bosco e proseguire un primo tratto detritico della Valle , per poi salire attraverso in un zigzagare continuo tra rocce detritiche e mughi , mentre rimane discreto l’impegno di risalita attenuata dai numerosi tornanti , fino ad uscire dai mughi e attraverso alcuni passaggi detritici raggiungere il Rifugio Galassi 2013 m , al cospetto di Re Antelao ed i suoi incredibili lastroni , mentre sulla sinistra di potrà osservare in lontananza la via attrezzata della Ferrata del Cadorin nel Ghiacciaio dell’Antelao . Si prosegue salendo ora un altro centinaio di metri attraverso il n.227 che dapprima raggiungerà la Forcella Piccola 2120 m dove la visione panoramica sulla Valle di San Vito di Cadore è incredibile , poi si prosegue attraverso una discesa a cui bisogna prestare attenzione per non perdere la via , e soprattutto per l’instabilità dei detriti raggiungendo il Rifugio San Marco 1823 m, praticamente sulla Col da chi da Os in un paesaggio da favola , un vero rifugio , dove la simpatia ed l’accoglienza delle persone si vive davvero in prima persona , un rifugio una famiglia. Qui si potrà ammirare un scenario incredibile ai piedi del Re Antelao con i suoi lastroni , mentre sulla parte destra il Caregon del Padreterno ovvero il monte Pelmo dal versante del Rifugio Venezia , ed al cospetto dei strapiombi della via Attrezzata Berti del Sorapis . Una Buona cena ed un sonno ristoratore rinvigorirà muscoli e gambe , mentre il cuore porterà dentro ciò che l’occhio ha visto.
3°TAPPA RIFUGIO SAN MARCO – AURONZO DI CADORE
Rifugi di appoggio : Rifugio San Marco 1823 m – Auronzo di Cadore 862 m
Tempo di percorrenza: 6h307h30(6h San Marco-fermata autobus per rientrare con i mezzi)
Dislivello totale: 550 m
Quota massima raggiunta: 2255 m
Sentieri usati: 226– Strada Forestale ciclabile Riserva di Somadida– Val Del Rin
Si parte dal Rifugio dopo una buona colazione, imboccando il n.226 che sale verso la Forcella Grande 2255 m attraverso un stretto canalone che porterà su una forcella spettacolare , sul fianco destro la maestosa Torre dei Sabbioni , mentre sulla sinistra sopra i ghiaioni la Cima del Sorapis 3205 m e della Crode della Caccia 3002 m , si inizia a scendere per la valle di San Vido , qui la valle è molto ampia , si incrocia anche il bivio per l’Alta via N.3 segnavia n.246 e poi in seguito l’Alta via N.4 segnavia 247 sentiero Minanzio (che fa parte dell’anello del Sorapis) , continuiamo a scendere in questo scenario magnifico di mughi , alberi e quel torrente che pare giochi tra i sassi , si passa sotto la Cengia ed il Corno del Doge , dove una via attrezzata alpinistica ci ruota attorno , la discesa è abbastanza semplice e gradevole anche se la sua lunghezza è notevole , la valle si restringe e si passa in un pezzo un pò più complesso sotto il Ciadin del Doge , la valle si restringe tra pareti strapiombanti quasi da fare mancare il fiato , nel suo zigzagare dentro la Val del Fuogo , fino a raggiungere più in basso la Riserva Naturale della Foresta di Somadida , inutile descriverla …non ne saremmo mai capaci davanti questa bellissima e protetta oasi paludosa , si scende ancora fino a superare il Ponte degli aceri , poi il Ponte Piccolo e raggiungere cosi il Ponte degli Alberi , dove si potrà incrociare la strada 48 che porta ad Auronzo di Cadore mentre poco più avanti si potrà trovare la fermata dell’autobus che porta ad Auronzo .
Per chi invece vuole portare a termine questo bellissimo viaggio , può proseguire per la ciclabile costeggiando dapprima il torrente Ansiei e poi entrando nel fitto bosco di Socento , ssi prosegue raggiungendo quota 1018 m sulla destra si noterà una stradina sterrata che sale verso il Cason delle Regole e prosegue fino a raggiungere quota 1285 m , incontrando una bellissima radura Pian della Sera che poi discenderà a Tabìa vecelio Segate , poi successivamente a Casol del Rin , presso l’omonima Val del Rin dove li a poco si raggiungerà la trattoria La primula situata nella fantastica Val del Rin , li attraverso la strada asfaltata scenderemo fino ad Auronzo di Cadore , completando così il nostro incredibile e fantastico viaggio .
Il forte io l’ho trovato chiuso , ma credo che la sistemazione del Forte Monte Ricco doveva essere a mio avviso meno appariscente e più consona alle vicende ed fatti storici ed al periodo di costruzione così facendo si sarebbero magari avuto qualche fondo per mantenere anche questo sito in condizioni magari migliori… per non dimenticare e per far , sapere …Luciano
Come Raggiungere
Raggiunto Tai di Cadore dopo aver superato la Caserma Fortunato Calvi , si prosegue verso Pieve di Cadore , raggiunta la chiesa si scende fino a raggiungere un piazzale in cui spicca la sede del Soccorso Alpino , li si lascia l’auto per salire attraverso prima Via dell’Arsenale e poi Via Fortunato Calvi .Si sale in circa 20 minuti dapprima su strada asfaltata e poi su stradina sterrata fino a raggiungere il Forte Monte Ricco ed il suo incredibile panorama.
Cenni storici
Si tratta di una fortezza che sorgeva già molto prima del periodo bellico , nel XII secolo un Castello che venne risistemato con l’entrata del Cadore nella Repubblica di Venezia , venne poi successivamente modificato tra il 1982-1895 cambiandone la destinazione d’uso trasformandolo in Forte per proteggere la valle ed il territorio Italiano dall’Impero Austroungarico, divenendo cosi il Forte Ricco , anche se essendo troppo distante dal Fronte di attacco della Prima Linea venne poco usato . Nel 1917 venne occupato dalle truppe Austroungariche e successivamente fatto saltare , nella seconda Guerra Mondiale lo si voleva riutilizzare , ma le sue cattive condizioni non venne sistemato e totalmente abbandonato per la seconda volta.
Il Forte aveva un ampio fossato di gola di circa 6 metri di larghezza e 5 metri di altezza , con una controscarpa in muratura ed un ponte levatoio , il fossato era protetto da una caponiera con mitragliatrice, per l’armamento le batterie composte da 4 cannoni da 120mm in Ghisa e 4 pezzi a tiro rapido e alcune mitragliatrici Gardner mod.1886, aveva una guarnigione di circa 80 uomini , numerosi locali di servizio e una cisterna di raccolta acqua di 400.ooo litri , situata nel sotterraneo sulla destra del cofano di gola
Fu costruito per impedire al nemico di passare dalla stretta di Tre Ponti verso Pieve di Cadore e Tai di Cadore , in cui il nemico avrebbe avuto la strada libera per la Valle del Piave , ed attraverso anche la vicinanza del Forte Batteria Castello a circa 200 metri fungevano da sorveglianti sul passaggio del nemico in Valle .
Piccole riflessioni personali
Il forte è stato in parte ristrutturato ed in parte abbandonato a se stesso in alcune fasi di ricostruzione , e se ne notano evidentemente le condizioni, non sono certo io a giudicare il lavoro fatto, ma credo per rispetto dei morti e di chi ha combattuto per un’Italia libera non sia corretto il lavoro che è stato fatto su questo sito , ripristinare le opere in cui si possa intervenire è certamente cosa buona , ma trasformare qualcosa che dovrebbe essere ” per non dimenticare … e per fare sapere ” in un centro congressi con pavimenti laminati e termoconvettori oltre ad essere un dispendio economico anche un insulto a chi qui dentro a vissuto a pane ed acqua , ma questo è il mio modesto parere di semplice montanaro . Luciano