Dopo aver superato l’abitato di Auronzo si prosegue per alcuni km raggiungendo così su una semicurva l’imbocco della Val Marzon , si sale per qualche kilometro con l’auto e raggiunto un piccolo slargo si lasci l’auto e si prosegue a piedi .
Descrizione
Senz’altro uno dei più belli ed impegnativi sentieri, come del resto quasi tutti quelli che salgono dal versante Veneto verso le Tre Cime , che ricordo sono nel confine tra il Veneto ed il Trentino Alto Adige . Imboccato il cartello che segna la val Marzon , si sale ancora fino a trovare un area picnic , io ho lasciato l’auto li anche se il sentiero era ancora lontano , ma si può proseguire in auto ancora qualche km fino a raggiungere un piccolo posteggio a Cason della Crosera e il divieto di transito, da li parte il sentiero sulla destra , mentre a sinistra si può scorgere il 1104 quello che sale sul rifugio Auronzo 2333 m e le Tre Cima di Lavaredo, si imbocca il sentiero 1107 a quota 1250 m circa , si inizia a salire anche se con poca pendenza a fianco al torrente e su qualche ghiaione detritico causato dagli eventi atmosferici, raggiunto il Cason della cengia Bassa a quota 1602 m, il sentiero aumente notevolmente la pendenza, e percorre un canale molto stretto che sale tra le rocce e sassi detritici , si prosegue ancora con buona pendenza questo tratto e molto bello ed appagante fino a raggiungere il bivio con il 104 che parte dal Rifugio Lavaredo 2344 m ,passa sotto la Forcella Lavaredo e transita sotto la Croda Passaporto fino a raggiungere il Rifugio Pian di Cengia 2528 m. Il sentiero riprende con poca pendenza zigzagando su un terreno molto piacevole superando i laghi di cengia a quota 2324 m, per poi con un ultimo strappo attraverso la forcella Pian di Cengia , oppure la direttissima raggiungere il fantastico rifugio Pian di Cengia 2528 m , presentando un nuovo incredibile scenario che non e senz’altro descrivibile a parole. Il rifugio è sul confine tra il Veneto e il Trentino Alto Adige, è a gestione famigliare , dietroal rifugio si scorge la cima dell’Uno e la Cima Fiscalina , con il suo strapiombo verso il rifugio Fondovalle, e sui sentieri della Val Fiscalina e Valle Sassovecchio che salgono rispettivamente una dal Rifugio Comici 2224 m e l’altra direttamente al Rifugio Locatelli 2405 m.
Dopo essere salito a Cortina D’Ampezzo si prende per il Passo Falzarego 2105 m , oppure salendo direttamente da Agordo passando per il lago di Alleghe si imbocca la salita che porta al Passo Falzarego , molto meno trafficata è più corta se si vuole raggiungere solo il Passo.
Descrizione
Il sentiero dei Kaiserjäger parte davanti al museo dei Tre forti Val Parola molto bello , panoramico e con un terreno molto vario , presenta alcuni passaggi attrezzati, sale dapprima in un tratto prativo che porta dentro alle trincee di testa verso il Passo Falzarego esattamente, davanti al famoso Sasso di Stria , fulcro importantissimo e strategico delle forze austroungariche , superato un grosso groviglio di trincee e ricoveri, posizionati a vista verso il passo, il sentiero prende una salita ripida anche se con molti zig zag rendendola così più dolce fino ad arrivare ad un pezzo attrezzato con corda in acciaio, ed una passerella, si sale fino a raggiungere una postazione in galleria ristrutturata , posizionata poco sotto la Cengi Martini . La quota inizia a farsi importante, ed anche il terreno diventa più impegnativo, ma sempre molto panoramico ed incredibile passando sotto le cengie di quota fino a rientrare verso il Rifugio Lagazuoi attraverso le creste in un scenario quasi lunare .
Ritorno
Per il ritorno per il completamento di questo magnifico percorso museale a cielo aperto, rimane la galleria del Lagazuoi ovvero la Galleria degli Alpini che passa dentro il Lagazuoi e presenta una ricostruzione storica dei baraccamenti , feritoie e trincee fino a raggiungere in fondo alla valle il Passo Falzarego . Può essere usato per il rientro il 401 che passa attraverso la forcella Travenànzes, per poi attraverso il 402 si scenderè fino a raggiungere il Passo Falzarego . Altro sistema è quello di usare la funivia che porta direttamente al posteggio del Passo ,
Cenni storici
Il Sentiero dei Kaiserjäger prende il nome dai soldati austro-ungarici ovvero i cacciatori imperiali, originari principalmente del Tirolo , anche se non specificatamente truppe da montagna, ma hanno imparato presto a combattere in alta quota, venivano schierati dove c’era bisogno di truppe scelte, vista la loro tenacia e fedeltà alla monarchia.
Lo sbarramento difensivo austriaco nell’area del Lagazuoi era costituito da un sistema di trincee scavato sul passo Valparola, la cosiddetta postazione Vonbank da cui si poteva sorvegliare il Passo Falzarego ed i cui resti ben conservati si incontrano ancor oggi alle pendici del Lagazuoi, In quota vi erano da un lato le postazione sul Sasso di Stria , e dall’altro gli appostamenti sulla cengia del Lagazuoi saldamente in mano ai Kaiserjäger.
Il sentiero dei Kaiserjäger fu costruito dalle truppe austro-ungariche come accesso sicuro dal passo alle trincee austriache e alle postazioni in vetta per rifornire le truppe stazionate sul Lagazuoi di viveri, munizioni e combustibile pari al peso di ogni soldato. Per due anni e mezzo, i Kaiserjäger hanno risalito la montagna su questo ripido sentiero attraversando un ponte sospeso lungo ca. 10 m e alto 25 m.
Mentre gli Alpini occupavano la Cengia Martini nella parete sud del Lagazuoi e la trasformarono praticamente in una fortezza. Tutti i tentativi dei Kaiserjäger di stanare gli italiani da lì, fallirono. Nemmeno l’esplosione di quattro mine austriache sulla cengia diedero i risultati tattici sperati.
Cengia Martini
Tra il 18 e il 19 ottobre 1915 due plotoni di Alpini occuparono la cengia posta a metà della parete del Piccolo Lagazuoi. L’occupazione era stata preceduta da numerose ricognizioni notturne sul posto, attraverso un terreno roccioso molto aspro e difficile, nelle immediate vicinanze delle posizioni austriache. Così, sotto il comando del maggiore Ettore Martini, gli Alpini riuscirono ad occupare la Punta Berrino, lo spigolo roccioso che si protende in avanti a est dell’Anticima e a occupare e ad attestarsi sulla cengia che attraversa la parete meridionale del Piccolo Lagazuoi da ovest a est.
Questa cengia si rivelò essere una posizione privilegiata per colpire la postazione Vonbank austro-ungarica a difesa del passo di Valparola, una vera spina sul fianco degli Austriaci perché consentiva agli italiani di colpire dall’alto le trincee del passo.
Circa 140 uomini erano addossati su questa cengia dotandola di camminamenti, cucine, mensa, magazzino, telefono, stazione teleferica, posto di medicazione, fucina, falegnameria, fureria.
Oggi sono qui a scrivere una storia , anzi nn è la mia storia , ma la storia di qualcosa di grande , e qualcosa che non mi stanchero mai di dire , si io sono un montanaro vero uno di quelli che si ferma ai rifugi , ma si ferma con la consapevolezza del significato stretto di rifugio :
Rifugio : Riparo, difesa, protezione contro insidie o pericoli materiali o spirituali: dare, offrire r.; trovare r. all’estero; cercar r. nella preghiera.
Il rifugio Fraccaroli come pochissimi altri rifugi che si contano nelle mani , dimostra che non contano le stelle come negli alberghi , che se togli l’affetto , simpatia , accoglienza e calore , non rimane niente , solo quattro mura e un tetto , ma grazie a Dio il rifugio e fatto di persone , e sono solo loro a fare la differenza . Ringrazio le mie gambe e che mi permettono di salire , su questi luoghi incredibilmente sinceri e vivi dove si respira e si sente il profumo di umanità dove tutti siamo uguali , e tutti mantengono quel rispetto e umiltà che ci rende migliori , il montanaro lo sa , perche da montanaro crede ancora in queste cose , crede nelle persone , crede che tutto possa essere possibile , è un eterno sognatore anche se conosce molto bene la differenza tra il giorno e la notte , crede veramente che siano le persone a fare la differenza .
Voglio ringraziare la famiglia Baschera , certo dispiace molto , però da buon montanaro vero , condivido in pieno le difficoltà di gestire un rifugio di questi tempi , in bocca al lupo per tutto , grazie di tutto Luciano Cailotto
La storia
La Famiglia Baschera ha lasciato lo scorso fine settimana la gestione del Rifugio Mario Fraccarolia 2.230 metri sul livello del mare, 40 metri sotto Cima Carega: «Noi fratelli Baschera, non lo riapriremo più… Dopo 53 anni è giunta l’ora di cedere il passo ad altri», è stato il tono del post scritto sulla pagina Facebook del rifugio, accompagnato da poche righe: «Ci sentiamo in dovere di ringraziare tutte le persone che in questi anni sono passate a trovarci, condividendo con noi l’esperienza di questa montagna e di questo rifugio. Buona vita a tutti», è l’augurio conclusivo accompagnato da un cuore e dalla foto in bianco e nero di Carlo Baschera che a qualche centinaio di metri dal rifugio saluta l’edificio e i tanti amici.
«Tutto inizia e tutto finisce, ma sono sereno perché capisco che è venuta meno l’energia e sono cessati anche certi stimoli, ma so di poter fare ancora dell’altro e quindi cambio aria», è il commento di Carlo. Nelle sue parole anche l’ammissione di una stanchezza che non è solo anagrafica: «Mi veniva tutto troppo scontato e ho capito di non essere più quello che volevo essere, anche se mi riconosco dinamico, intraprendente e alla ricerca di nuovi stimoli e quando un luogo e una professione cominciano ad andarmi stretti guardo alla possibilità di cambiare», confessa, aggiungendo: «Il tempo mi dirà se avrò fatto la scelta giusta o sbagliata».
Salito al Fraccaroli quando aveva solo un anno di vita, ha passato tutte le estati a un palmo dal cielo: «e 50 anni così non si dimenticano», ammette. Oltre al rammarico di un addio a un posto unico, c’è anche lo sguardo disincantato di chi ha visto il cambiamento delle presenze alpinistiche in questi ultimi decenni: «Se una volta bastava un camerone condiviso e un piatto di minestrone con una bottiglia di birra, oggi la gente sale in montagna e si aspetta un ristorante, arriva a tutte le ore e pretende di trovare aperto. Una volta alle 22 calava il silenzio in rifugio, oggi ci sono le escursioni notturne per vedere il cielo stellato o la luna piena e poi le alzatacce alle 5 per vedere l’alba e i gestori dovrebbero essere sempre disponibili, di notte e di giorno, ma io non reggevo più questi ritmi, mi toglievano anche l’aria da respirare. Capisco di andare controcorrente, ma il rifugio non può trasformarsi in autogrill e tanti non lo capiscono».
Sono cambiati gli escursionisti, ma la struttura è rimasta la stessa: «Dagli anni Ottanta non ci sono più stati interventi strutturali importanti, sebbene le esigenze siano cambiate. Certo ci sono stati il nuovo impianto idraulico, i pannelli solari, la nuova teleferica, ma la struttura è rimasta com’era. Non abbiamo mai avuto un bagno riservato ai gestori e la mattina ci dovevamo mettere in coda con la ventina di ospiti per usufruire della toilette. Per una doccia con acqua calda abbiamo dovuto attrezzarci per conto nostro e sono cadute nel vuoto le richieste di poter chiudere la terrazza creando una veranda e ampliando i posti a sedere per i pasti. Il luogo è bello e lascia incantati, ma la struttura è ferma e meriterebbe più attenzione. Non ce ne siamo andati per questo», conclude Carlo Baschera, «ma certo non ci ha aiutato a trovare nuovi stimoli».
Dopo essere salito a Cortina D’Ampezzo si prende per il Passo Falzarego 2105 m , oppure salendo direttamente da Agordo passando per il lago di Alleghe si imbocca la salita che porta al Passo Falzarego , molto meno trafficata è più corta se si vuole raggiungere solo il Passo.
Descrizione
Questo percorso molto difficile in salita , ma uno dei più belli in questo gruppo montuoso ,permette panorami incredibili , circondato da alcune delle montagne più belle in assoluto , Tofane Averau e Nuvolau , Sasso di Stria , 5 Torri , teatri di grandi contese belliche del 1915-1918 . Si sale dal piazzale della funivia a Passo Falzarego 2105 m per il sentiero 402 , per poi sotto le rocce strapiombanti del Lagazuoi girare sulla sinistra ed entrare nel percorso della galleria dapprima transitando anche per la cengia Martini ed altre postazioni con un occhio di controllo verso il Sass de stria , postazione austroungarica di confine , si prosegue la salita dento in una galleria in cui è indispensabile la lampada frontale , recentemente risistemata e ricostruite alcune sue parti come da origine nel periodo bellico , non si può che rimanere impietriti da questa opera di grande impatto emozionale un opera di grande ardimento che porterà l’escursionista in quota al Lagazuoi , dentro aquelle trincee a cielo aperto in un panorama incredibilmente unico, tempo meteorologico permettendo , meglio se viene fatto in discesa , dopo essere saliti per il sentiero dei Kajsejager situato sul versante opposto partendo dal Forte di Val Parola ora adibito a museo .Per la discesa è anche possibile scendere dal 401 che parte da sotto il rifugio e scende verso forcella Val Travenànzes , una delle più belle e lunghe valli del panorama dolomitico , per poi rientrare sul 402 e raggiungere l’auto.
Cenni storici
Il Piccolo Lagazuoi fa parte della Catena del Fánis a ridosso della quale si apre la selvaggia e contesa Val Travenànzes: una delle porte che l’esercito italiano doveva sfondare per poter avanzare verso il Tirolo. Nei ventinove lunghi mesi fra il maggio 1915 e l’ottobre 1917 il Piccolo Lagazuoi rappresentava un importantissimo baluardo che sbarrava il Passo Falzarego ed il sottostante Passo di Valparola e fu fortemente conteso dagli eserciti opposti che martoriarono la montagna con caverne difensive, gallerie di mina e postazioni per l’artiglieria. Fra le varie opere belliche realizzate, c’è la tortuosa Galleria del Piccolo Lagazuoi, un’opera che sfocia nello straordinario villaggio aggrappato alla roccia della famosa Cengia Martini . Ai piedi della montagna, poi, vi si contrappone la sottostante postazione Vonbank con le sue sei potenti linee di reticolati.
La galleria, come d’altronde tutto il museo all’aperto, è oggi percorribile grazie ai lavori di ripristino da parte degli Alpini e dai soldati austriaci e tedeschi in una sorte di comunione nel voler mantenere vivo il ricordo di questa atroce guerra.
Durante il corso della prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1917, il Lagazuoi fu teatro di aspri scontri tra le truppe italiane e quelle austroungariche , che costruirono complesse reti di tunnel e gallerie scavate all’interno del Piccolo Lagazuoi e tentavano a vicenda di far saltare in aria o di seppellire le posizioni avversarie con il metodo della guerra di mine.Tra il 18 e il 19 ottobre 1915 due plotoni di alpini occuparono alcune posizioni sul versante sud del Piccolo Lagazuoi, tra le quali una sottile cengia ribattezzata Cengia Martini in onore a Ettore Martini , che attraversa la parete da ovest a est ed era strategicamente importante, mentre le posizioni austro-ungariche si trovavano sulla sommità del monte. Per cacciare gli avversari da queste posizioni, fortificate e scavate nella roccia, gli austriaci fecero esplodere tre mine, la più potente delle quali il 22 maggio 1917 fece saltare in aria una parte della parete alta 199 metri e larga 136. Nonostante ciò, le posizioni italiane sulla cengia non vennero abbandonate. A loro volta gli italiani scavarono una galleria di duecento metri di dislivello all’interno della montagna, fino all’anticima del Piccolo Lagazuoi; il 20 giugno 1917 fecero brillare sotto di essa 32.664 chili di esplosivo e successivamente, attraverso la galleria, occuparono ciò che ne rimaneva. Il cratere provocato da quest’esplosione è tuttora individuabile. Dopo la battaglia di Caporetto gli italiani si ritirarono da tutte le loro posizioni e le operazioni militari nella zona ebbero fine.
Questa fantastica via ferrata parte dal Rifugio Locatelli 2405 m , oppure dal Rifugio Pian di Cengia 2528 m , ovviamente bisogna dormire in rifugio , si potrebbe dormire e partire anche dal Rifugio Comici 2224 m oppure al rifugio Carducci 2297 m ma che da questi si dovrà procedere all’avvicinamento fino alla forcella Pian di Cengia , di circa 1h-1h30 . Resta inoltre da sommare il tempo per raggiungere il rifugio da dove si vuole partire , il mio consiglio è di salire sul Rifugio Pian di Cengia dove in 15 minuti si può raggiungere la Forcella Omonima.
Descrizione
Percorso molto bello , panoramico e in certi versi impegnativo essendo lo stesso attrezzato , ho preferito dormire al Rifugio Pian di Cengia 2528 m , raggiungendo poi prima la forcella Pian di Cengia e poi attraverso il sentiero 101 il Rifugio Locatelli 2405 m, dove si imboccherà la via per salire al Paterno , un primo tratto semplice senza corde , dove si percorre una galleria del periodo bellico 1915-18, per poi attraverso una via attrezzata salire sulla vetta , esiste anche la possibilità di salire anche dalla Forcella Lavaredo 2454 m , ma non è altrettanto importante e panoramico se non che nel primo tratto prima di entrare nel lato interno del vallone che sale nella forcella del camoscio. Raggiunta la Forcella del Camoscio, si risale un ultimo tratto di corde che porta nel pianoro detritico del Paterno 2744 m , finalmente la croce nella sua grandezza, si prosegue scendendo fino allla Forcella dei camosci per poi attraverso il sentiero delle forcelle porta direttamente alla forcella pian di Cengia, attraverso altri spezzoni di via attrezzata con passaggi interessanti e panoramici verso l’alpe dei Piani, questo itinerario molto importante sotto il profilo storico dove le caverne e fortificazioni furono molte vista la sua importanza strategica.
Risalendo mi ricordo la prima mia salita su questo monte, giugno del 1987 dove dopo aver dormito al rifugio Auronzo nel campo Estivo della compagnia Genio Guastatori Cadore , avevo 20 anni salimmo con le corde dalla Forcella Lavaredo , con il coro della Cadore a seguito giungemmo così sulla vetta dove in una piccola sosta il coro intonò Signore delle cime , in un tempo nebbioso e piovoso, una catena di emozioni che non dimenticherò mai , così dopo 34 anni ci volli risalire .
Cenni storici
I primi scontri 24-26 maggio 1915
Non era ancora giunto l’inizio della guerra in questo luogo , ma i preparativi sulle due forcelle erano in preparazione , verso le 8.45 un grosso rombo dal monte Piana e dal Monte Rudo che gli austriaci avevano trasformato in fortezza , partono i primi due colpi , il terzo shrapnel colpisce in pieno due alpini, i primi caduti sul fronte del Cadore, un forte sibilare di granate mentre il 25 maggio una granata colpisce in pieno la casermetta sui piani di Lavaredo , è il momento di rispondere , sulla casermetta delDreizinnenhütte sventola la bandiera della Croce Rossa , gli italiani sono convinti che sia una copertura per un deposito di munizioni e qualcos’altro , e si apprestano a portare l’artiglieria sulla Forcella Lavaredo e aprono il fuoco , dopo alcuni colpi rettificano il tiro ed al quinto colpo lo centrano in pieno incendiandolo ; sul Paternò la Guida alpina della val di sesto Sepp Innerkofler con Andreas Piller per poter controllare la precisione del tiro austriaco sulle posizioni italiane , mentre vede con amarezza che la sua casa arde colpita dal quinto colpo d’artiglieria italiana, e lui il proprietario del Dreizinnenhütte sorto nel 1882 che ha fatto la storia dell’alpinismo dolomitico.
La mattina del 26 maggio si intensifica il fuoco di artiglieria costringendo gli alpini a cambiare la posizione in forcella Lavaredo , dal monte Piana l’osservazione italiana vede un plotone austroungarico che sotto il crestone del Paterno cercano di salire sulla Forcella , si posizionano sulle finestre e costringono allo scoperto il piccolo presidio italiano ed a mantenere salda la posizione mentre i rinforzi arrivano e si apprestano ad un attacco sulla forcella che farà arretrare gli austroungarici . Ci furono 3 morti austroungarici , che furono lasciati sul posto, continuarono i movimenti di quei puntini neri visibili sulla neve per più di due settimane , una notte gli alpini scendono e trasportano i tre morti , seppellendoli sotto la Forcella Lavaredo con l’onore alle armi a compagnie riunite .
Qualche giorno dopo un plotone di alpini raggira la Croda del Passaporto in piena bufere sale sulla forcella omonima già abbandonata dal nemico , il 29 maggio gli italiani riescono a fare un presidio stabile in vetta al Paterno 2744 m, riescono faticosamente a portare un cannone da montagna sulla forcella del Camoscio dove comincerà presto a fare fuoco sulle posizioni austriache della Torre di Toblin.
Episodio del Paterno 4 luglio 1915
Una situazione che preoccupa molto il comando austroungarico per le posizioni strategiche conquistate dagli italiani , forcella del Passaporto, la cima del Paterno , Forcella del Camoscio e del Pian di Cengia, verso la metà di giugno viene incaricato il Feldmaresciallo Goiginger per studiare la situazione di un possibile attacco , mentre dovrebbe effettuare l’attacco il capitano Von Jaschke che comanda un battaglione di Landshutzen che conoscendo bene la zona si dichiarerà contrario ed in fatti verrà rimosso e sostituito dal Capitano Von Wellean che valuta l’operazione fattibile , ma non aveva alcuna conoscenza di compiere un azione militare su un luogo come questo ed in queste condizioni , appena vide le condizioni inorridì , mentre la guida Forcher era favorevole , Sepp Innerkofler era moto perplesso ritendo difficoltosa qualsiasi operazione sulla vetta presidiata dal nemico .
Sono in sei, volontari di guerra, quattro più che cinquantenni, guide rinomate della Val di Sesto (Sepp Innerkofler, Hans Forcher, Andreas Piller, Benitius Rogger). Hanno ricevuto l’ordine di arrampicarsi sul Paterno e di occuparne la cima. Sono armati di moschetto e di granate a mano. Escono da una baracca presso la Dreizinnenhütte devastata dall’incendio. Esce con essi il pattuglione guidato dal Christl, fratello del Sepp. Le Tre Cime si levano spettrali nella notte, inargentate pallidamente dalla luna, stagliate nel cielo terso. Si tuffano nel buio e nel silenzio. Nella notte fonda un ragazzo, il figlio del Sepp, staccate le braccia dal collo del padre, resta là, fermo, fissando a lungo quel buio dove la cara figura è scomparsa; poi si scuote, si volta, corre, come d’accordo col padre, verso la Forcella di San Candido … ad attendervi spasmodicamente l’alba: per vedere. I sei e il pattuglione passano presso la Salsiccia (il Frankfurter Wurstel) e imboccano il canalone ghiaioso che scende dalla Forcella del Camoscio. Procedono furtivi, lenti, per non smuovere sassi che possano destare l’allarme. Nell’alto delle ghiaie il Christl col suo Battaglione si ferma, resta in attesa degli eventi. I sei calzano gli scarponi da croda e attaccano la parete del Paterno. Salgono sicuri nel buio; conoscono perfettamente la via. È quella “Via nord-nord ovest” che lo stesso Sepp nel 1896 ha percorsa per primo e ripetuta innumerevoli volte. Salgono da un’ora: sono quasi in cresta. Sopra Cima Undici si diradano sempre più le stelle, spunta e si dilata un pallido chiarore: l’alba. Giungono sulla cresta. L’alta vetta del Cristallo s’indora. Un rombo e un sibilo alto: è il Monte Rudo che spara. Altri due rombi e due sibili più bassi: è ancora il cannone austriaco che rettifica il tiro. Un quarto rombo e un fragore di roccia colpita e frantumata. Il tiro è aggiustato, subentra di nuovo il silenzio. Ora i sei salgono uno dietro l’altro, per il filo della cresta. Da Forcella Pian di Cengia gli alpini scorgono le sei sagome nettamente profilantisi nel rosso del cielo. È l’allarme. Mentre i sei escono in parete ovest, si svegliano i pezzi e le mitragliatrici di Lavaredo. Pronte rispondono tutte le mitragliatrici austriache. Sopra il frastuono rombano i cannoni del Monte Rudo, un mortaio del Sasso di Sesto, un pezzo da 80 che sembra appostato nei pressi della Forcella di Toblin, un obice da 105 che dalla Torre dei Scarperi spara insistentemente contro la Forcella Pian di Cengia. E quelli sempre si arrampicano, a scatti, a sbalzi, si appiattano dentro ogni cavo, dietro ogni costola … Una scheggia rimbalza sulla fronte del Sepp; gli si riga la faccia di sangue, gli si offuscano gli occhiali, e continua a salire. Una pietra colpisce Forcher in fronte, sanguina, e continua a salire. Hanno quasi raggiunta la cima. Come ad un segnale d’un tratto, al frastuono, alla raffica ininterrotta di pallottole e schegge, succede un assoluto silenzio. In tutta la valle, su tutte le forcelle, sulle cime, di qua e di là delle trincee, si stende uno stato spasmodico di attesa. Si è scorto là in alto un uomo: è lassù, lento, che ascende. Eccolo, è giunto a dieci passi dalla cima. Si fa il segno della croce e con ampio arco di mano lancia la prima bomba oltre il muretto della vedetta della cima. Lancia la seconda e poi la terza. D’improvviso appare, dritta, sul muretto della vedetta della cima, la figura di un soldato alpino, — Piero De Luca del battaglion Val Piave — campeggiante nel tersissimo cielo, alte le mani armate di un masso, rigata la fronte di rosso da una scheggia della prima bomba. «Ah! No te vol andar via?». Prende giusto la mira, scaglia con le due mani il masso. Il Sepp alza le braccia al cielo, cade riverso, piomba, s’incastra nel camino Oppel, morto.
La galleria del Paterno
Ideatore di questa Galleria fu il Generale Segato , fu scavata per poter raggiungere il Sasso di Sesto conquistato dagli italiani anche nelle ore diurne riducendo cosi l’esposizione al fuoco nemico , di evitare la parte sotto il paterno soggetto sempre a valanghe , e con le feritoie poteva essere punto di osservazione verso la forcella Lavaredo, gli austriaci tentarono di impedirne i lavori e di riconquistare il Sasso di Sesto l’imbocco veniva dalla selletta della salsiccia attraverso una scala , mentre il pezzo che partiva dal Cadin del Passaporto risulta franato.
Il 21 aprile del 1917 gli austriaci attaccano il sasso di Sesto , dopo un avvicinamento attraverso una galleria scavata sulla neve impiegando circa due mesi , assaltano ed annientano il presidio italiano conquistando così il Sasso di Sesto.
Gli italiani iniziano il fuoco di artiglieria dal Paterno e fuoco delle mitragliatrici , uccidendo buona parte degli austriaci che si vedono perduti non conoscendo il complesso sistema labirintico , non riescono ad uscire senza munizioni combattono all’arma bianca , a mezzogiorno il Sasso è stato sgomberato dagli austriaci , drammatico è il racconto dall’aspirante ufficiale Von Lachmuller :
La nostra situazione appariva ormai solida e inattaccabile; ma si verificarono due fatti del tutto imprevisti. D’improvviso, senza che alcuno potesse comprendere come, i meandri più reconditi del sasso di Sesto ci apparvero stipati di italiani. Indubbiamente dovevano esserci, alla base del Sasso, una o più caverne, che non erano state individuate dai nostri quando lo avevano occupato nell’oscurità della notte e dalle quali al mattino gli italiani riuscirono a penetrare e le posizioni perdute. Che valeva, se ora qua ora là, noi riuscivamo a occludere con sacchi di sabbia l’imbocco di una galleria e ad appostarvi uno o due uomini per abbattervi ogni italiano che entrasse? Il sasso di sesto ci appariva come il labirinto di una tana di talpe, nel quale progressivamente penetravano e si distribuivano nemici. Più di metà della nostra piccola guarnigione era già caduta nelle loro mani. E poi venne la seconda cosa, o meglio non venne: chè, per quanto guardassimo verso la nostra linea, non si vedevano raggiungere i rinforzi sospirati, nè per la galleria, nè per il dosso nervoso. Sempre più infuriava il lancio delle granate e il fuoco dei fucili nelle viscere del Sasso è sempre più finivamo respinti verso le cima…
Fonte storica tratta dal Libro “Guerra in Ampezzo e Cadore” Antonio Berti , A cura di Tito e Camillo Berti , edizioni Mursia
Se la Luce restava spenta, capitava spesso che qualcuno ci chiamasse per sapere se andava tutto bene. Quella piccola lampada sul muro della malga era divenuta, ormai, un faro in montagna. Erano in tanti a dirci chi gli davamo speranza, che avevamo acceso in loro la voglia di uno cambiamento, e dato la sicurezza era rimasto qualcosa, qualcuno che ancora coltivava la sua diversità, senza lasciarsi assorbire dai modi sfrenati, dalle rigide burocrazie e leggi che spesso perdono il senso vero del mondo in cui viviamo. Per 6 anni abbiamo lottato come famiglia, sostenuti e aiutati da tanti che come noi ci credevano, per abbattere tanti preconcetti. Abbiamo perso e guadagnato amici in questo lungo periodo, qualcuno di questi ci manca tanto, Ermano, mio caro insegnante, Lele mio caro fratello, tu Rachele mia sorellina, roccia a cui vogliamo tanto bene… Abbiamo passato la più severa tempesta di questo secolo e anche trascorso qui il più severo Inverno e sempre con la benedizione della nostra cara Amata Montagna. Abbiamo visto il mondo cambiare come mai visto prima d’ora, ma noi abbiamo sempre creduto in ciò che facciamo e abbiamo provato a non cambiare, nonostante tutto. I nostri modi, il nostro mondo, sono rimasti gli stessi durante tutto questo tempo. Abbiamo fatto ciò che crediamo giusto, vivere la montagna in ogni sua stagione, vi ci siamo dedicati e abbiamo fatto del nostro meglio per curarla tutto l’anno. Una struttura in montagna, usata solo per una stagione, per un periodo limitato, sia questo l’estate o l’inverno, per noi rappresenta uno spreco delle risorse, uno sfruttamento e non una convivenza. Dobbiamo creare una struttura economica in montagna, integrata, rispettosa dei cicli naturali e sostenibile, non di prevaricazione e abbandono. C’è il bisogno di creare delle opportunità per le giovani famiglie che vogliono lavorare con passione a progetti ecosostenibile in aree montane, a tutela e salvaguardia del loro territorio. Questi sono i valori che abbiamo cercato di accrescere, curare e sui quali abbiamo cercato di fondare la realtà di Malga Foraoro. Purtroppo ora, con nostra amarezza, la luce dovrà rimanere spenta, il faro è stato offuscato della mancanza di visione e coraggio di un’amministrazione che continua a voltare le spalle e chiudere le porte, insensibile alla ricerca di un futuro economico sostenibile, un’amministrazione che non si dimostra capace di valorizzare la squadra di gestori giovani che hanno dimostrato la loro capacità imprenditoriale in questi ultimi anni, portando l’anello delle Malghe di Caltrano al suo attuale lustro, attraverso piani locali e non solo. La chiusura invernale della Malga, ormai aperta da 3 anni in questa stagione, è il risultato dell’arroganza di chi, come amministrazione, avrebbe dovuto tutelare e valorizzare questo patrimonio unico e dal grande potenziale e che invece con incuria e incapacità gestionale ha mostrato una negligenza senza paragoni. La famiglia Pozza Pereira vorrebbe ringraziare la Famiglia Sandona per la fiducia e le opportunità che ci hanno dato, lasciandoci carta bianca per la gestione di monte Foraoro. Vorremo dire grazie a Marco Sandona che in qualità di Sindaco ha avuto il coraggio di firmare la prima proroga, a Girolamo Zenari, a Ermano Zenari e tutta la famiglia Zenari che ci sono state sempre vicini, nei momenti più belli ma anche nei più difficili. A Lorella e Francesco chi ci hanno aperto la strada. A tutti i volontari internazionali chi ci hanno dato una mano, a tutti coloro che hanno lavorato con noi con passione e sorriso. Grazie. E infine un ringraziamento specialmente agli amici che sono sempre presenti, i Rigon, i Dal Santo, i Dal Pra, i Raumer, i Valincanta e i nostri sponsor, in particolare la Ercole Tempo Libero che è sempre stato presente. Tanti sicuramente mancano, ci scusiamo e speriamo sappiate quanto importanti siete per noi scusate, siete stati voi a darci la forza di credere, i nostri clienti, i nostri ospiti, i nostri amici a voi il nostro più sincero GRAZIE . Ci sarebbe ancora tanto da dire ma questa non è la conclusione del nostro libro , non ancora…
QUESTO E UNA VIA NORMALE , CIOE UN ITINERARIO PER ALPINISTI O ESCURSIONISTI ESPERTI NON E PER TUTTI , CI VUOLE UNA OTTIMA PREPARAZIONE FISICA , ED UNA CONOSCENZA DELL’AMBIENTE ALPINO DI ALTA QUOTA , MOLTA ATTENZIONE VA DATA ANCHE ALLE CONDIZIONI METEO
Tempo di percorrenza: 2h30andata e 1h15 ritorno
Dislivello totale: 800 m
Quota massima raggiunta: 3046 m
Rifugio di Appoggio: Rifugio Carducci – Rifugio Comici
Come Raggiungere
Si sale dapprima al Rifugio Carducci 2297m , che normalmente si raggiunge dal 103 della Val Giralba , sentiero molto lungo e con dislivello importante circa 1400 m e ci vogliono circa 5h, a tal proposito vi invito a salire e pernottare al rifugio per poi compiere le vostre escursioni. Volendo si può anche risalire dal Rifugio fondovalle 1548 m e passando per il Rifugio Comici 2224 m raggiungendo così il Rifugio Carducci attraverso la Val Fiscalina con il sentiero 103 che presenta circa 1000 metri di dislivello in circa 3h30. Una bella risalita appare anche quella del 106 per il bivacco De Toni per poi imboccare la ferrata Severino Casara molto bella e panoramica, comunque resta la soluzione migliore pernottare al rifugio.
La via Normale
Si parte dal Rifugio Carducci , con un sentiero molto semplice che sale fino a forcella Giralba e prosegue scendendo alcuni metri fino a trovare il bivio che porta al 101 la strada degli alpini ( via attrezzata) che sale dal rifugio Fondovalle 1548 m, da li mantenendo la destra si prosegue nella Busa di Dentro atraverso un ampio ghiaione che termina con un piccolo nevaio, per poi inerpicarsi nel ghiaione con un notevole aumento di pendenza , il percorso sale senza grosse difficoltà alpinistiche facendosi strada sia sul ghiaione che sulle roccette sovrastanti fino a raggiungere passaggi leggermente più complessi , ma con gradoni che aiutano molto , rendendo ccosì parte del tracciato più intuitiva e personalizzata , fino a raggiungere il plateau di vetta nella sua vastità e con un panorama in cui le vette intorno si possono riconoscere a vista , il terreno sassoso sembra sia lunare , in alcuni tratti le pietre sono così spigolose che pare taglino le scarpe e mettendoci le mani pare stringere un riccio di castagna, mentre nella parte finale nel fondo del plateau a circa 500 metri dalla cima i lastroni sembrano scolpiti a mano.
Ritorno
Per il ritorno si scende dalla stessa via , cercando di passare per lo stesso posto della risalita , cosa non sempre facile ma comunque per la discesa il percorso è molto intuitivo e chiaro ed e sufficiente prestare molta attenzione a dove si mettono i piedi, una volta raggiunto il fondo del ghiaione principale in circa 45 minuti il percorso diventa un semplice sentiero ritornando così da dove si è risaliti .