
Oggi sono qui a scrivere una storia , anzi nn è la mia storia , ma la storia di qualcosa di grande , e qualcosa che non mi stanchero mai di dire , si io sono un montanaro vero uno di quelli che si ferma ai rifugi , ma si ferma con la consapevolezza del significato stretto di rifugio :
Rifugio : Riparo, difesa, protezione contro insidie o pericoli materiali o spirituali: dare, offrire r.; trovare r. all’estero; cercar r. nella preghiera.
Il rifugio Fraccaroli come pochissimi altri rifugi che si contano nelle mani , dimostra che non contano le stelle come negli alberghi , che se togli l’affetto , simpatia , accoglienza e calore , non rimane niente , solo quattro mura e un tetto , ma grazie a Dio il rifugio e fatto di persone , e sono solo loro a fare la differenza . Ringrazio le mie gambe e che mi permettono di salire , su questi luoghi incredibilmente sinceri e vivi dove si respira e si sente il profumo di umanità dove tutti siamo uguali , e tutti mantengono quel rispetto e umiltà che ci rende migliori , il montanaro lo sa , perche da montanaro crede ancora in queste cose , crede nelle persone , crede che tutto possa essere possibile , è un eterno sognatore anche se conosce molto bene la differenza tra il giorno e la notte , crede veramente che siano le persone a fare la differenza .
Voglio ringraziare la famiglia Baschera , certo dispiace molto , però da buon montanaro vero , condivido in pieno le difficoltà di gestire un rifugio di questi tempi , in bocca al lupo per tutto , grazie di tutto Luciano Cailotto
La storia
La Famiglia Baschera ha lasciato lo scorso fine settimana la gestione del Rifugio Mario Fraccaroli a 2.230 metri sul livello del mare, 40 metri sotto Cima Carega: «Noi fratelli Baschera, non lo riapriremo più… Dopo 53 anni è giunta l’ora di cedere il passo ad altri», è stato il tono del post scritto sulla pagina Facebook del rifugio, accompagnato da poche righe: «Ci sentiamo in dovere di ringraziare tutte le persone che in questi anni sono passate a trovarci, condividendo con noi l’esperienza di questa montagna e di questo rifugio. Buona vita a tutti», è l’augurio conclusivo accompagnato da un cuore e dalla foto in bianco e nero di Carlo Baschera che a qualche centinaio di metri dal rifugio saluta l’edificio e i tanti amici.
«Tutto inizia e tutto finisce, ma sono sereno perché capisco che è venuta meno l’energia e sono cessati anche certi stimoli, ma so di poter fare ancora dell’altro e quindi cambio aria», è il commento di Carlo. Nelle sue parole anche l’ammissione di una stanchezza che non è solo anagrafica: «Mi veniva tutto troppo scontato e ho capito di non essere più quello che volevo essere, anche se mi riconosco dinamico, intraprendente e alla ricerca di nuovi stimoli e quando un luogo e una professione cominciano ad andarmi stretti guardo alla possibilità di cambiare», confessa, aggiungendo: «Il tempo mi dirà se avrò fatto la scelta giusta o sbagliata».
Salito al Fraccaroli quando aveva solo un anno di vita, ha passato tutte le estati a un palmo dal cielo: «e 50 anni così non si dimenticano», ammette. Oltre al rammarico di un addio a un posto unico, c’è anche lo sguardo disincantato di chi ha visto il cambiamento delle presenze alpinistiche in questi ultimi decenni: «Se una volta bastava un camerone condiviso e un piatto di minestrone con una bottiglia di birra, oggi la gente sale in montagna e si aspetta un ristorante, arriva a tutte le ore e pretende di trovare aperto. Una volta alle 22 calava il silenzio in rifugio, oggi ci sono le escursioni notturne per vedere il cielo stellato o la luna piena e poi le alzatacce alle 5 per vedere l’alba e i gestori dovrebbero essere sempre disponibili, di notte e di giorno, ma io non reggevo più questi ritmi, mi toglievano anche l’aria da respirare. Capisco di andare controcorrente, ma il rifugio non può trasformarsi in autogrill e tanti non lo capiscono».
Sono cambiati gli escursionisti, ma la struttura è rimasta la stessa: «Dagli anni Ottanta non ci sono più stati interventi strutturali importanti, sebbene le esigenze siano cambiate. Certo ci sono stati il nuovo impianto idraulico, i pannelli solari, la nuova teleferica, ma la struttura è rimasta com’era. Non abbiamo mai avuto un bagno riservato ai gestori e la mattina ci dovevamo mettere in coda con la ventina di ospiti per usufruire della toilette. Per una doccia con acqua calda abbiamo dovuto attrezzarci per conto nostro e sono cadute nel vuoto le richieste di poter chiudere la terrazza creando una veranda e ampliando i posti a sedere per i pasti. Il luogo è bello e lascia incantati, ma la struttura è ferma e meriterebbe più attenzione. Non ce ne siamo andati per questo», conclude Carlo Baschera, «ma certo non ci ha aiutato a trovare nuovi stimoli».
Salvc, spero che qualcuno della famiglia Baschera mi possa rispondere. Dopo oltre 25 anni, ho la volonta’ di tornare a vedere il rifugio. Avrei voluto incontrare il gestore che probabilmente mi avrebbe riconosciuto, ci è riuscito almeno due volte negli anni 90.
Stefano di Arezzo.