Si sale attraverso la strada della Valdastico dopo essere usciti a Piovene Rocchette per chi sale da Vicenza , si supera l’abitato di Lastebasse e si Raggiunge Località Nosellari imboccando la strada per il lago di Lavarone per poi proseguire fino ai Gionghi , li si può lasciare l’auto e proseguire a piedi per circa 2 km , su una carrareccia che porta presso la località Magrè , oppure si può salire fino alla località Magrè e salire a piedi riducendo di molto il percorso.
Drago di Vaia
Questa scultura di legno, è la più grande d’Europa ed è il simbolo della rinascita dei boschi del Triveneto, colpiti dalla terribile tempesta Vaia dell’ottobre 2018. Il legno utilizzato proviene infatti dagli alberi caduti a causa del forte maltempo di quel periodo. Il Drago Vaia è stato realizzato, tra ottobre e novembre 2021, dallo scultore di Asiago Marco Martalar, all’interno del progetto Lavarone Green Land. L’opera, con i suoi 6 metri di altezza e 7 metri di lunghezza, è costituita da 2000 pezzi di legno della tempesta Vaia e da 3000 viti.
Lo Scultore
Marco Martalar Scultore del legno e artista del bosco , dove passo la maggior parte del tempo per creare e farmi ispirare.Gli alberi , gli animali , il silenzio , il fuoco e la natura ancora selvaggia, per me linfa vitale dove la mia arte trae nutrimento.
Il legno della scultura infatti non è trattato e con il tempo deperirà per l’effetto degli agenti atmosferici. Perciò, cambierà forma e, tramite la decomposizione, andrà a formare nuovo humus per i boschi. Gli alberi sradicati dalla tempesta saranno quindi nutrimento per altri alberi e contribuiranno a renderli più rigogliosi.
Quando sono arrivato sul grande prato che lo ospita mi sono emozionato , la quantità di persone era fuori dalla mia immaginazione , Persone sedute sul prato a godersi il sole l’aria, persone che passeggiavano , bimbi che giocavano. Lui era lì fermo come quando lo avevo lasciato, come quando lassù io e lui in solitudine stava nascendo, ora invece circondato da centinaia di persone, il tutto senza caos gente rispettosa con la voglia di toccarlo o fare una foto, è stato bello. Marco Martalar
Buongiorno , dopo un anno di sosta ho fatto di nuovo il mio calendario, non potendolo inviare per le dimensioni del formato 45 x 33 ,per chi desiderasse averlo metterò qui il file PDF per chi vorrà scaricarlo, naturalmente poi se lo dovrà stampare in qualche modo, o in qualche cartolibreria o da qualche fotografo.
Oggi sono qui a scrivere una storia , anzi nn è la mia storia , ma la storia di qualcosa di grande , e qualcosa che non mi stanchero mai di dire , si io sono un montanaro vero uno di quelli che si ferma ai rifugi , ma si ferma con la consapevolezza del significato stretto di rifugio :
Rifugio : Riparo, difesa, protezione contro insidie o pericoli materiali o spirituali: dare, offrire r.; trovare r. all’estero; cercar r. nella preghiera.
Il rifugio Fraccaroli come pochissimi altri rifugi che si contano nelle mani , dimostra che non contano le stelle come negli alberghi , che se togli l’affetto , simpatia , accoglienza e calore , non rimane niente , solo quattro mura e un tetto , ma grazie a Dio il rifugio e fatto di persone , e sono solo loro a fare la differenza . Ringrazio le mie gambe e che mi permettono di salire , su questi luoghi incredibilmente sinceri e vivi dove si respira e si sente il profumo di umanità dove tutti siamo uguali , e tutti mantengono quel rispetto e umiltà che ci rende migliori , il montanaro lo sa , perche da montanaro crede ancora in queste cose , crede nelle persone , crede che tutto possa essere possibile , è un eterno sognatore anche se conosce molto bene la differenza tra il giorno e la notte , crede veramente che siano le persone a fare la differenza .
Voglio ringraziare la famiglia Baschera , certo dispiace molto , però da buon montanaro vero , condivido in pieno le difficoltà di gestire un rifugio di questi tempi , in bocca al lupo per tutto , grazie di tutto Luciano Cailotto
La storia
La Famiglia Baschera ha lasciato lo scorso fine settimana la gestione del Rifugio Mario Fraccarolia 2.230 metri sul livello del mare, 40 metri sotto Cima Carega: «Noi fratelli Baschera, non lo riapriremo più… Dopo 53 anni è giunta l’ora di cedere il passo ad altri», è stato il tono del post scritto sulla pagina Facebook del rifugio, accompagnato da poche righe: «Ci sentiamo in dovere di ringraziare tutte le persone che in questi anni sono passate a trovarci, condividendo con noi l’esperienza di questa montagna e di questo rifugio. Buona vita a tutti», è l’augurio conclusivo accompagnato da un cuore e dalla foto in bianco e nero di Carlo Baschera che a qualche centinaio di metri dal rifugio saluta l’edificio e i tanti amici.
«Tutto inizia e tutto finisce, ma sono sereno perché capisco che è venuta meno l’energia e sono cessati anche certi stimoli, ma so di poter fare ancora dell’altro e quindi cambio aria», è il commento di Carlo. Nelle sue parole anche l’ammissione di una stanchezza che non è solo anagrafica: «Mi veniva tutto troppo scontato e ho capito di non essere più quello che volevo essere, anche se mi riconosco dinamico, intraprendente e alla ricerca di nuovi stimoli e quando un luogo e una professione cominciano ad andarmi stretti guardo alla possibilità di cambiare», confessa, aggiungendo: «Il tempo mi dirà se avrò fatto la scelta giusta o sbagliata».
Salito al Fraccaroli quando aveva solo un anno di vita, ha passato tutte le estati a un palmo dal cielo: «e 50 anni così non si dimenticano», ammette. Oltre al rammarico di un addio a un posto unico, c’è anche lo sguardo disincantato di chi ha visto il cambiamento delle presenze alpinistiche in questi ultimi decenni: «Se una volta bastava un camerone condiviso e un piatto di minestrone con una bottiglia di birra, oggi la gente sale in montagna e si aspetta un ristorante, arriva a tutte le ore e pretende di trovare aperto. Una volta alle 22 calava il silenzio in rifugio, oggi ci sono le escursioni notturne per vedere il cielo stellato o la luna piena e poi le alzatacce alle 5 per vedere l’alba e i gestori dovrebbero essere sempre disponibili, di notte e di giorno, ma io non reggevo più questi ritmi, mi toglievano anche l’aria da respirare. Capisco di andare controcorrente, ma il rifugio non può trasformarsi in autogrill e tanti non lo capiscono».
Sono cambiati gli escursionisti, ma la struttura è rimasta la stessa: «Dagli anni Ottanta non ci sono più stati interventi strutturali importanti, sebbene le esigenze siano cambiate. Certo ci sono stati il nuovo impianto idraulico, i pannelli solari, la nuova teleferica, ma la struttura è rimasta com’era. Non abbiamo mai avuto un bagno riservato ai gestori e la mattina ci dovevamo mettere in coda con la ventina di ospiti per usufruire della toilette. Per una doccia con acqua calda abbiamo dovuto attrezzarci per conto nostro e sono cadute nel vuoto le richieste di poter chiudere la terrazza creando una veranda e ampliando i posti a sedere per i pasti. Il luogo è bello e lascia incantati, ma la struttura è ferma e meriterebbe più attenzione. Non ce ne siamo andati per questo», conclude Carlo Baschera, «ma certo non ci ha aiutato a trovare nuovi stimoli».
Se la Luce restava spenta, capitava spesso che qualcuno ci chiamasse per sapere se andava tutto bene. Quella piccola lampada sul muro della malga era divenuta, ormai, un faro in montagna. Erano in tanti a dirci chi gli davamo speranza, che avevamo acceso in loro la voglia di uno cambiamento, e dato la sicurezza era rimasto qualcosa, qualcuno che ancora coltivava la sua diversità, senza lasciarsi assorbire dai modi sfrenati, dalle rigide burocrazie e leggi che spesso perdono il senso vero del mondo in cui viviamo. Per 6 anni abbiamo lottato come famiglia, sostenuti e aiutati da tanti che come noi ci credevano, per abbattere tanti preconcetti. Abbiamo perso e guadagnato amici in questo lungo periodo, qualcuno di questi ci manca tanto, Ermano, mio caro insegnante, Lele mio caro fratello, tu Rachele mia sorellina, roccia a cui vogliamo tanto bene… Abbiamo passato la più severa tempesta di questo secolo e anche trascorso qui il più severo Inverno e sempre con la benedizione della nostra cara Amata Montagna. Abbiamo visto il mondo cambiare come mai visto prima d’ora, ma noi abbiamo sempre creduto in ciò che facciamo e abbiamo provato a non cambiare, nonostante tutto. I nostri modi, il nostro mondo, sono rimasti gli stessi durante tutto questo tempo. Abbiamo fatto ciò che crediamo giusto, vivere la montagna in ogni sua stagione, vi ci siamo dedicati e abbiamo fatto del nostro meglio per curarla tutto l’anno. Una struttura in montagna, usata solo per una stagione, per un periodo limitato, sia questo l’estate o l’inverno, per noi rappresenta uno spreco delle risorse, uno sfruttamento e non una convivenza. Dobbiamo creare una struttura economica in montagna, integrata, rispettosa dei cicli naturali e sostenibile, non di prevaricazione e abbandono. C’è il bisogno di creare delle opportunità per le giovani famiglie che vogliono lavorare con passione a progetti ecosostenibile in aree montane, a tutela e salvaguardia del loro territorio. Questi sono i valori che abbiamo cercato di accrescere, curare e sui quali abbiamo cercato di fondare la realtà di Malga Foraoro. Purtroppo ora, con nostra amarezza, la luce dovrà rimanere spenta, il faro è stato offuscato della mancanza di visione e coraggio di un’amministrazione che continua a voltare le spalle e chiudere le porte, insensibile alla ricerca di un futuro economico sostenibile, un’amministrazione che non si dimostra capace di valorizzare la squadra di gestori giovani che hanno dimostrato la loro capacità imprenditoriale in questi ultimi anni, portando l’anello delle Malghe di Caltrano al suo attuale lustro, attraverso piani locali e non solo. La chiusura invernale della Malga, ormai aperta da 3 anni in questa stagione, è il risultato dell’arroganza di chi, come amministrazione, avrebbe dovuto tutelare e valorizzare questo patrimonio unico e dal grande potenziale e che invece con incuria e incapacità gestionale ha mostrato una negligenza senza paragoni. La famiglia Pozza Pereira vorrebbe ringraziare la Famiglia Sandona per la fiducia e le opportunità che ci hanno dato, lasciandoci carta bianca per la gestione di monte Foraoro. Vorremo dire grazie a Marco Sandona che in qualità di Sindaco ha avuto il coraggio di firmare la prima proroga, a Girolamo Zenari, a Ermano Zenari e tutta la famiglia Zenari che ci sono state sempre vicini, nei momenti più belli ma anche nei più difficili. A Lorella e Francesco chi ci hanno aperto la strada. A tutti i volontari internazionali chi ci hanno dato una mano, a tutti coloro che hanno lavorato con noi con passione e sorriso. Grazie. E infine un ringraziamento specialmente agli amici che sono sempre presenti, i Rigon, i Dal Santo, i Dal Pra, i Raumer, i Valincanta e i nostri sponsor, in particolare la Ercole Tempo Libero che è sempre stato presente. Tanti sicuramente mancano, ci scusiamo e speriamo sappiate quanto importanti siete per noi scusate, siete stati voi a darci la forza di credere, i nostri clienti, i nostri ospiti, i nostri amici a voi il nostro più sincero GRAZIE . Ci sarebbe ancora tanto da dire ma questa non è la conclusione del nostro libro , non ancora…
Il rifugio Alpino non è un ristorante od un albergo in cui contano le stelle , il rifugio alpino è fatto di persone ,uomini e donne , e fatto di calore , amicizia , accoglienza ,condivisione , solidarietà e conforto ; valori ormai persi nel tempo ma che qui hanno ritrovato la loro identità e forma , eh si nel rifugio contano le persone. Luciano Cailotto
Voglio raccontare una storia , quella di uno dei più belli ed antichi rifugi delle Dolomiti , ma prima voglio fare capire a voi lettori il significato della parola Rifugio che credo a molti non sia del tutto chiaro :
Rifugio: Riparo, difesa, protezione contro insidie o pericoli materiali o spirituali
La nuova gestione
Voglio spendere due parole per chi ha detto e dice : ma i giovani non hanno voglia di fare , ma nn hanno voglia di mettersi in gioco , nn si rimboccano le maniche … balle . I giovani hanno idee , hanno motivazione , hanno la grinta e questo ne è la dimostrazione, può sembrare facile gestire un rifugio , ma quando si tratta di un rifugio come il Nuvolau, nn stiamo parlando di una cosa qualsiasi , solo pensare gli anni di storia che qui ci sono passati fa rabbrividire. Io qui ci sono stato la prima volta nel 1986, quando con il campo estivo della mia compagnia Genio Guastatori del 7° alpini brigata Cadore siamo saliti dal Falzarego, tornarci ancora e sempre per me un’emozione , ma vederlo in mano a giovani con la voglia di fare mi commuove e mi rende felice , orgoglioso e fiero . Grazie Ragazzi un grosso in bocca al lupo a tutti , ci vedremo molto presto di nuovo . Luciano Cailotto
Emma
Viaggiatrice, ragazza au pair, marinaia, cuoca, cameriera, imprenditrice, rifugista, traduttrice, ragioniera, cronometrista, volontaria CISV… Parla 6 lingue, a volte dimentica l’italiano ma l’ampezzano mai, ama mangiare e camminare. Ultima passione: il cicloturismo!
Juan
Ingegnere cileno della sicurezza sul lavoro, pilota di droni, appassionato di storia e montagna, macchinista della teleferica. Ama andare in bicicletta, nonostante le numerose cadute. Primo sostenitore del sogno Nuvolau, sopporta e supporta Emma, ha mollato tutto e chiama il Rifugio la sua nuova casa.
Margherita
Musicista, maestra di flauto traverso, barista, cameriera. Attrice mancata, ama cantare e le lingue, odia cucinare, adora il caffè. La trovate nei suoi castelli in aria o impegnata in qualche impensabile progetto.
Angelo
Perito elettrotecnico, pilota di elicotteri, esperto di fotovoltaico e di tortellini, commercialista a tempo perso, libero professionista. Mente brillante, ogni progetto (delle sorelle) diventa una sfida! Ha mani d’oro, aggiusta tutto, anche il mondo.
Erika
Parrucchiera, ragazza au pair, barista, receptionist, studentessa di lingue. Re-inventrice di se stessa, cambia spesso taglio e colore di capelli, ama cucinare, meno camminare, gestisce i nostri social, ottimo pollice verde.
Cesare
Chef, direttore di ristoranti, allevatore, pompiere volontario, apprendista sarto. Leader nato, non elenca problemi ma trova soluzioni. Drogato di sci e sciate, ama il maiale, lavora a maglia e produce splendide calze di lana.
Nel 1883 il barone di Dresda Richard von Meerheimb si reca a Cortina d’ampezzo con molti problemi di salute , passati alcuni mesi vede che la sua salute migliorare ed inizia a fare alcune escursioni sul monte Nuvolau ,decide così di donare una discreta somma di denaro per la costruzione di un rifugio che verrà chiamato Sachsendankhütte, il rifugio del ringraziamento sassone. circa 10 anni dopo il rifugio rimasto in autogestione come confermato dall’alpinista Leone Sinigallia dove esiste una cassetta dove verranno lasciati i soldi per la consumazione non essendoci un gestore , gli alpinisti in transito sono 318 , nel 1911 sfioreranno i 1500. Nel 1912 l’unico mezzo per rifornire il rifugio sarà la teleferica ancora oggi in uso.
Il 23 maggio del 1915 quando inizia la guerra quando le truppe austroungariche si sono ritirate sul Lagazuoi , Sasso di Stria iniziano a salire i primi italiani il 28 maggio 1915 verso Cortina D’Ampezzo e poi come racconta Fedele Siorpaes “Salvador”, guardiano del Sachsendankhütte ovvero Rifugio Nuvolau e degli altri rifugi in Zona verrà poi arrestato mentre tentava di salire al Nuvolau . Gli italiani lo utilizzeranno come osservatorio per l’artiglieria italiana e per questo subirà ingenti danni .
Il 25 maggio del 1992 un fulmine causo un incendio che distrusse sia la teleferica che i gruppi elettrogeni , ma in quel frangente stavano girando la famosa pellicola di Cliffhanger , e furono proprio loro a Nel 1992 le vette di Cortina d’Ampezzo e delle Dolomiti ospitano il set di Cliffhanger – l’ultima sfida, la leggendaria pellicola di Renny Harlin con il divo Sylvester Stallone. Il 25 maggio un incendio originato da un fulmine distrugge teleferica e generatori del Rifugio Nuvolau. Sarà la squadra Cliffhanger, col suo elicottero rosso fiammante, a trasportare corda, argano e attrezzatura di vario genere in vetta e permettere così di iniziare i lavori di ricostruzione.
I gestori del Rifugio Nuvolau!
Chi, con amore e dedizione, ha gestito il Rifugio nell’arco della sua vita ultracentenaria? Le nostre ricerche hanno individuato 5 gestioni:
1893. L’Alpenverein sez. Ampezzo decide di affidare per la prima volta il Rifugio a un gestore. I visitatori aumentano di anno in anno ed è la decisione giusta da prendere… chi è però il primo “paron”? Non abbiamo trovato il suo nome.
1902. Che sia forse Giuseppe Lacedelli Zecca di Pocòl? Di certo è lui ad avere le chiavi nel 1902, quando viene allargato il piazzale antistante il Rifugio e costruito un muro di circa 1 metro.
1930. Finito l’incubo della Guerra, il Rifugio viene ricostruito e rimesso in funzione. Marcello Siorpaes se ne occuperà fino a dopo il secondo conflitto Mondiale, quando passerà alla conduzione del Rifugio Croda da Lago.
1950. La gestione passa nelle mani di Gilma e Guido de Zanna. Con il vicino Rifugio Cinque Torri i rapporti sono buoni e regna la collaborazione.
1973. Mansueto Siorpaes vince il bando CAI e si aggiudica la gestione del Rifugio. Sale con Joanne Jorowski e ci resta per ben 47 anni, fino al 2020.
“Ciò che ancora una volta mi ha insegnato la montagna è che non è importante la parete che decidiamo di scalare, la sua altezza o le sue difficoltà, ma lo spirito con cui l’affrontiamo, le emozioni e i sentimenti che ci può regalare.”
Hervè Barmasse
Sono un montanaro , cocciuto e scorbutico in alcuni casi , amo questa montagna e lei mi ama , e un amore grande e puro fatto di rispetto ed umiltà . Lei mi ha permesso di salirci da tanti anni , mi ha accompagnato le notti quando ho occupato quel piccolo metro quadro della mia tenda sui suoi ciuffi d’erba, su quel suolo che ho sempre ritenuto sacro , quella tendina che la mattina mi affrettavo a togliere , l’ho percorsa con qualsiasi condizione metereologica , lei mi ha protetto e riportato sempre a casa. Ieri sera sono stato ancora tra le sue braccia , per poter ammirare con gli occhi lucidi quella magnifica ed unica alba , che ringrazio Dio mi permette di vederla in diverse occasioni. Devo dire che era da tempo che non tornavo , all’incrocio dello sguardo con i camosci e le marmotte pareva volessero parlarmi , un ungulato ha proseguito con me per una cinquantina di metri , come per dire : ah ciao sei tu , bentornato Luciano , ed è cosi che mi sento quando salgo in questo luogo a me caro, mi sento a casa.
Vorrei poter coinvolgervi tutti voi in questa magnificenza , mi piacerebbe poter portarvi uno ad uno ad ammirare tutto questo ,perché almeno una volta nella vita possiate restare senza parole davanti a cotanto splendore , e vero il sole sorge tutti i giorni , ma non è tanto il fatto che sorge , ma il fatto che inizia il nuovo giorno , l’inizio di una nuova vita perchè il sole è vita .
Piccolo Racconto
Sono una persona fortunata , forse anche un pò coraggiosa , mi piace vivere le emozioni di un’alba in quota , qualcuno mi può dire : ma va la sono solo cavolate . Ieri la mia notte è iniziata così , ore 00.30 mi trovavo con l’auto al Pian delle Fugazze , tutto era pronto , tenda e sacco a pelo , la temperatura era ideale per salire , ho scelto la via più semplice non credo che occorra rischiare di trovare neve salendo su una via più corta ma piena di insidie, salendo in quota ho pensato che visto ho un ‘ora solo per dormire potrei usare il bivacco Sacchi Marzotto , verso le 4.10 ho iniziato a prepararmi per uscire ed ammirare il sorgere del sole , quasi non l’avessi mai visto , ma si sa le emozioni non sono sempre uguali e non si accendono con un pulsante , poi ho proseguito nel mio cammino , volevo una giornata memorabile a casa , lo è stata , le mie rocce che ho toccato più volte con le mani , in mezzo a quel’immenso verde speranza dei pascoli di alpe delle pozze , per poi una breve sosta per un caffe al rifugio Lancia , te lo devo fare con la moka ha detto Paolo , ok va benissimo , per poi proseguire ancora con la voglia di riempire gli occhi di quella cosa che è mancata molto La Montagna , proseguendo su alpe Alba altro spettacolare pascolo su un altipiano grandioso ,dove le piccole malghe rustiche rendono questo luogo magico , quasi fossero casette degli gnomi. Come sono solito fare ho preso il mio solito classico “sentiero a ocio” che i miei amici conoscono bene perché complica loro la vita , ma io la montagna la voglio sentire dentro che circoli libera nelle mie vene , poi attraverso la Val del Trughle una salita impervia e non segnalata raggiungendo così la Sellette del Dos dell’anziana e poi col Santo 2112 m , ritornando per ora di pranzo al Rifugio Lancia , poi via verso il rientro pur sempre lungo ma con occhi e cuore pieni di emozioni raccolte per poi attraverso l’incudine e le sue creste scendere fino al Pian delle fugazze contento e sereno per questa giornata incredibilmente fantastica . Memento audere semper diceva Gabriele D’Annunzio .
Le fonti centrali di Recoaro Terme sono qualcosa di unico e di meraviglioso , uno spettacolo della natura , insieme allo stabilimento delle acque oligominerali Lora di Recoaro oltre alle molteplici bibite con il marchio Recoaro , hanno dato lustro ad una località incredibilmente unica e reso famoso Recoaro nel mondo , le sue fonti avevano nel turismo fondato le radici di questa piccola ridente cittadina conosciuta come Recoaro Terme , per le loro proprietà curative ed altri trattamenti termali , cure idropiniche , inalatorie , bagni termali , fangoterapie e fisioterapia , insomma un vero gioiello delle cure termali , uno splendido giardino e parco contornava questo ambiente esclusivo con un percorso vita , completato dal giardino botanico con piante secolari , e strutture ricettive . Mentre in paese gli alberghi presenti sul territorio fornivano accoglienza ai turisti , rendendo unica questa perla delle Piccole dolomiti conosciuta come Conca di Smeraldo , con una serie di eventi per portare a conoscere le tradizioni di questa piccola cittadina.
Il parco attualmente occupa un’area di circa 22 ettari , con due pendici laterali separate dal torrente Prechel , con una serie di stradine che salgono verso gli angoli più dispersi dello stesso, Dal campo di bocce , punto panoramico , alla Pagoda , alla fattoria nella parte più alta del parco , numero le specie arboree con esemplari di età ragguardevoli , Roveri , Cedri , Castagni , Calocedri , Ciliegi , Carpini Bianchi e Sorbi . Numerose presenze di Abeti Rossi e Bianchi , una fustaia di Abete Rosso rende un paesaggio di grandi alberi .
Nella parte inferiore l’area e coperta di edifici , parcheggi e punti per l’accesso , il Bunker di Kesserling , l’albergo Dolomiti , Villa Tonello , l’albergo Giorgetti , Chiesetta di San Gaetano , reparti e ambulatori medici per il trattamenti termali
Cenni storici
Il parco delle fonti e il risultato di tanti anni e continue evoluzioni in parte naturali ed in parte dovute all’azione dell’uomo . Il paesaggio offerto al Conte Lelio Piovene già nel 1689 , quando inizio a scoprire le proprietà curative delle acque di questo territorio , ovviamente lo stesso paesaggio non era come quello che possiamo ammirare adesso , ma già nell’inizio 800′ si poterono notare alcune stampe con edifici già eretti , per poter rendere possibile ai turisti l’uso delle acque curative che giungevano da diverse località fino qui , anche se l’assenza quasi totale di alberi sul retrostante parco spiccava all’occhio .
Dopo l’unità d’Italia si costruirono altri moderni edifici per abbellire sia la stazione Termale che i prati circostanti di quello che poi sarebbe stato diventato il “Parco delle Fonti”. A tal proposito di ricorse ad un Architetto vicentino , già progettista della villa Tonello completando così l’opera nel 1876 . La sua ricerca di creare suggestioni aggiungendo rocce , aiuole fiorite e boschetti che andavano ad incorniciare lo splendido paesaggio che contornava questo incredibile luogo , furono introdotte anche varie specie di conifere e specie esotiche , per rendere ancora più alpino questo luogo. Bellissima la presenza a fianco di Villa Tonello del maestoso Calocedro (calocedrus decurrens) originario dell’Oregon .
Le vicende belliche della seconda guerra mondiale e la presenza del Bunker di Kesserling subirono un pesante bombardamento degli alleati nel 45′, numerosi gli edifici distrutti e danneggiati , anche il parco subì delle conseguenza pesanti , nel 1952 l’architetto Mario Baciocchi ricostrui tutto, anche se ciò modifico per sempre alcuni particolari dal progetto originario , rifacendo il piazzale , alcune fontane , e arredamento urbano nel 1988.
Le nostre sorgenti
Ogni sorgente, grazie alle sue particolari proprietà è particolarmente indicata per chi desideri migliorare la sua condizione di salute; dal supporto alla risoluzione di anemia carenziali, al trattamento di patologie della pelle. Tra queste le nostre acque risultano particolarmente efficaci nel trattamento di patologie delle pelle soprattutto a carattere subacuto-cronico come la psoriasi.
Sorgente Lora
Le proprietà terapeutiche dell’acqua oligominerale Lora sono legate in gran parte alla sua ipotonicità rispetto ai liquidi biologici, anche se un ruolo non trascurabile spetta ai minerali in essa disciolti .Per la sua ipotonicità, l’acqua Lora, dopo assunzione orale, viene rapidamente assorbita dall’intestino, con successivo rilevante incremento della diuresi. La funzionalità renale è inoltre potenziata anche dai minerali sciolti nell’acqua.Per questi motivi la sorgente Lora viene utilizzata per la prevenzione e la cura di alcune malattie delle vie urinarie (calcolosi e cistiti recidivanti), di malattie metaboliche e delle sindromi iperuricemiche:
Calcolosi delle vie urinarie : calcolosi non complicata delle vie urinarie
Cistite recidiviante : infiammazioni croniche delle vie urinarie, specie cistiti
Iperuricemia: iperuricemia: in particolare diatesi gottosa
Sorgente Lelia e Nuova
La Fonte Lelia ha un alto contenuto percentuale in ferro in quanto le rocce adiacenti al punto di emergenza di questa sorgente hanno carattere eruttivo di tipo basico con contenuto di pirite (bisolfuro di ferro). Anche se la moderna farmacologia mette a disposizione preparati con elevato contenuto di sali ferrosi, la validità terapeutica dell’acqua Lelia deve essere tenuta in considerazione per la sua ottima tollerabilità ed efficacia. L’acqua, limpida e fredda alla sorgente, dopo ossidazione a contatto con l’aria, subisce un modesto intorbidimento con la formazione di un sedimento rossiccio dovuto alla precipitazione di idrato ferrico colloidale. Non si sono mai verificati casi di infiammazione della mucosa gastrica imputabili al ferro contenuto nell’acqua minerale. Il ferro è un minerale necessario per l’organismo umano in quanto, essendo un costituente dell’emoglobina, è elemento insostituibile per la sintesi di questa molecola contenuta nei globuli rossi del sangue e deputata al trasporto dell’ossigeno a tutti i tessuti. Esiste nell’organismo una riserva di ferro; infatti dopo l’assorbimento, una parte viene catturata dal midollo osseo, a seconda delle necessità, per la produzione di nuova emoglobina, mentre la quota restante si deposita soprattutto nel fegato e nella milza, che rappresentano i principali organi di riserva. La terapia idropinica con acqua Lelia è indicata in tutti i casi in cui vi sia un maggior fabbisogno di ferro (gravidanza, allattamento, periodo di sviluppo, ecc.) o, di converso , nei casi in cui vi siano perdite del minerale. A quest’ultimo riguardo va tenuto presente che l’evenienza in cui con maggior frequenza si delinea una carenza di ferro è costituita dalle emorragie, che solo in talune circostanze si verificano in modo evidente, mentre assai spesso sono modeste e poco appariscenti, ma prolungate. In entrambe queste situazioni è tassativo un corretto accertamento di carattere medico, allo scopo di individuare con precisione le cause e la sede dell’emorragia.
Azione Ricostituente
L’acqua Lelia svolge un’azione “ricostituente”, dovuta alla presenza del minerale, oltre che nella emoglobina, anche nei citocromi, costituenti cellulari, che partecipano agli essenziali processi di ossidazione cellulare, con ricavo di energia. Sembra dunque lecito ampliare le indicazioni di cura con questo tipo di acqua agli stati di astenia psico-fisica, specie in fase di convalescenza. La presenza di acido carbonico, magnesio e calcio in concentrazioni sovrapponibili a quello delle altre acque minerali recoaresi, fa si che valga, anche per la Lelia, il campo di applicazione terapeutica delle sorgenti Lorgna e Amara. E’ infine da ricordare che le caratteristiche dell’acqua Lelia la rendono idonea anche ai fini della balneoterapia.
Sorgente Lorgna
Alterazioni funzionali di fegato, vie biliari e pancreas possono manifestarsi clinicamente con la dispepsia (cattiva digestione). Il paziente lamenta senso di peso, eruttazioni, tensione dolorosa addominale, senso di bruciore epigastrico. La terapia idropinica può portare notevoli benefici anche a pazienti sofferenti di gastropatie e di colicistopatie croniche alitiasiche. Il meccanismo di azione dell’acqua è dovuto alla sua azione tampone in caso di eccessiva acidità dello stomaco e all’azione di stimolo alla secrezione in caso di scarsa acidità. L’azione stimolatrice sarebbe dovuta all’incremento di produzione dell’ormone enterico “gastrina”. Non esiste controindicazione all’uso di tali acque anche nei casi di ulcera duodenale cronica, proprio per la diminuzione di acidità e per l’azione trofica esercitata dall’acqua sulle mucose. Nelle colicistopatie croniche alitiasiche (senza calcoli) il meccanismo di azione delle acque consiste nella loro capacità di introdurre una migliorata produzione e flusso di bile, sia attraverso una più idonea vascolarizzazione epatica, sia per azione diretta dei loro sali sul fegato, con attivazione della capacità secretoria, sia infine per maggior liberazione di ormoni intestinali, che hanno come funzione quella di indurre una più efficiente motilità della colecisti e delle vie biliari e di conseguenza un migliorato drenaggio biliare. Va tenuto presente che ove vi sia invece il riscontro della presenza di calcoli nella colecisti, la terapia idropinica può trovare la sua applicazione solo qualora si tratti di un calcolo solitario di cospicue dimensioni, in quanto i piccoli calcoli multipli possono migrare a seguito dello stimolo colecisto-cinetico ed incunearsi nell’asse biliare principale, provocando coliche e conseguente possibile ittero ostruttivo.
Sorgente Amara
La stipsi è una condizione molto diffusa che spesso induce all’abuso di lassativi e che dovrebbe invece trovare soluzione in una più idonea dieta e in rimedi più fisiologici, come la terapia idrologica con l’acqua Amara. Spesso la stipsi è associata ad alterazioni motorie del colon a configurare una sindrome funzionale denominata colon irritabile. L’acqua Amara, per la presenza di solfato di magnesio che ha azione blandamente lassativa e di ioni di calcio che esplicano una moderata azione antispastica, risulta indicata in questo tipo di patologia.
CONTATTI PER INFORMAZIONI
Per informazioni contattare nel sito oppure chiamare i numeri sotto citati , ricordo che il parco potrebbe essere chiuso al pubblico (causa Covid )
Questo piccolo capolavoro fatto di sculture , fate e gnomi , si trova poco nella zona del Tretto sulla strada che porta nel Novegno , si sale da Poleo verso Passo Santa Caterina e si prosegue verso contrada Rossi , si continua verso Località Cerbaro , presso il Ristorante Da Marco.
Piccole riflessioni personali
Questo percorso e per tutti , nato da qualcosa a mio avviso grandioso , a dimostrare che se si lavora tutti per lo stesso obbiettivo , tante belle cose possono nascere , io al di la della fiaba , lo definirei un percorso didattico che vuole insegnare qualcosa ai più piccoli , perchè lo possano capire soprattutto i più grandi , una lezione morale insomma per tutti, che spero tanto vi faccia riflettere , concludo con questo proverbio indiano:
Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero , preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce , solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro. Proverbio indiano
IL SEGRETO DEL BOSCO
Ben arrivati . Vi stavo aspettando .
Vi chiederete chi sono … Sono lo spirito di questo bosco . Non mi vedete ma sono in tutti ciò che vi circonda : negli alberi , nella terra , nei sassi e nell’aria . State per entrare nel bosco delle stagioni , un luogo incantato come tutti i boschi del resto . Seguitemi lungo la grande salita , tra i sassi colorati, e io vi racconterò una storia accaduta un pò di tempo fa .
Un tempo, In questo bosco, gli Gnomi Silvani , piccole creature gentili e laboriose, celebravano il ciclo delle stagioni con una grande festa. Preparavano ogni cosa per l’arrivo di Fata Propizia, regina del tempo e della cerimonia.
Accadde però che il bosco, frequentato non solo dagli Gnomi, ma sempre di più anche dagli umani, inizio ad essere disordinato e malconcio: cartacce, mozziconi di sigaretta, fiori calpestati… un vero disastro! Quante cose da sistemare per gli gnomi prima della cerimonia!
Un mattino la Vecchia Civetta , che sapeva ogni cosa, si posò su un ramo e annunciò : «Cari amici Gnomi , ho una notizia davvero terribile: Fata Propizia è scomparsa».
Scomparsa? Gli gnomi restarono di sasso: senza la Fata non ci sarebbe stata nessuna cerimonia !
Il ciclo delle stagioni era in pericolo e, con lui, l’equilibrio del bosco. E così gli gnomi si riunirono in assemblea davanti alla Grande Roccialncantata .
«Grande Roccia» chiesero gli Gnomi preoccupati «cosa possiamo fare?». La Grande Roccia rimase in silenzio, poi si schiarì la voce e rispose: «Strega Grigia è tornata da queste parti e non ha mai sopportato l’armonia del bosco».
«Quindi c’è il suo zampino!» dedussero gli gnomi «Dove si trova la strega?».
« In cima al sentiero del Nord. Là c’è la sua antica dimora».
«Ci penso io !» esclamò Fulvo , giovane gnomo, scaltro e coraggioso. «E’ troppo pericoloso» lo avvisarono gli altri , ma Fulvo , imperterrito, era già partito lungo il sentiero.
La dimora della strega era vecchia e decrepita.
Gnomo Fulvo provò a sbirciare all’interno, ma non vide nessuno, solo una vecchia scopa e tracce di fuoco nel camino.
Tutto attorno però si sentiva profumo di fiori e di aria d’estate, di foglie secche e vento di neve.
Era il profumo delle stagioni, il profumo di Fata Propizia. Doveva essere passata di lì. Senza perdere tempo, Fulvo ridiscese il sentiero e continuo la ricerca.
Qualcosa era cambiato nel bosco. Sembrava che gli alberi si fossero messi sull’attenti, ritti come soldati. Che fosse frutto di un incantesimo di Strega Grigia?
O forse erano preoccupati anche loro. Povera fata, chissà dov’era tenuta prigioniera.
Gnomo Fulvo penso che era proprio il caso di consultare il Grande Albero Sacro.
Il Grande Albero Sacro si ergeva alto e possente in una piccola radura. Con i suoi rami sembrava voler abbracciare e proteggere l’intero bosco.
«Caro amico che dolce sorpresa, ti vedo infelice… cosa ti pesa?» chiese l’albero al giovane gnomo.
«Fata Propizia è scomparsa. Forse e prigioniera di strega Grigia».
Il Grande Albero Sacro sorrise , poi disse : «Nel bosco dei fitti abeti , potresti trovare alcuni segreti…» .
Gnomo Fulvo doveva quindi proseguire. Ringraziò il Grande Albero e si diresse verso il bosco dei fitti abeti.
Quel bosco era proprietà di Zeldo, un gnomo solitario e molto geloso dei suoi possedimenti . Si interessava di magia e aveva fatto un’incantesimo: proprio nel punto in cui si entrava nel bosco, il terreno a volte cedeva e si apriva una profonda voragine ,Questo per scoraggiare i visitatori.
Gnomo Fulvo vide che , proprio al limitare del pericoloso passaggio , erano stati recisi alcuni alberi. Così salì su ciò che rimaneva dei tronchi e riuscì ad oltrepassare il punto insidioso sotto gli sguardi sospettosi degli alberi-guardiani.
Quando fu nel bosco dei fitti abeti , gnomo Fulvo proseguì lungo il sentiero con gli occhi bene aperti .
Ad un tratto gli parve di udire un respiro profondo e poi un sussurro ,quasi un sibilo nell’aria . Si pose in ascolto e sentì: «Non tutto è come sembra….e ciò che e grigio può brillare». La voce proveniva da un albero i cui rami si levavano verso il cielo.
Gnomo Fulvo la riconobbe : era la voce di Alba, madrina di tutte le creature del bosco , che poteva assumere mille sembianze.
«Non dire nulla piccolo gnomo» gli disse Alba «So già tutto . Segui il sentiero e io ti guiderò»
Rassicurato Fulvo riprese la sua ricerca. Cammina cammina, arrivò all’altura dei tronchi gemelli. Proprio lì, sul suo trono, stava seduto Zelda e con sguardo severo lo fissava : «Cosa vuoi straniero?» chiese imperioso .
«Cerco Fata Propizia . Temo sia stata rapita da Strega Grigia».
Zeldo si fece ancora più cupo : «Si…è probabile…».
In quel preciso istante un’arcigna risata risuono tra gli alberi. Fulvosi guardò attorno e si accorse che, poco più in là, una mostruosa creatura agitava in aria i suoi lunghi tentacoli.
«Fermo! Dove stai andando ? ». Intimò la creatura allo gnomo. E tra i tentacoli , apparve il volto di Strega Grigia.
«Dove hai nascosto fata Propizia?» chiese Fulvo.
Ma prima che la strega potesse parlare, Zeldo urtò: «Ho io Fata Propizia ! E la festa delle stagioni si celebrerà soltanto qui , nella mia parte di bosco!».
«Ma il bosco è unico e appartiene a tutti!» ribatté gnomo Fulvo.
«No , la vostra parte di bosco è stata profanata dagli umani!».
In quel momento si sentì profumo di fiori e di aria d’estate, di foglie secche e vento di neve…
Fulvo volse lo sguardo giù, lungo il sentiero, e fu allora che la vide….
Era lei, Fata Propizia, meravigliosa e perfettamente in armonia con la natura che la circondava.
«Non temere» disse la fata a gnomo Fulvo «Zeldo non mi ha rapita». Fulvo non capiva.
«Seguimi» continuò allora la fata «ti svelerò un segreto!».
E invitò Fulvo a scendere con lei verso alcuni alberi che fiancheggiavano il sentiero.
«Qui vivono gli Esseri Favolosi» spiegò Propizia piccole creature che aiutano Zeldo a salvaguardare la sua parte di bosco : raccolgono cartacce spengono mozziconi di sigaretta , curano con unguenti magici i fiori calpestati» . «E come mai tu sei qui ?» chiese gnomo Fulvo alla fata.
«Per chiedere aiuto agli Esseri Favolosi. Solo così la vostra parte del bosco sarà pronta per la grande cerimonia» .
«E strega Grigia ?» chiese gnomo Fulvo
«E’ dalla nostra parte . Con la sua magia terrà a bada Zeldo finchè gli Esseri Favolosi vi aiuteranno».
«Forza andiamo ! »lo esortò la fata «Gli Esseri Favolosi sono pronti : C’è molto lavoro da fare !».
13E così, per giorni e giorni , gli gnomi Silvani e gli Esseri Favolosi lavorarono insieme per ripulire il bosco e le stagioni per la grande festa .E quando ebbero finito , intagliarono il legno , dipinsero le rocce , sistemarono il sentiero che divenne meraviglioso.
Ancora oggi , tra gli alberi, si nascondono queste piccole creature che , di notte , lavorano per mantenere intatto quel magico luogo.
E un giorno , gli umani , consapevoli degli errori che avevano fatto e di quanto importante fosse rispettare tanta meraviglia , lo chiamarono “il sentiero di fiaba”
Ma volete sapere come andò a finire?
Finalmente , sotto la luce della luna , si celebrò la festa delle stagioni , la più bella festa che fu mai realizzata.
Gli gnomi Silvani , gli Esseri favolosi , Fata Propizia e Strega Grigia cantarono e ballarono fino all’alba.
E Zeldo ?
Dalla rabbia fece le valige e se ne andò lontano a cercare un altro bosco tutto per sè . Ma c’è anche chi sostiene che la Strega Grigia l’abbia trasformato in una roccia , in un albero o addirittura in un cestino dei rifiuti.
Ad ogni modo , ciò che conta, è che l’equilibrio del bosco sia stato mantenuto e si spera rimanga tale per molti e molti anni .
Tutto questo è stato possibile grazie a mani generose che hanno messo a disposizione , chi pezzi del bosco , chi attraverso le proprie doti artistiche ha donato e creato le sculture presenti in questo capolavoro , lezione di vita:
Salgo sulle ripide vette , toccando quei sassi che mi portano in alto , lo faccio con rispetto ed umiltà ,osservo la maestria delle forme , tutte diverse ma uguali , lei lo sa e mi protegge in tutti i miei ardimentosi viaggi come questo sul Civetta 3220 metri , un sogno diventato realtà. Luciano
Ore 18,30 del 18 agosto 2020 , sto salendo dal Palafavera verso il Rifugio Coldai , dove poche ore prima avevo chiesto se c’era posto per dormire , altrimenti avrei portato come il solito la mia tenda , questo è il mio terzo tentativo per quella cima che vorrei raggiungere 3220 metri del Civetta , i primi due sfumati dal maltempo , ma il montanaro sa che prima o poi una finestra buona viene , cosi alle 5.30 mi alzo e parto dal Rifugio Coldai ,per il sentiero del Tivan che ormai conosco a memoria , verso porta del Masarè quota 2420 , proseguo con il sentiero che sale sull’attacco della via , tempo previsto più di tre ore dicevano le guide escursionistiche , salgo i ripidi canalini , traversi e scalette , traversi detritici , lastroni di pietra scavata dal tempo fino a raggiungere quella cima , non trovo nemmeno le parole per esprimere ciò che vedo ,panorami che riempiono gli occhi quasi commossi , un discreto vento soffia freddo , ma resto li basito da tutto questo , come un bambino che ha appena ricevuto il regalo tanto desiderato . Sceso al rifugio Torriani e mangiato un panino ho scelto la via del rientro , non la via normale più “facile” sono sceso dalla Ferrata Tissi , è stata lunga , lo scenario del Vant della sasse in fondo alla ferrata era lunare , pietroni e ghiaioni , mescolati insieme erano incredibili , poi dopo aver superato forcella della sasse e ridisceso il pendio che porta verso forcella della grava al bivio con il Tivan , ho scelto di ritornare al Rifugio Coldai semplicemente perche non volevo fare quei 2 km di strada asfaltata che portano da Pecol Vecchio a Palafavera affrontando di nuovo quell’arduo ,tortuoso e ripido cammino che è il Tivan , per poi giunti al rifugio ridiscendere per malga Pioda , fino al Palafavera . Completando questo mio grande viaggio , e portando a casa una marea di ricordi e di esperienze.
Le malghe sono quei magici luoghi fatti di semplicità che il montanaro vero conosce a memoria , dove la vita e segnata da fatica , sudore e non conosce orari , dove anche il tempo sembra fermato anche se molto ben segnalato dai muggiti delle mucche prima della mungitura e dallo stridore dei grilli fino al cantare dei rapaci notturni. E dura la vita in montagna , molte volte resa difficile dal tempo meteorologiche che magari non da tregua , ma è qui sulla montagna che l’anima e il cuore si riempiono di gioia e gli occhi di colori .
Malga Bovental
La bovental è una piccola realtà situata tra Campogrosso e il Pian delle Fugazze a quota 1435 metri raggiungibile da Campogrosso attraverso la strada delle sette fontane oppure dal sentiero 173 che parte dal rifugio Campogrosso . Oppure risalendo dal Pian delle Fugazze sempre sulla strada delle sette Fontane e imboccando poi il 173 , mentre per i più preparati dal 170 selletta Nord-ovest per poi scendere fino al vasto pascolo della Malga.
Quando si entra in questo piccolo pascolo dove si respirano i profumi unici dell’alpeggio in quota ci si riscalda l’anima e si apprezzano quella semplicità dei sapori di una volta ben conosciuti da chi abita e vive in montagna , qui si potranno apprezzare tutti i prodotti tipici di questo luogo meraviglioso dove contano valori radicati nel tempo , accoglienza ,simpatia ,umiltà e amicizia , in questi luoghi non contano le stelle come negli alberghi , ma contano le persone .
La malga è aperta da Giugno a Settembre per prenotare il vostro tavolo sono graditi messaggi whasapp, in quanto non c’è linea telefonica. I numeri disponibili sono: 3483512925 oppure 3398406194
Voglio inoltre segnalare che i prodotti qui usati sono prodotti a km zero provenienti da un’altra piccola grande realtà .
L’Azienda Agricola Turcato
Da sempre la nostra Famiglia è composta da agricoltori.La nostra azienda si trova a Recoaro Terme (Vicenza), lungo la strada per la Gazza. Nel 2015 abbiamo aperto un piccolo caseificio, dove ogni mattina Chiara trasforma il latte munto da Gisella e Manuele. Oltre ai nostri formaggi vendiamo anche i salumi di nostra produzione e legname ricavato, da Thomas, nei nostri boschi.
LE NOSTRE ESTATI
Ogni anno, a giugno, ci rechiamo in montagna, nella Malga Bovental,che si trova al confine con la Vallarsa, dove il verde pascolo attende il nostro bestiame.Mentre Gisella, Chiara e Sandra gestiscono il ristoro in quota (Ristoro Malga Bovental), Thomas lavora nei campi per procurare il fieno necessario per l’inverno.