
Malga Zonta si trova a confine tra il Veneto ed il Trentino , dopo essere arrivati ad Arsiero si sale verso Tonezza del Cimone superato l’abitato si prende sulla sinistra la strada che porta verso Passo Coè e che poi prosegue fino a Folgaria , oppure si può salire da Folgaria ma per chi proviene da Vicenza e molto più lunga . Narrare con esatezza le vicende di malga Zonta non è facile e bisogna avere le capacità e la voglia di approfondire queste cose , ed in fondo a questa pagina troverete diversi link e raccolte di informazioni molto interessanti al fine di comprendere con efficacia le dinamiche di questa triste vicenda
Riflessioni Personali
Nei fatti svolti nel periodo del 1944-45 ci possono essere tanti punti di vista , ma io resto del fatto che in guerra non ci sono vincitori ne vinti , ci sono solo i morti
Qui vi riporto fatti principali , non hanno la pretesa di dire qual’e la verità su Malga Zonta , di una cosa sono sicuro :
Che la guerra non porta in nessuna parte , e vero la verità sarebbe la cosa più bella si possa avere , per poter affermare chi e come ed anche perchè , sia successo tutto questo , ma il nostro dovere principale penso sia quello che la colonna mozza posta sul Monte Ortigara riporta a grandi lettere : PER NON DIMENTICARE , io ci aggiungerei anche PER NON COMMETTERE DI NUOVO LO STESSO ERRORE a questo dovrebbero servire il ricordare , e comunque tutto questo non può portare in nessuna parte , quando e finita la guerra , si contano solo i morti ed i feriti …a loro va il mio primo pensiero e cordoglio a chi ha pagato con la vita , da una parte all’altra dello schieramento .
I popoli che non ricordano la propria storia , sono destinati a ripeterla . George Santayana
Luciano
Cenni storici Questi i Fatti ufficiali
Nella notte del 12 agosto 1944 le truppe naziste iniziarono un rastrellamento nella zona di Folgaria e di Passo Coe, arrivando fra le 2.30 e le 3.30 a Malga Zonta, dove erano rifugiati dei partigiani Vicentini .
Dopo degli scontri a fuoco, le truppe tedesche ebbero la meglio e alle ore 8,30 fucilarono 17 persone scattando due foto che testimoniarono l’accaduto.
I 17 corpi vennero poi sepolti in una vicina buca dovuta allo scoppio di una bomba della prima guerra mondiale.
Ancora oggi non si ha l’assoluta certezza di come di svolsero i fatti, in particolare attorno alla figura di Bruno Viola detto il Marinaio, che secondo alcuni resoconti risulta fucilato a Malga Zonta, secondo altri caduto pochi giorni prima in alcuni scontri a fuoco con truppe tedesche.
I malghesi furono altresì risparmiati secondo alcune fonti, mentre altre fonti vengono inclusi fra i fucilati.
Approfondimenti storici
Qui sotto riporto gli articoli tratti dal Giornale di Vicenza con approfondimenti del caso , io ho letto e sono contento di averlo fatto :
Il Giornale di Vicenza, 14 luglio 2001
Smentito consigliere provinciale trentino sull’eccidio nazifascista di 57 anni fa
ERANO PARTIGIANI, NON LADRI
In un convegno a Folgaria la verità su Malga Zonta
«I fucilati di Malga Zonta? Partigiani inequivocabilmente inseriti nell’organico della Garemi. I saccheggi nel folgaretano? Li facevano un gruppo di balordi che con la Resistenza nulla avevano a che fare». Le risposte sono dunque arrivate. Le ha date lo scledense Ezio Maria Simini alla giornata di studi tenutasi due giorni orsono a Folgaria, incentrata sull’episodio di Malga Zonta e sull’uso in chiave politica del passato.
L’iniziativa, partita dal Dipartimento di studi storici dell’Università di Verona, in collaborazione con i Comuni di Folgaria, Schio e Rovereto ed enti culturali e museali, ha riunito insigni studiosi ed accademici. Un fronte compatto che ha voluto dare una risposta ed un segnale alle polemiche venute alla luce negli ultimi mesi, in particolare quelle di Piergiorgio Plotegher, consigliere provinciale trentino, che nel novembre scorso aveva chiesto di rivedere le celebrazioni annuali di Malga Zonta, ed i relativi contributi, «in modo che non si commemori chi aveva saccheggiato e creato pericolo alla popolazione degli Altipiani».
Il consigliere di An, affermando che i fucilati del 12 agosto ‘44 erano banditi estranei alla zona osteggiati dalla popolazione, aveva sollecitato la Giunta Provinciale a far eseguire uno studio apposito sulla tragica vicenda. Lo studio, “sponsorizzato” dal mondo accademico, è arrivato l’altro ieri sotto forma di una circostanziata e corposa relazione redatta da Ezio Simini. Lo storico della Resistenza e delle lotte operaie ha messo in luce le condizioni in cui si sviluppò il rastrellamento di Posina, con le formazioni partigiane indebolite dalla massiccia affluenza di nuove reclute, dall’enorme estensione del territorio controllato, dagli avvicendamenti nei posti di comando voluti dai vertici comunisti, dalla massiccia e articolata offensiva estiva posta in essere dai comandi tedeschi.
In questa situazione s’inserirono particolari vicende che ebbero un peso rilevante nell’episodio di Malga Zonta. «A Raga Alta -ha spiegato Simini-, vi era stato un pesante litigio tra Ferruccio Manea (Tar) e Severino Zordan (Bastardo), uomo della pattuglia del partigiano Negro, per questioni di autonomia. A fine luglio Valerio Caroti (Giulio), per evitare altri incidenti, decise di trasferire la pattuglia del Tar sul Pasubio, quella del Negro tra Malga Zonta e Malga Pioverna. Qui il Negro ed i suoi, tutti partigiani riconosciuti originari dell’Alto Vicentino, attendevano un lancio. Altro che banditi: erano pochi, solo alcuni armati, da poco arrivati, e non avrebbero potuto saccheggiare alcunché».
Chi fece allora i saccheggi, che a quanto pare ci furono? Simini ha tirato fuori l’asso nella manica, assicurando che la vicenda è assolutamente nuova ma perfettamente documentata: «Nella zona operava una banda di giovani, originari di Riofreddo di Arsiero, che si spacciavano per partigiani per eseguire razzie a danno della popolazione. Due furono catturati alla Strenta, forse da Bruno Viola, il Marinaio: uno riuscì a fuggire, l’altro, Fernando Dalla Fontana, si pentì e chiese di potersi riscattare. Fu rimandato a valle per convincere i compagni a restituire il bottino e consegnarsi, ma fallì. Ebbe però il coraggio di ritornare, sapendo di rischiare la fucilazione, ed il suo gesto fu apprezzato: fu aggregato alla pattuglia di Viola, giusto in tempo per essere fucilato, ma dai tedeschi. I suoi compagni, dopo la guerra, furono processati e condannati a Vicenza». Simini ha poi concluso la sua lunga esposizione narrando i fatti dello scontro vero e proprio e dell’eccidio finale, soffermandosi sulle ultime parole del Marinaio, che avrebbe anche sputato in faccia ai suoi carnefici.
La relazione è stata accolta con grande soddisfazione dagli studiosi e ricercatori convenuti, autori a loro volta, di seguito, di spunti interessanti. Vincenzo Calì, del Museo storico di Trento, ha esposto una panoramica della situazione nell’estate del ‘44; Mario Faggion ha fatto luce sulla figura della medaglia d’oro Bruno Viola; Maddalena Guiotto ha focalizzato sulle fonti archivistiche tedesche. L’assessore roveretano Fabrizio Rasera, espositore di una storia della celebrazioni di Malga Zonta, ha poi lasciato la parola allo storico toscano Giovanni Contini, studioso delle stragi tedesche e della loro memoria. I lavori, presieduti da Mario Isnenghi e da Enrica Piscel, si sono conclusi con l’intervento di Emilio Franzina, di cui riferiamo a parte, e con una tavola rotonda che ha visto partecipi, tra gli altri, Enzo Collotti Gustavo Corni e Camillo Zadra. Ma il momento più emozionante sono state le poche, simboliche parole pronunciate da Bruno Fabrello, all’epoca giovane malghese, miracolosamente sopravvissuto all’eccidio.
Il Giornale di Vicenza, 14 luglio 2001
«DANNOSO UNIRE LA STRUMENTALIZZAZIONE ALLE BEGHE LOCALI»
Mass media e ricerca storica a confronto. C’è stato spazio anche per questo alla giornata di studi su Malga Zonta, e non poteva essere altrimenti, considerando l’attenzione degli organi d’informazione verso avvenimenti del passato che suscitano nel presente, causa la loro valenza politica, discussioni e polemiche.
Emilio Franzina è intervenuto in modo specifico sull’argomento, chiamando in causa, insieme ad altri quotidiani veneti e trentini, anche il nostro Giornale. «L’uso pubblico della storia -ha detto lo storico di Vicenza- va gestito con prudenza. Il caso di Malga Zonta è esemplare: a beghe puramente localistiche, che non riguardano la sostanza delle cose, si aggiungono strumentalizzazioni politiche ben più ampie. Io sono convinto che tutti debbano avere l’opportunità di esprimere la propria opinione, e che ci possa essere dialogo tra giornalista e storico, ma a quest’ultimo deve essere riconosciuto un livello di esperienza e conoscenza leggermente superiore».
«Per quanto riguarda Malga Zonta -ha proseguito Franzina-, è irritante il tentativo di delegittimazione del passato per fini politici: si è voluto scollegare i fucilati dal movimento partigiano nazionale, e si vuole contrapporre al mito resistenziale altri miti. Va a finire che sono i giornali, poi, a creare una vera e propria opinione pubblica. Penso, per fare un esempio, alle lettere al direttore: a scriverle, ormai, sono sempre i soliti, quasi sempre politici. La gente è coinvolta, spesso senza difese, in un meccanismo ormai noto. Ogni volta che si parla di Malga Zonta poi si tirano fuori l’eccidio di Schio, Pedescala, le foibe, il Tibet».
E la polemica, aspra, ha trovato nuova linfa anche tra i muri della sala conferenze con l’intervento di Francesco Piscioli, consigliere comunale di Folgaria e critico risoluto di Malga Zonta sulle pagine della stampa trentina. Piscioli, peraltro osteggiato dalla platea, ha affermato che la commemorazione annuale è completamente estranea a Folgaria e ai folgaretani, ed ha esposto tre elementi, da lui definiti «falsi storici», riguardanti l’imprecisa didascalia delle notissime foto dei fucilati, l’iter mediante il quale le foto stesse vennero rese pubbliche, e le ultime parole di Bruno Viola, sostenendo: «Furono “Viva Stalin!“, non “Viva l’Italia!“».
Il Giornale di Vicenza, 21 agosto 2002
Lo scledense Simini autore di una ricerca sull’intera vicenda
LA GUERRA DEGLI STORICI CONTINUA
Un anno fa a Folgaria contestazioni sulla ricostruzione
Malga Zonta 58 anni dopo: una delle pagine più conosciute della lotta di liberazione nel Vicentino durante l’occupazione tedesca si trova puntualmente al centro delle discussioni in concomitanza con l’anniversario della fucilazione di Bruno Viola e compagni, eseguita durante il rastrellamento nazifascista del 12-14 agosto 1944. Dopo la recente pubblicazione sul nostro Giornale della testimonianza di Alfredo Battistella, sfuggito per un soffio al rastrellamento, lo storico Marco Pirina, direttore del Centro studi “Silentes Loquimur” di Pordenone e noto per le sue ricerche sulle foibe, è intervenuto con alcune puntualizzazioni che, anche se non sembrano modificare la sostanziale ricostruzione dei fatti, rinfocoleranno probabilmente la polemica.
Al di là dei dubbi posti sull’identità del corpo di Bruno Viola sepolto a Caldogno, Pirina si rifà alle ricerche di Francesco Piscioli, consigliere comunale di Folgaria e critico risoluto delle celebrazioni di Malga Zonta sulla stampa trentina. La prima riguarda la notissima foto che ritrae i partigiani poco prima della fucilazione, da sempre pubblicata con la dicitura “gli ultimi istanti degli eroi di Malga Zonta“: molti di essi -Piscioli fa nomi e cognomi- sarebbero stati invece rilasciati perché semplici malgari. Poi vi è la questione dell’origine della foto, che non sarebbe stata trovata nel portafogli di un tedesco, bensì consegnata dal sottufficiale Karl Willmann, del comando di Lavarone, ad Annetta Rech, e da lei al generale Donà. Infine i caduti non furono gettati su di un letamaio, ma sepolti in una fossa fatta scavare al momento (su questo c’è la testimonianza di Bruno Ossato, pubblicata dal nostro Giornale il 13.10.99).
Le argomentazioni di Pirina, il quale aggiunge che i partigiani si distinsero nella zona per saccheggi e vessazioni, furono esposte dallo stesso Piscioli nel giugno dello scorso anno, durante la giornata di studi su Malga Zonta tenutasi a Folgaria. Piscioli, nell’occasione pesantemente osteggiato dai convenuti, affermò anche che le ultime parole di Viola furono “Viva Stalin!” e non “Viva l’Italia!“. Una versione che sembrerebbe avere un certo credito, stante la testimonianza di alcuni degli scampati. Sul resto, invece, gli storici del convegno respinsero le argomentazioni di Piscioli definendole insignificanti per la vera storia di Malga Zonta. Tra essi lo scledense Ezio Maria Simini, che a Folgaria presentò un’approfondita ricerca sull’intera vicenda, nella quale la responsabilità dei saccheggi veniva fermamente respinta e ricondotta ad una banda di giovani di Riofreddo di Arsiero che agivano spacciandosi per partigiani. Guerra tra storici di opposte vedute, allora? Inevitabile, ogniqualvolta si parli degli avvenimenti del ’43-’45.
Il Giornale di Vicenza, 12 settembre 2002
A Schio il libro di Simini contro il “revisionismo” di Piscioli
SU MALGA ZONTA UNA NUOVA “VERITÀ”
A Malga Zonta ci si scontra ancora, 58 anni dopo il rastrellamento tedesco dell’agosto ’44. L’ultima commemorazione dell’episodio, tenutasi a Ferragosto sui luoghi dell’eccidio, ha visto le opposte fazioni sparare vecchie e nuove cartucce.
Francesco Piscioli, consigliere comunale di Folgaria e contestatore di Malga Zonta, ha distribuito un opuscolo di una decina di pagine, ribadendo le sue ormai note posizioni (già riportate dal nostro Giornale) su quelli che considera“falsi storici“: il dubbio sull’identità del corpo di Bruno Viola sepolto a Caldogno, le modalità di ritrovamento delle foto dei fucilati tramite l’austriaco Karl Willmann, il fatto che molti di essi furono in realtà risparmiati perché malgari e non partigiani, gli errori contenuti nelle lapidi.
A Piscioli ha risposto lo scledense Ezio Maria Simini, presentando quella che può definirsi la prima pubblicazione specifica sull’episodio, frutto della ricerca eseguita dallo stesso storico della Resistenza per il convegno di studi su Malga Zonta tenutosi lo scorso anno a Folgaria. In “Malga Zonta. La ricostruzione di un’eroica vicenda partigiana malamente contestata” Simini, per fugare ogni dubbio, ha ammesso che alla vicenda storica ha nuociuto, negli anni, la ricostruzione retorica ed agiografica: una breccia nella quale -si legge-, «si incuneano i tarli di una contestazione interessata, intollerabili dicerie che puntano a minare le fondamenta stesse della Resistenza».
Simini ha ricostruito il rastrellamento tedesco del 12-14 agosto 1944, un’azione di forza, inserita in un più vasto piano di eliminazione della minaccia partigiana tra Veneto e Trentino, resa più grave dalla crisi di crescita e da dissidi interni alle formazioni resistenziali. Nell’operazione avvenne appunto la sparatoria di Malga Zonta tra la pattuglia del“Marinaio” Bruno Viola, poi medaglia d’oro, e i rastrellatori, che fucilarono 14 partigiani arresisi al termine dello scontro assieme a tre malgari. Il fatto che altri malgari, ritratti nelle foto, siano stati risparmiati, è ormai accertato; allo stesso modo la vicenda del ritrovamento delle tre foto (una però risulta mancante) in sostanza non diverge nelle ricostruzioni di Piscioli e Simini, e fa cadere la tesi del rinvenimento nel portafogli di un tedesco.
Simini dice pure di reputare verosimile la versione di Piscioli sulle ultime parole di Viola: «Vigliacchi i tedeschi e i fascisti. Viva Stalin!». Respinge fermamente, però, la tesi che il corpo del “Marinaio” non sia quello sepolto a Caldogno e che sia morto addirittura il 6 agosto a Folgaria, una settimana prima del rastrellamento, sulla base di un documento dell’Anagrafe di Caldogno (ma nessun familiare assistette, secondo Piscioli, alla riesumazione). Altra confutazione arriva sui presunti saccheggi partigiani, addebitati ad una banda di giovani delinquenti di Riofreddo di Arsiero, processati e condannati a Vicenza nel ’51. Infine la vicenda delle lapidi del ’46, ’62 e ’81, riportanti incongruenze e inesattezze nei nomi dei partigiani e civili caduti. Errori che potrebbero essere corretti dallo scalpello: «Per disarmare quanti sarebbero capaci di costruire polemiche tanto speciose quanto odiose», conclude Simini.
Il Giornale di Vicenza, 12 agosto 2003
Eccidio di Malga Zonta, la testimonianza di Ampelio Cocco
«12 AGOSTO ’44, COMPIVO SEI ANNI. QUEL GIORNO UCCISERO MIO PADRE»
Furono 27 le vittime dell’operazione di rastrellamento dei tedeschi
«Mio padre è stato ucciso a Malga Zonta il 12 agosto 1944, poco dopo essere andato coi partigiani. Quel giorno compivo sei anni». È una storia triste, quella di Ampelio Cocco. Una storia personale che si lega con uno degli episodi più tragici della Resistenza locale, l’eccidio di Malga Zonta nell’estate del 1944, durante il feroce rastrellamento che colpì la Val Posina.
Ampelio Cocco, residente a Schio, compirà 65 anni oggi. Sarà a Malga Zonta ad assistere, come sempre, alla cerimonia che si tiene ogni anno in ricordo dell’eccidio e delle 17 vittime di quel tragico giorno, tra le quali ci fu non solo il padre Antonio, ma anche lo zio Angelo. Antonio Cocco, nato a Monte di Malo il 17 giugno del 1912, aveva fatto la guerra ed era rientrato a casa dai Balcani dopo l’8 settembre. Il più giovane Angelo Dal Medico, nato sempre a Monte di Malo l’8 novembre 1923, era il fratello della moglie Ida. Ampelio non era l’unico figlio della coppia: c’erano anche Pietro e Imelda, di quattro e tre anni. Una famiglia che stava andando verso un triste destino.
«Mio padre e mio zio -racconta Ampelio-, dopo che la situazione si era fatta difficile e i rastrellamenti tedeschi frequenti, decisero di unirsi ai partigiani della zona. Temevano di finire in Germania, ma non sapevano che li attendeva una sorte peggiore. Si erano infatti appena aggregati ad una pattuglia di Monte di Malo che venne ordinato il trasferimento verso gli altopiani trentini, attraversando la Val Posina e i Campiluzzi. La notte dormirono nella malga con Bruno Viola e gli altri, e la mattina presto si trovarono circondati».
«Dopo la battaglia e la resa mio padre e mio zio furono allineati al muro assieme agli altri e fucilati e sepolti in una buca di granata della Grande Guerra, come mi raccontò Bruno Fabrello, uno dei malghesi miracolosamente scampati alla strage. Li si può vedere nelle famose foto di Malga Zonta scattate appena prima della fucilazione: mio padre è il secondo da destra col berrettino, un po’ defilato, in quella dove si vede il soldato tedesco di spalle; mio zio è il secondo da sinistra, sempre col berretto in testa, nell’altra foto, quella presa dalla parte opposta».
Furono in totale 27 vittime del rastrellamento, tra il 12 ed il 14 agosto; decine e decine le case bruciate. Una vasta operazione, inserita nell’articolata offensiva estiva posta in essere dai comandi tedeschi per eliminare la scomoda presenza dei ribelli in tutta la fascia pedemontana, e che trovò le formazioni partigiane indebolite dalla massiccia affluenza di nuove reclute, dall’enorme estensione del territorio controllato, dagli avvicendamenti nei posti di comando della Brigata “Garemi” decisi in quei giorni dai vertici comunisti della formazione.
Antonio Cocco rimase orfano di padre proprio il giorno del suo sesto compleanno. E la famiglia si trovò di colpo senza sostentamento. «Credo che papà fosse l’unico tra le vittime sposato e con dei figli. Non ricordo quando venimmo a sapere della sua morte. So che mia madre andò a recuperare il corpo sul posto appena finita la guerra: erano rimasti solo degli scheletri, e riuscì a riconoscerlo dalla cintura dei pantaloni. In seguito ce la passammo veramente male: la mamma andò a lavorare al Lanificio Rossi a Schio, io e i miei fratelli finimmo in collegio a Santorso, dove non venivamo trattati propriamente bene. Furono anni difficili. Quando si provano tali sofferenze sulla propria pelle si ha solo voglia di augurare al mondo che certe cose non capitino mai più».
Ulteriori approfondimenti
Questi approfondimenti non ho potuto inserirli per motivi di spazio ma vi invito a leggerli per comprendere meglio la storia
Fai clic per accedere a PONCINA-71-mga-Zonta-2015.pdf
http://www.questotrentino.it/articolo/8089/la_verita_sull_eccidio_di_malga_zonta.htm
http://www.associazionelatorre.com/2011/08/malga-zonta-a-quando-la-verita/

