Cartografia : CAI Canale del Brenta e Massiccio del Grappa 1:25000
Descrizione
Dopo aver imboccato la Valsugana da Bassano del Grappa si prosegue a sinistra del Brenta , oppure si percorre la superstrada per Trento fino ad arrivare ad un ponte per raggiungere le Grotte di Oliero , superata l’entrata delle Grotte e arrivati al cimitero di Oliero in località Londa , si lascia l’auto e si prosegue a piedi scendendo verso Oliero di sopra , da li in mezzo le case si nota il segnavia del sentiero che parte proprio in una specie di canale fluviale , il sentiero e molto bello e classico delle zone una mulattiera di ciotolato in perfette condizioni di manutenzione adibita una volta per fare salire il bestiame sugli alpeggi , anche questo incrocia parte dell’alta via del tabacco , un’altro sentiero molto bello che passa gli antichi terrazzamenti adibiti alla coltivazione essiccazione e contrabbando del tabacco fino ad arrivare sulla fantastica valle delle Pozzette dove e d’obbligo entrare nella malga Le Pozzette , molto bella e ben curata dove si può anche acquistare dei prodotti tipici . Il sentiero non presenta difficoltà tecniche e molto scorrevole e bello , questi sono sentieri molto vecchi che in Valstagna sono molto frequenti e in ottime condizioni , certo si sale quindi qualche difficoltà rimane .
Cartografia : CAI Canale del Brenta e Massiccio del Grappa 1:25000
Descrizione
Dopo aver imboccato la Valsugana da Bassano del Grappa si prosegue a sinistra del Brenta , oppure si percorre la superstrada per Trento fino ad arrivare ad un ponte per raggiungere le Grotte di Oliero , superata l’entrata delle Grotte e arrivati al cimitero di Oliero in località Londa , si lascia l’auto e si prosegue a piedi superando la casa di riposo e si entra in un cortile di una casa segnalato attraverso il segnavia bianco rosso , si passa sotto un portico e si inizia una fantastica risalita attraverso i terrazzamenti ( masiere ) adibiti alla coltivazione del Tabacco , su supera una postazione di artiglieria e si entra nel sentiero dell’alta via del Tabacco , che viene percorso in parte , il sentiero e molto piacevole da percorrere anche se in alcuni tratti e ripido , molte sono le postazioni di avvistamento che permettono una visione panoramica del paese di Valstagna e della medesima valle , usciti dall’alta via del tabacco si incontrano diverse postazioni , si sale sulle cenge esposte, ma il sentiero è largo e buono, si attraversa l’impluvio della Valle Mille Covoli, quindi ai ricoveri del terrazzo roccioso, con grotte e trincee, della Grottona da dove si gode della più bella panoramica sulla Valbrenta, dalla forra di Cismon a Bassano del Grappa. Questo sentiero nel suo complesso e molto molto bello come del resto buona parte dei sentieri della Valstagna , anche se viene definito impegnativo io trovo che sia adatto a buona parte delle persone a cui piace la montagna , e d’obbligo una visita alla fantastica Malga Pozzette , che rientra nella parte di discesa del percorso per rientrare fino ad Oliero percorrendo prima il sentiero 800 e poi imboccando la fantastica mulattiera adibita alla salita del bestiame all’alpeggio sentiero 773
Complessivamente il sentiero, tra i più belli e panoramici della Valbrenta, è impegnativo e adatto ad escursionisti esperti ed allenati. Vi sono diversi tratti molto ripidi e faticosi, alcuni punti esposti tuttavia non pericolosi o difficoltosi data la larghezza della traccia. Da non sottovalutare la lunghezza ed il dislivello ed il fatto di trovarsi sempre in luoghi molto solitari ed isolati, nonostante all’inizio vi sia l’accompagnamento dei rumori della ‘civiltà’ della strada della Valsugana, e tra balze rocciose austere.
Cenni storici
Albino Celi ” El Vù “
Dedicato ad Albino Celi detto ‘El Vu’, per il fatto che dava del Voi a tutti, leggendaria figura di recuperante al quale si è ispirato il film ‘Il recuperante’ di Ermanno Olmi ed il libro ‘Le stagioni di Giacomo’ di Mario Rigoni Stern.
Pur essendo uno dei personaggi più noti in tutto l’Altopiano, erano in pochi a sapere il suo nome; il cognome non lo conosce quasi nessuno. Cominciò a lavorare ad Asiago, alla ricostruzione della città devastata dalla guerra. Un’attività che non gli piaceva perché alla sera doveva rispondere a qualcuno del suo operato, e infatti l’abbandonò presto per dedicarsi al recupero: un mestiere da poveri ma che non lo vincolava ad alcun capo o padrone. Cominciò a mettere insieme paletti in ferro, stufe da campo, legna da ardere. Tutte cose che i militari avevano abbandonato nelle trincee, nei baraccamenti, nelle gallerie e sul terreno. Poi si dedicò al recupero dei residuati bellici che era vietato, ma i controlli delle autorità erano scarsi e il Vu fu il pioniere di quella nutrita schiera di uomini che cercarono gli ordigni sparsi sull’Altopiano durante il primo conflitto. Li chiamavano i recuperanti. Per mangiare passavano il loro tempo cercando pezzi di metallo da vendere ai recuperi sparsi in zona. All’inizio si cercava il materiale pregiato come il rame, il bronzo, l’ottone, l’alluminio; il ferro era lasciato sul posto e raccolto alla fine, quando era l’unica roba commerciabile rimasta sul terreno.Diedero ispirazione al film di Ermanno Olmi “I recuperanti” e il modo di vivere in solitudine e in condizioni disagiate, per lo stile di vita semplice e schietto di Albino, figura più volte nel romanzo “Le stagioni di Giacomo” di Mario Rigoni Stern. Percorre la linea di postazioni approntate durante la prima guerra mondiale denominata ‘linea di sbarramento delle stelle e dei terrazzi’ (stelle per ‘stele’ o stee=tronchetti d’albero, e terrazzi per via delle masiere di Valstagna). Linea con capisaldi Col d’Astiago (raccordo sull’altopiano), Valstagna, Carpanè, Col Moschin (sul Grappa), con dietro l’altra linea di massima resistenza del Monte Campolongo (Rubbio, Altopiano), Tovi (Oliero), Case Gennari (Grappa), che dovevano coprire ed offrire la massima resistenza nel caso di sfondamento delle line dei ‘Tre Monti’ a Gallio durante la ‘Strafexpedition’ e controllare e battere il fondovalle della Valbrenta e Val Frenzela nel caso di sortite in valle. Per esigenze belliche venne approntato un acquedotto da Oliero (dalle sorgenti delle Grotte) al Col d’Astiago, sulle cui tracce è poi stato costruito l’attuale acquedotto che porta acqua sull’altopiano di Asiago.
Tratto Attrezzato e accessibile a tutti le corde servono come corrimano
Salendo la Valstagna , superato l’abitato di Cismon del Grappa , la valle prende il nome di Valsugana si sale fino ad arrivare alle Scale di Primolano , si entra nel paese (altrimenti la strada prende la galleria che porta direttamente ad Arsie senza passare per le Scale di Primolano), e si sale per la strada che porta ad Arsiè e da li si sale fino ad incontrare la tagliata che e sviluppata in tre pezzi ben distinti , questa fortificazione di importanza cruciale per bloccare il transito degli austriaci in Valsugana . Anche se si tratta di una struttura che in parte era già costruita ancora nella Terza Guerra di Indipendenza. Ora e ridotta in condizioni molto disperate , è in mano a privati e mal tenuta e piena di erbacce e rovi , un vero peccato per un’opera così interessante sotto il profilo storico
Cenni storici
Questa opera militare era la sede del comando Fortificazione Brenta-Cismon faceva parte della linea fortificata , progettata tra il 1875 e il 1879 per la paura di un’invasione austriaca dopo l’esito della terza guerra d’indipendenza , era costituita da tre Tagliate . La postazione allo scoperto del col del Gallo per interdire alle artiglierie di avvicinarsi alle tagliate . I forti corazzati di dotati di cupole girevoli in acciaio 130 mm dotati di cannoni 149/35 di Forte Leone (cima Campo) e quello di Cima Lan con compito di interdizione lontana lungo la Valsugana e la Valle di Primiero .
Si trattava di un complesso fortificato con funzioni di Tagliata stradale nei confronti delle rotabili Primolano-Fastro-Monte Sorist.Con l’opera delle Fontanelle svolgeva anche funzione di interdizione lontana sulla strada Fastro-Arsiè. Costruito tra il 1892 ed il 1895, era composto da un’opera inferiore (Tagliata della Scala) e da una superiore (Tagliata o Battuta delle Fontanelle). La prima consisteva di una batteria in casamatta, di una piattaforma per artiglieria attigua di 110 metri quadrati ed aveva inizialmente un armamento previsto di 6 cannoni da 120 B (Bronzo), 4 cannoni da 90 mm e 4 pezzi a tiro rapido, poi ridotto a 3 cannoni da 42 mm, 3 mitragliatrici e 3 cannoni da 87 B (Bronzo).La guarnigione era di 200 uomini, raddoppiabili in caso di conflitto. Posta su Cima Scala (389 metri s.l.m.) la Tagliata delle Fontanelle era sostanzialmente una batteria sprofondata in terreno di riporto. Circondata da un fossato largo 4 metri e profondo altrettanto, ospitava una cisterna da 90 mc per l’acqua ed aveva un armamento previsto di 4 pezzi da 120 BRC/RET (Bronzo Rigato Cerchiato a Retrocarica) e 2 pezzi a tiro rapido. La guarnigione era di 40 militari aumentabili a 90 in caso di guerra. Il rapido spostamento delle persone tra le due fortificazioni era assicurato da un camminamento coperto che iniziava presso la costruzione a torre dell’estremità nord-est della batteria inferiore e proseguiva a spezzoni, adattandosi alla forma del terreno, fino alla fortezza superiore.Questa “caponiera” di collegamento era munita di decine di feritoie per fucilieri dalle quali era possibile tenere sotto controllo ogni tratto della strada che da Primolano sale a Fastro. Ambedue le opere, inutilizzate nel conflitto e dismesse nel Novembre del1916, vennero gravemente danneggiate durante la ritirata sul Grappa. La Tagliata delle Fontanelle venne poi definitivamente demolita dagli Austriaci alla fine dell’Ottobre del 1918, immediatamente prima della fine della Guerra.
Questa opera militare era la sede del comando Fortificazione Brente-Cismon faceva parte della linea fortificata , progettata tra il 1875 e il 1879 per la paura di un’invasione austriaca dopo l’esito della terza guerra d’indipendenza , era costituita da tre Tagliate . La postazione allo scoperto del col del Gallo per interdire alle artiglierie di avvicinarsi alle tagliate . I forti corazzati di dotati di cupole girevoli in acciaio 130 mm dotati di cannoni 149/35 di Forte Leone (cima Campo) e quello di Cima Lan con compito di interdizione lontana lungo la Valsugana e la Valle di Primiero .
Si sale in auto fino al rifugio Balasso attraverso il 300A che si collega al 300 , oppure fino a Malga Prà , li si lascia l’auto e si sale fino alla chiesetta di San Marco , nelle vicinanze della Casa colonica di Marano Vicentino , da li parte il sentiero 300 Val Canale , questa via e la più veloce per salire al Rifugio Papa , l’inizio e molto piacevole e presenta tratti boschivi alternati con tratti di ghiaioni dei Vaj del Pria Favella , si continua salire per questa mulattiera abbastanza larga finche non si incontra un bellissimo pianoro , con un sottobosco splendido , circa 200 metri e poi si entra nella Val Canale vera e propria , che trattandosi di una valle fluviale e piena di detriti e ghiaioni anche se il sentiero situato sulla sinistra e ancora integro , salendo si nota la fessura del Vajo Sud , poi proseguendo i ghiaioni del 311 direttissima val Canale o Boale dei Cavi , poi una piccola fessura che si snoda prima sulla sinistra e poi a destra chiamato il Boale d’inverno , e poi un piccolo avvallamento dove inizia il tecnico Vajo Papa , ma comunque si prosegue dentro il letto fluviale attraversandolo in diverse occasioni , poi la salita inizia ad essere più ripida e severa anche se con zig zag la rende meno difficile , si affronta un traverso su ghiaione stabile per poi raggiungere una specie di sentiero tra le rocce per affrontare l’ultimo pezzo ed entrare per chi vuole nella strada degli Eroi , ed arrivare al Rifugio . Per quanto riguarda la difficoltà il sentiero e abbastanza semplice , richiede un buon approccio con la montagna e un pò di attenzione nel tratto esposto , ma per il resto è questione di fiato , la discesa può essere fatta dalla strada degli eroi 179 che poi alla fine della stessa si collega alla casa colonica ed al posteggio del Rifugio Balasso .
Nel ricordo di chi ha combattuto su queste rocce , su queste guglie , in sanguinose battaglie corpo a corpo e quella che è stata la guerra di mine , un massiccio che ad ogni passo racconta una storia e che racchiude nelle sue viscere ancora tanti segreti , salirci ora è facile ma comprendere tutte queste vicende non e sempre possibile , sopratutto per le generazioni a venire , ho fatto un piccolo video per omaggiare questo luogo sacro ed ardito …semplicemente per NON DIMENTICARE E PER FARE SAPERE .
Voglio ricordare che per vedere quello che e presentato in questo piccolo lavoro non bastano 2 giorni , il consiglio che posso dare passate 4-5 giorni su questa montagna solo così potrete saziare la voglia di sapere , anche se questo vi farà ritornare ancora per saperne di più.
A seguire gli scritti che sono presenti nel video :
Monte Pasubio Terra di nessuno
A TUTTI QUELLI CHE POTRANNO VEDERE QUESTA PRESENTAZIONE , IL TENTATIVO DI DESCRIVERE A PAROLE E FOTO IL SENTIERO DELLE GALLERIE ED IL MASSICCIO DEL PASUBIO PUO’ AD UTENTI INESPERTI SEMBRARE SODDISFACENTE , MA E’ SOLO PERCORRENDOLO SI POTRA’ TRARRE LA VERA GRANDEZZA DI QUESTA OPERA CHE HA IMPIEGATO MIGLIAIA DI PERSONE PER LA SUA COSTRUZIONE .
Narrare il susseguirsi delle vicende legate a questo Massiccio non è facile ci impiegheremmo mesi e mesi di lavoro per poter collegare e comprendere gli eventi bellici che hanno infiammato questa terra e questa montagna , le numerose battaglie che hanno riempito di sangue questo glorioso monte che chiese un grande sacrificio umano sia da una parte che dall’altra dello schieramento italiano ed austroungarico . Salire su questo massiccio dove la quota principale e di 2232 metri non e impossibile lo possono fare tutti anche se il percorso e molto di più di semplice sentiero di montagna , sia che si salga dalla Strada degli Eroi , sia che si salga dalla Strada delle 52 gallerie , una mastodontica opera di genio militare , costruita per poter salire fino alla quota massima al riparo del fuoco d’artiglieria del Nemico , per evitare di salire sulla Strada degli Scarrubi che era molto più agevole alle truppe ma in piena vista del nemico.
Strada delle Gallerie
Questo percorso e il forse il più spettacolare compatibilmente con la giornata non sempre bella , sotto il profilo sia tecnico che fisico non presenta grosse asperità il tempo di percorrenza e intorno alle 3h anche se presenta un dislivello di circa 1000 metri, e quindi praticabile a tutte la persone che ne vogliono apprezzare il grande valore storico e naturale di questo paesaggio unico fatto di guglie che si ergono verso il cielo , pareti che salgono dritte e che scendono a picco sui vaj sottostanti , da ammirare la grande opera di costruzione delle gallerie nel periodo della guerra 15-18.
E uno dei sentieri più belli da percorrere le foto hanno solo la possibilità di documentare una piccolissima parte dell’immensa opera fatta dall’uomo , anche perche salendo verso la chiesetta di Santa Maria e l’Arco si possono notare altrettante opere del periodo bellico … anche se all’imbocco della strada e stato sciupato e svilito da un macabro e nauseante mausoleo ai piedi della strada delle gallerie a bocchetta campiglia a mio avviso troppo fuori luogo .
Cenni storici
Fu realizzata dalla 33ª Compagnia minatori del 5° reggimento dell’Esercito italianocon l’aiuto di sei centurie di lavoratori: compagnia 349, 523, 621, 630, 765 e 776). A capo della 33ª Compagnia fu a capo il tenente Giuseppe Zappadal 18 gennaio al 22 aprile 1917 Lo succedette il capitano Corrado Picone fino alla fine della guerra. Vero e proprio capolavoro di ingegneria militare e di arditezza (considerando le condizioni e l’epoca in cui fu costruita, nonché la rapidità d’esecuzione: i lavori cominciarono il 6 febbraio 1917 e furono conclusi nel novembre 1917. Nei primi giorni di dicembre 1917, prima di lasciare il Pasubio, la 33ª Compagnia minatori inaugura simbolicamente la strada abbattendo un muro costruito appositamente davanti la prima galleria. Sarà la 25ª minatori, assieme alle centurie rimaste, ad ultimare la strada, tra cui le gallerie 49 e 50, ed aprire in definitiva la strada. La sua realizzazione fu di grande importanza strategica in quanto permetteva la comunicazione e il passaggio dei rifornimenti dalle retrovie italiane alla zona sommitale del Pasubio ove correva la prima linea al riparo del fuoco nemico e nel corso di tutto l’anno, contrariamente alla rotabile degli Scarrubi, accessibile sì da mezzi motorizzati, ma in condizioni molto più pericolose, sotto i colpi dei cannoni austriaci, e soltanto nel periodo estivo.
Sulla sua facciata del Rifugio Achille Papa sono incastonate alcune lapidi, come il comunicato in seguito alla cruentissima battaglia del 2 luglio 1916, in cui l’esercito italiano respinse a fatica la vigorosa avanzata austro-ungarica
«Chi ha salito senza palpiti d’amore questo Calvario della Patria;
chi non sosta con animo purificato
su questo roccia gloriosa,
non entri in questo Rifugio,
né contempli da queste libere altezze
la dolorante fecondità del piano e il mistero dei cieli. »
Romana Rompato
Strada Degli eroi
La strada degli Eroi vera e propria è il tratto lungo circa 2 chilometri che collega la Galleria d’Havet al Rifugio Achille Papa, situato alle Porte del Pasubio. Scavata sulla destra orografica delle pareti verticali a precipizio sull’impervia Val Canale, presenta un fondo naturale piuttosto dissestato.Il nome deriva dal fatto che sulla parete rocciosa sono collocate delle targhe in onore delle 15 Medaglie d’Oro al Valor Militare che combatterono sul Pasubio durante la Grande Guerra.Per estensione con il termine di Strada degli Eroi ci si riferisce all’intera rotabile della Val Fieno, che sale dal Pian delle Fugazze (1162 m), al confine fra la provincia di Vicenza e di Trento, e arriva fino al Rifugio Papa (1928 m).La strada, chiusa al traffico motorizzato è lunga nella sua interezza 10,6 chilometri, segnati da pietre miliari che ogni chilometro danno la distanza dall’inizio. Il fondo è naturale, tranne per alcuni tornanti asfaltati, con un percorso tortuoso nella Val Fieno per salire con pendenza piuttosto costante e mai particolarmente impegnativa se non nel tratto finale prima della Galleria d’Havet, lunga poche decine di metri, che permette di passare nella Val Canale appena sotto il crinale dello spartiacque.Durante il conflitto mondiale era solamente un sentiero e venne in seguito allargata per permettere un comodo accesso alla Zona Sacra, in alternativa della strada degli Scarubbi in cui la neve permane molto più a lungo a causa dell’esposizione a nord. Chiusa al traffico motorizzato negli anni ottanta a causa della pericolosità del tragitto soprattutto nel tratto finale, è oggi molto frequentata dagli escursionisti sia a piedi che in mountain bike. Rimane infatti una delle principali vie d’accesso alla sommità del massiccio perché può essere percorsa anche da chi ha poca confidenza con la montagna.
PERCORRENDO QUESTI LUOGHI DOVE TANTO SANGUE E STATO VERSATO , PENSATE A QUANTI HANNO PERSO LA VITA SU QUESTE ROCCIE PER UN’UNICO IDEALE DI LIBERTA’ .
VIATORE SOSTA REVERENTEGUERRA ITALO AUSTRICA 1915 – 1918
LA 326° COMP DEL GENIO ZAPPATORI
NELL’ANNO 1917
REDUCE DAI LA VORI DIFENSIVI E OFFENSIVI
NELLE LOCALITA’
DENTE ITALIANO SELLETTE QUOTA 2081
CORNO DEL PASUBIO FORNI ALTI CUARO
FONTANA D’ORO SOGLI ROSSI
INIZIO’ E COSTRUSSE A COMPIMENTO QUESTA STRADA
CONGIUNGENTE
PORTE DEL PASUBIO CON LA GALLERIA D’HAVET
SCOLPITA NELLA ROCCIA A STRAPIOMBO
OVE PRIMA SOLTANTO L’ALI AVEVANO DOMINIO
FU IN SEGUITO DENOMINATA
LA STRADA DEGLI EROI
DELLE COSPIQUE OPERE POSTUME APPORTATEVI
AD ALTRI IL MERITO
UN SUPERSTITE
DELLA 326 COMP. 1° REGG. GENIO
ANNI 1916 E 1917 SOCIETA’ ESCURSIONISTI PASUBIO
S.E.P.
VALDAGNO
ANNO 1979
Soglio dell’Incudine
Sotto il profilo storico presenta una svariata serie di postazioni sotto e dentro all’incudine che guardano verso la parte della Vallarsa , salendo arrivati appena sotto l’incudine si può notare sia i pilastri di sostegno che la galleria che ospitava l’arrivo della teleferica adibita per il trasporti vari , anche perchè nella parte sopra l’incudine , appena sotto il Cogolo alto ci sono diversi resti di opere murarie a secco adibite a ricoveri perche riparate dal fuoco nemico ,reste poi la galleria che collegherebbe la zona bassa fino al Cogolo alto.
Sentiero tricolore
Un invito particolare percorretelo con molta calma, prendetevi il tempo per soffermarvi su quelle grandi opere fatte durante la guerra e poi chiudete gli occhi e provate ad immaginare i sacrificio umano e il sangue versato su queste montagne , ricordando sempre che nelle guerre non esiste un vinto ne un vincitore come descritto nella croce sul dente austriaco ” nemici in terra ma fratelli in Cristo “.
Camminate piano provate ad uscire magari anche dal sentiero si possono ancora trovare delle ossa di qualche EROE che ha combattuto per l’ideale di libertà. Ricordate inoltre che negli inverni durante la guerra la coltre nevosa reggiungeva anche i 10 metri di altezza
Pernottate al Rifugio Papa salendo dalle gallerie per poi il mattino seguente poter camminare ed ammirare con calma questi luoghi , portate con voi una TORCIA per poter entrare nella gallerie che sono state rese agibili in buona parte.
LE FOTO PER QUANTO POSSONO DARE L’IDEA DELL’AMBIENTE , DELLA CRUDEZZA DI QUESTO LUOGO NON RIESCONO A DONARE A VOI CHE LEGGETE LA MINIMA PARTE DI QUELLO VI VERRA DONATO PASSANDO SU QUESTA MONTAGNA
La guerra sotteranea dei Denti
La sommità estrema del Pasubio ovvero la parte posta tra il Dente italiano ed il Dente austriaco fu teatro di una guerra sotterranea di una certa entità i lavori di scavo furono vasti ed prolungati fino a raggiungere gallerie molto lunghe e ramificate , su cui venivano approntate le cariche esplosive , un continuo studio con geofono per captare i lavori del nemico resero molto pericolosi e difficili i lavori sia di mina che di contromina , le perforatrici alimentate da compressori situati a distanze incredibili ( centrale malga Busi ) diedero la possibilità a tutto questo , l’obiettivo degli austroungarici era di penetrare al di sotto delle gallerie italiane per farle saltare , per motivi tecnici di spazio riporterò solo gli orari delle mine :
29 settembre 1917 ore 0,30 prima mina austroungarica , 500 kg di esplosivo
2 ottobre 1917 ore 9,20 prima mina italiana 13,000 kg di gelatina esplosiva
22 ottobre 1917 ore 16,30 seconda mina italiana 1000 kg di esplosivo
24 dicembre 1917 ore 5 seconda mina austroungarica 1700 kg di gelatina inoltre una seconda camera di scoppio con 6400 kg scoppiava assieme alla mina italiana in fase di intasamento causando molte vittime
21 gennaio 1918 ore 13,35 terza mina italiana 600 kg di gelatina
2 febbraio 1918 ore 3,00 terza mina austroungarica 3800 kg di esplosivo
13 febbraio 1918 ore 16,45 quarta mina italiana dati esplosivo inesistenti
5 marzo 1918 ore 17,30 quinta mina italiana dati esplosivo inesistenti
13 marzo 1918 ore 4,30 quarta e ultima mina austroungarica ,dopo aver raggiunto la lunghezza desiderata sotto le posizioni italiane venivano caricate due camere di scoppio una da 20000 kg e l’altra da 30000 kg di gelatina esplosiva fatte saltare contemporaneamente e dando luogo a quello che oggi resta il dente italiano dai diari storici risulta che le grida dei soldati sepolti dalla mina durarono per due giorni , mentre le piccole esplosioni causate dai gas durarono fin dopo alle 11 del mattino .
Questa e solo una piccola parte di ciò che e successo su questa parte di storia , la difficoltà degli scavi , il trasporto dei detriti , il trasporto dell’esplosivo e il suo successivo intasamento con sacchi di sabbia , rendono molto bene l’idea di quello che è successo , gli scoppi per simpatia durante gli intasamenti erano frequenti i gas di esplosione e il fuoco hanno fatto la loro parte . La complessa struttura delle gallerie fanno capire i grossi lavori compiuti per questa distruzione , per questo accanimento che non ha avuto ne vincitori ne vinti , solo morti ….morti per la libertà per un ideale , per un valore a cui credevano forse per ignoranza ed ostinaziona , che le generazioni di oggi non sanno nemmeno cosa vogliano dire …ma a loro va il mio pensiero più sincero , a chi e morto per un ideale a questi EROI
Strada degli scarrubi
La strada degli Scarubbi e stata costruita per poter salire da Colle Xomo , passando per bocchetta Campiglia fino ad arrivare alle porte del Pasubio , presente circa 1000 metri di dislivello in circa 10 km , dapprima era una semplice mulattiera costruita dagli alpini poco prima della guerra . Il 25 di maggio del 1915 con l’inizio delle ostilità fu percorsa dagli alpini della 259° compagnia del battaglioval Leogra e dal Battaglione Vicenza occupando il Pasubio , successivamente fu allargata dal Genio per poter fornire approvvigionamenti e munizioni , la percorrero anche in piena Strafexpedition i fanti del 3°battaglione del 218° Reggimento della Brigata Volturno , allo scopo di fermare l’avanzata dei reparti austriaci sul dente Austriaco . Inizialmente era l’unica via d’accesso al Pasubio anche se il transito più di qualche volta doveva venire di notte con numerosi problemi per i trasporti e le persone , a causa della presenza di artiglierie austroungariche nella dorsale della borcoletta e del Monte Majo che rendevano impossibile il transito con il chiaro del giorno nonostante la mimetizzazione con con frasche , reti e tralicci . Furono anche approntati diversi camini da mina nella parte più stretta della strada per fermare l’avanzata austroungarica. Inoltre il problema più grosso si ebbe quando l’inverno fece la sua parte rendendone impraticabile il passaggio , per queste difficotà fu progettata e costruita la strada delle 52 Gallerie , per poter fornire approvigionamenti di ogni genere in quota.
Monte Corno Battisti
Durante la notte sul 13 di maggio, da Cima Alta arriva il cambio per gli sparuti difensori all’interno del monte Corno , il cambio avviene attraverso una feritoia allargata a Cima Alta, raggiungibile da una scala di corda posta lungo un canalino e che attraversa verticalmente il monte corno e che più in basso attraversa il sentiero . Il cambio e il rifornimento vengono fatti di notte in quanto gli austriaci al minimo rumore iniziavano a sparare, buttare bombe e valanghe di sassi sul passaggio obbligato essendo loro in cima al corno. Sono le 14 pomeridiane dopo aver discusso la possibilità di attaccare dall’esterno , il tenente Carlo Sabatini e il sergente Degli Espositi trovano altri tre uomini e una fune e si preparano a salire dal canalino attraverso lo sperone di roccia molto friabile , ma e l’unico modo perchè il nemico non li possa vedere , la via della scalata non era facile a causa della friabilità della roccia . I provetti scalatori si armano di pugnale e di petardi thavenot e inizia la scalata il tenente Sabatini uscendo dalla feritoia allargata arrivato in una piccola cengia si appresta a far salire gli altri e anche se cade qualche sasso gli austriaci sono convinti che nessuno possa salire da quella posizione e quindi non la sorvegliano neanche .Dagli osservatori interno si possono scorgere i cinque uomini allineati come formiche che salgono lungo la parete , ad un certo punto il tenente Sabatini si stacca e sale fino alla cima raggiungendo uno scudo con la feritoia e nota dentro la feritoia la sentinella austriaca che sta chiaccherando con un’altra , atttende che gli altri uomini siano vicino a lui e con poche parole disse “ammazzarli tutti altrimenti ci rovesciano giù” lancia prima un petardo e poi assalta la postazione urlando .
“la mischia è rapida ed orrenda , a pugnalate nel ventre , ferocia senza quartiere .Quelli che accorrono di rinforzo da un’altra galleria vanno all’altro mondo senza rendersi nemmeno conto di cosa stia accadendo . Qualcuno viene anche rovesciato nei canaloni .Questo gesto è valsa la medaglia d’oro al valore al tenente Carlo Sabatini
Ricordo la cattura di Cesare Battisti e Fabio Filzi :
La ricostruzione più attendibile Sottotenente Ingravalle “cessata la sparatoria , odo la voce di Cesare Battisti , lo chiamo tacendo il suo nome Tenente? Battisti si avvicina chiedendo notizie .Mi risponde informandomi sulla situazione e mi dice “ora per me rimane solo la forca “. Ecco avvicinarsi un ufficiale nemico : e il cadetto Brunello Franceschini della Val di Non , accompagnato da 4 soldati .Si volge a Battisti e gli ingiunge di consegnarli la pistola . Battisti alza il capo con fierezza e risponde : mi sono battuto onorevolmente e consegnerò l’arma ad un superiore e mai ad un inferiore .Il rinnegato Franceschini tace , evidentemente imbarazzato .Poi gli chiede il binocolo : no -risponde Battisti questo e di mia proprietà”
Fabio Filzi (Brusarosco)
Anche Filzi fu catturato in cima al monte corno e continuo ad insistere sulla sua identità segnalata nei suoi documenti , ovvero sottotenente Brusarosco di Vicenza , tuttavia pensava di non poter essere riconosciuto se non che venne riconosciuto ad Aldeno da una famiglia di Rovereto che ne conoscevano la famiglia di provenienza.
Lettera del Maggiore Frattola al padre di Filzi
” appena catturato suo Figlio , che aveva il nome di guerra Brusarosco , fu subito riconosciuto dal tenente austriaco Franceschini , separato dagli altri prigionieri e guardato a vista da una sentinella :gli altri prigionieri tra i quali ero io , stavano in un gruppo a parte compreso io .Suo figlio appena mi vide , mi rivolse la parola e mi prego d’intervenire in suo favore perchè gli fosse riservato un trattamento uguale agli altri prigionieri . Mi rivolsi ad un maggiore austriaco per ottenere uguaglianza di trattamento , ma a nulla valsero le mie insistenze…”
Racconto di una notte a Cima Palon quota 2232
Alle 19 circa mi trovavo al rifugio Balasso dove metto l’auto la maggior parte delle volte quando salgo in Pasubio , nel mio zaino c’era tutto , o almeno quanto sarebbe servito in quella circostanza , la tenda il sacco a pelo , il vestiario adatto alle condizioni climatiche di questo periodo …chiudo l’auto e accendo la frontale mentre guardo in alto le luci del rifugio Papa ancora accese …scelgo la salita per il 300 della val canale dove ormai conosco tutte le pietre , salendo mi fa compagnia il soffio di qualche camoscio che si sta chiedendo ” ma questo dove va in giro di notte ” e qualche rapace notturno che muove qualche ramo …si sente anche qualche movimento di sassi mossi dal mio amico camoscio che segue con interesse ogni mio movimento , io li vedo solo dagli occhi luccicanti mentre li guardo con la mia lampada frontale , proseguo la mia risalita incurandomi di loro , proprio come faccio di giorno , ammirandone solo la maestria con cui si muovono negli irti strapiombi quasi invidiando la loro agilità ” fa che il mio piede poggi sicuro come fanno i camosci “. Ho continuato a salire fino al rifugio Papa che da poco aveva spento le luci esterne , ma il mio obbiettivo era la cima , cima Palon 2232 metri , li volevo piantarla o almeno poco distante , la mia piccola tenda nella vastità del massiccio,e nel pensiero di tutte le vite spezzate in questa sacra montagna , nel silenzio del suo cuore , vicino alle sue viscere e tra le pietre che conservano la storia del mondo , superato il rifugio Papa ho proseguito per il 105 sentiero delle creste o tricolore , anche questo lo conosco molto bene , del resto sono 40 anni che ci salgo , c’e la pace e un silenzio assordante , si vedono le luci della città dei paesi tutto intorno un’inquinamento di luci davvero esagerato , ma lassù ci sono io e la mia piccola frontale , eccoci 21.50 cima Palon …che emozione …e lei era li davanti a me , la mia meta . Mi accingo a trovare un posto per piantare la mia piccola tenda , qui sulla vetta ci sono solo sassi , ma più in basso girovagando per 20 minuti trovo un posto riparato dal possibile vento che di solito fischia imperterrito su questo luogo , trovato , proprio all’uscita di una trincea di ricovero italiana a circa 100 metri da cima Palon , pianto la tenda con l’uscita girata verso dove sorgerà il sole , e dopo aver girato ed ammirato la straordinaria notte stellata mi accingo ad andare a dormire , mi bevo un po di caffelatte dal mio thermos , ed entro nel sacco a pelo , verso le 3.00 arriva puntuale il vento …ma non importa ogni tanto guardo fuori il panorama , sempre unico e fantastico …alle 7.15 inizio a prepararmi per uscire a gustarmi il Pasubio all’alba…mi guardo in giro la distesa di nuvole nella pianura fa sembrare quasi un mare , un mare di qualcosa di morbido su cui tuffarsi , ma io sono sopra ed aspetto solo …IL SOLE
Ossario del Pasubio
L’ossario, visibile anche da grande distanza, è preceduto da un vasto piazzale ove sono collocati vari pezzi d’artiglieria: si tratta di una pregevole costruzione di gusto razionalista, un vero e proprio “faro” alto 35 metri e costituito da due parti: l’ossario vero e proprio e il sacello.
Dal basamento della torre si accede all’ossario attraverso una porticina di ferro battuto: qui si trova una cripta centrale ove sono raccolti i resti di 70 soldati decorati al valore militare e ove è tumulata la salma del generale della Prima Armata Guglielmo Pecori Giraldi, deceduto nel 1941.
Attorno alla cripta centrale vi sono due stretti corridoi concentrici, disposti su due piani e contenenti i loculi in cui riposano i resti di circa 13.000 soldati, italiani e austriaci, noti e ignoti. Nel corridoio superiore i loculi sono rivestiti da una lastra di vetro istoriata con marmo che lascia intravedere le ossa dei caduti ignoti.
Nella parte posteriore della torre si trova il sacello, a cui si accede salendo una breve scalinata: nel piano inferiore della cappella si trovano un altare e una statua della Vergine: le pareti sono decorate da affreschi eseguiti dall’artista toscano Tito Chini (1898-1947) e da vetrate artistiche dell’Antica Fornace di Borgo San Lorenzo. Una targa ricorda che le opere sono state restaurate negli anni Novanta del secolo scorso con il determinante contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, con il concorso dell’Amministrazione Provinciale di Vicenza e dell’associazione provinciale dei Bersaglieri.
Un’irta scala porta nella parte superiore della torre: sulle pareti si leggono i nomi di tante montagne teatro di sanguinosi scontri e s’apprezzano numerosi e pregevoli affreschi.
Da ricordare infine che la zona sacra del Colle di Bellavista, oltre a contenere la monumentale torre con l’ossario-sacello, ospita in un vicino edificio il Museo della Prima Armata, riallestito e quindi inaugurato nel 2005. Il museo è costituito da quattro sale e offre un percorso ricco ed articolato, con affascinanti ambientazioni e una sala multimediale. Oggetti e pannelli esplicativi “raccontano” gli avvenimenti, le persone, gli equipaggiamenti e le armi che hanno reso “quella” guerra la Grande Guerra: attenzione particolare è dedicata al fronte della Prima Armata e quindi al settore del Pasubio.
Ci sono due vie per salire al Cornolò , la prima quella ufficiale sale ad Arsiero e si prosegue la strada verso Posina , superata la galleria e scesi di quota lungo il rettilineo si incontra un bivio a destra che porta nella Val Rio Freddo , si prosegue dritto fino a superare la stretta gola del torrente Posina , si prosegue fino ad incontrare una mulattiera sulla destra abbastanza nascosta nella parte iniziale a causa delle reti paramassi che ne complicano la vista. Inoltre e presente i resti del corpo di guardia del Forte.
La seconda via per salire al forte Cornolò forse più semplice a livello di facilità e sicurezza e quella che arrivati al primo bivio che porta Rio freddo la si imbocca e poco più avanti si lascia l’auto vicino una cabina dell’Enel da li si sale il ripido bosco che porta ad un pianoro prima di vedere le rovine del forte.
Il forte ormai si presenta solo come un ammasso di rovine il sentiero e privo di segnalazione e bisogna avere un po di orientamento , e in basso sulla valle riofreddo si nota l’omonima contrada Cornolò
Cenni storici
Il Forte fu costruito in maniera innovativa e presentava un’opera di sbarramento nella valle , che con la batteria scoperta di monte Aralda che forniva una buona copertura di appoggio . Il forte presentava 4 moderne installazioni con pozzo e con la cupola leggera da 40mm in acciaio dotate di 4 cannoni da 75mm A praticamente una struttura unica con due bastioni dotati di 4 mitragliatrici in casamatta a protezione delle mitragliatrici , era lungo circa 60 metri , il forte fu fatto saltare in aria durante la ritirata del 25 giugno 1916 .
1 maggio 1913: secondo quanto riferito da un confidente, a causa della sua sfavorevole posizione, questa opera dovrebbe essere abbandonata e ciò dovrebbe rispondere a realtà. Cornolò è un ottimo sbarramento stradale, le corazzature non sono ancora installate e dispongono di corazze antischeggia per pezzi da 120 mm, che possono agevolmente essere trasferite. L’edificio a due piani hai/ puntamento di tiro principale verso Castana, è lungo 45 m ed è situato appena a Sud Ovest de lpunto più elevato della dorsale sulla quale è piazzato. A Sud del Forte, sul lato Nord della strada per Arsiero e sulle pendici Sud del monte cui poggia, c’è una Caserma in muratura a due piani lunga 20 m ed alta 7,collegata con una poterna alla polveriera. A 500 m a destra ed a sinistra del Forte,collegate con strade, ci sono due postazioni d’artiglieria, ciascuna per 3 pezzi da120 mm e puntamento principale di tiro Castana e la Val di Rio Freddo. I 4 cannoni da 120 mm A assegnati a Cornolò si trovano presso la Caserma e vengono utilizzati per addestramento. 15 febbraio 1914: sebbene si confermi la presenza di cupole corazzate con tutti gli accessori, visualmente il fatto non può essere constatato. Si notano 5 punti uniformi scuri sul tetto, paragonabili più a scudi piani per casamatta. Una recentissima credibile informazione informa che si tratta di cannoni da 75 mm A su piattaforme a scomparsa, per cui fu anche spiegata la difficoltà di riconoscerle. Il Forte ha ora anche una linea di Fanteria sul fianco destro e la casupola ivi esistente è scomparsa. 15 maggio 1914: le numerose contraddizioni fra le singole notizie non consentono di ottenere un chiaro quadro dell’armamento e del tipo di corazzatura. Con prudenza viene anche assunta l’informazione che il Forte non sarebbe armato e che sarebbe usato soltanto come caserma. “
Fonte : Robert Striffler Da Forte Maso a Porta Manazzo
Ma ricostruire le vicende di questo forte in maniera reale risulta molto difficile varie vicende e situazioni storiche e possibili errori ne complicano le cose , sia per il suo abbandono di chi fosse la responsabilità e sopratutto la ricostruzione dei fatti sulla sua distruzione da parte degli austroungarici.
Cartografia : CAI Altopiano dei Sette Comuni 1:25000
Come raggiungere
Dopo aver salito il costo di Asiago superato l’abitato di Tresche Conca si prosegue verso Canova per poi alla rotatoria imboccare la strada per Camporovere , dopodiche si prende la strada della Val D’assa fino ad arrivare al Passo Vezzena dove si lascia l’auto .
Descrizione
Questo itinerario e molto importante sotto il profilo storico per i grandi avvenimenti che successero nell’altipiano delle Vezzene , Basson , Campo Luserna , Forte belvedere una linea di aspi combattimenti .Il sentiero 205 non partirebbe da li ma da qualche km più a nord , ma risulta essere più utile partire da li salendo dopo l’albergo prima verso il forte Busa Verle da dove come narrava Fritz Weber parti il primo colpo di cannone verso il forte Vezzena perche avrebbero visto alcuni fanti italiani salire verso il forte. Si sale il sentiero 205 su un terreno ripido e divenuto oramai boschivo verso il forte Vezzena situato ad una quota molto più alta , il sentiero poi esce dal bosco e sale ripido su fondo roccioso e strapiombante verso il lago di Levico e Caldonazzo donando dei scenari fantastici ed incredibile , il sentiero e sicuro e non presenta difficoltà senonchè la salita che poi spiana leggermente quando si incrocia la mulattiera , per poi vedere il Forte nella sua grandezza il sentiero poi prosegue con saliscendi passando per Bocca di Forno , risalendo verso cima Mandriolo per poi arrivare fino a Porta Manazzo , con una visuale verso Malga Larici .
Cenni storici
Forte Busa Verle
Il forte Verle venne costruito come linea di sbarramento e di controllo per la Val D’assa e poco distante dal Passo Vezzena , in una specie di altipiano dove con la sua mole possente controllava il pianoro , era situato vicino al confine di stato austroungarico ed a causa della sua posizione fu bombardato più volte da l’artiglieria italiana . Come scriverà l’ufficiale del forte Verle Fritz Weber : le orecchie fischiano , le vene della fronte si inturgidiscono , il sangue esce dalle orecchie , …sei ore passate nell’osservatorio servono ad espiare tutti i peccati che un uomo normale può commettere nella sua vita . Nonostante i ripetuti attacchi il forte verle non fu mai preso dagli italiani , neanche dopo aver attaccato con l’artiglieria a più riprese non sono riusciti a penetrare a causa dei grovigli di reticolati e del fuoco incrociato delle mitragliatrici a difesa del forte . Un tentativo anche fu fatto per scavare un tunnel per minare e far saltare il forte abbandonato nel maggio del 1916 a causa della Strafexpedition .
La notte del 30 maggio 1915 dopo giorni di bombardamento il forte appariva fortemente danneggiato alcuni reparti del battaglione alpini Bassano tentarono un attacco appoggiati da alcuni reparti della Brigata Ivrea , ma la pioggia e il buio li colse in un terreno totalmente ignoto e furono respinti ancora prima di attaccare , nel forte intanto furono riparati alla meglio i danni subiti , mentre gli italiani piazzarono due obici da 305 il giorno 15 agosto del 1915 iniziarono un fuoco incessante fino al 25 per poi sferrare un un nuovo attacco da parte del battaglione 162 della Brigata Ivrea con la convinzione che l’opera sarebbe stata distrutta e abbandonata , ma l’unico obice rimasto e la difesa con le mitragliatrici della parte frontale del forte riservarono una sorpresa tremenda il tentativo di sfondamento italiano veniva respinto causando gravissime perdite . Fritz Weber
Forte Vezzena
Il forte di cima Vezzena , Spitz Vezzena costruito come occhio sull’altipiano dalla sua posizione permetteva un ottima visuale sia verso la Valsugana che passo Vezzena , divenendo un punto di osservazione e di difesa , costruito adattandosi alla sommità rocciosa di cima Vezzena con uno strapiombo verso la Valsugana di circa 1300 metri nel periodo della guerra di duramente battuto dai colpi di artiglieria italiana anche se molti proiettili grazie alla sua posizione strategica finirono per sorvolare la struttura finendo nella valle , ma il 30 maggio del 1915 il la 63° compagnia del battaglione alpini Bassano assalto le sue posizioni inutilmente occupando però l’ antistante vetta dello Spitz Leve. Ci riprovarono gli alpini del Val Brenta rimanendo impigliati nei reticolato divenendo bersagli per le mitragliatrici del forte , gli italiani riuscirono però ad impedire i rifornimenti al forte , che venivano fatti la notte con rischi grossissimo a causa del fuoco del piccolo e medio calibro. Il forte era armato con 5 mitragliatrici Schwarzlose da 8 mm poste in due casematte corazzate fisse, ed una nell’osservatorio girevole posto sulla sommità dell’opera. Non era dotato di artiglieria, ma durante l’estate 1915 venne portato nei pressi del forte, in posizione defilata dai tiri dell’artiglieria italiana, un cannone da 75 mm da montagna, che fu usato anche in funzione di artiglieria antiaerea.
Porta Manazzo
Porta Manazzo zona molto importante per gli italiani costituita da una guarnigione di circa 300 uomini con molte bocche da fuoco distribuite sull’avvallamento proprio per impedire agli austroungarici gli approvvigionamenti sul Forte Vezzena e il forte Busa Verle :
La 147° con un obice da 305mm , la 540° con 4 cannoni da 149mm tipo G , la 563°con 2 cannoni da 149mm di tipo A , in tutto erano 10 pezzi di artiglieria , ai quali si aggiungevano la 145° con un altro obice da 305mm piazzato in valle degli Sparavieri e la 543° con 4 obici da 210mm piazzati a Costa di sopra.
Altopiano delle Vezzene e Basson
Qui riporto una piccola cronistoria tratta dal Libro :
1914-1918 La grande Guerra sugli Altipiani ( Edizioni Rossato ) La tragedia del Basson nelle parole di un superstite (Ricordi del generale Zava nel 50° della battaglia )
Il settore che più ci interessava era il campo trincerato fra i declivi della Val d’Astico e quelli, quasi a picco sulla Valsugana, e si stendeva dai forti di Luserna alle posizioni fortificate di Costalta e del Basson, ai forti di Busa di Verle e Cima Vezzena, che dal nemico, assieme all’apparato difensivo di cui si è detto, era chiamata «La trincea d’acciaio» e costituiva la cortina esterna della difesa di Trento. Tutte le posizioni approntate a difesa anche fuori dei forti veri e propri, erano costituite da triplice o almeno duplice ordine di trincee molto robuste e coperte, con antistanti due o tre fasce di reticolati di filo spinato larghe circa tre metri. Nonostante queste condizioni, le artiglierie dei nostri forti e delle nostre batterie ottennero nei primi giorni effetti che parvero prodigiosi. I nostri tiri, bene aggiustati sui forti di Luserna, Cima Vezzena, Busa di Verle arrecarono danni assai gravi da farei ritenere, per qualche settimana, che le pericolose bocche da fuoco del Luserna dovessero tacere per sempre e che anche il forte Verle avesse ridotto la sua capacità distruttrice. Si allentò di conseguenza anche il nostro fuoco dei forti e delle batterie mentre ci furono inviati anche cannoni più potenti, i 210 e batterie navali. I primi, di ghisa, scoppiavano dopo pochi colpi; i secondi dovettero fermarsi in attesa che venissero costruite le strade mancanti per il loro trasferimento. Ma intanto gli Austriaci ci avevano preceduto, riparando silenziosamente i guasti arrecati ai forti, restituendo loro la primitiva efficenza ed aggiungendo, in posizioni più arretrate, allo scoperto, ma ben scelte e difese, batterie da 105 cm. e 152 cm., modernissime e quindi più micidiali. Inoltre, gli Austriaci portavano un paio di obici da 30,5 cm. che in pochi giorni, con tiri ben aggiustati, misero fuori servizio il forte Verena. Un solo colpo centrò la postazione di un cannone, scoppiando dentro al forte stesso ed uccidendo circa 40 artiglieri. Uguale sorte subì il forte di Campolongo e gi altri distanti dalle nostre posizioni. Questa fu una grave iattura per la nostra nazione, poiché venne a mancare il tiro di preparazione sulle basi austriache da attaccare e non permise la distruzione dei reticolati in modo da aprire ampi varchi attraverso i quali doveva sferrarsi l’attacco dei nostri Fanti. I gravi irreparabili danni subiti dai nostri forti e la mancanza dei loro tiri ebbero anche un effetto depressivo sul morale di tutti noi che avevamo la sensazione di veder crollare il tetto della nostra casa. Chi ha fatto la guerra ben può quindi immaginare quale fosse lo stato d’animo della truppa che si accingeva all’attacco, rendendosi conto di non aver altro appoggio che nel proprio coraggio e nelle proprie forze, fisica e soprattutto morale. Questa era la nostra generale convinzione, nonostante la vigorosa azione preparatoria allorché dal comando di settore fu decisa l’offensiva. L’azione venne preceduta come sempre da una conferenza avvenuta alle Mandrielle, dove per l’occasione, il comandante della 34° Divisione Generale Oro, riunì a rapporto i comandanti ai suoi ordini. La Divisione era composta organicamente: Brigata Ivrea 153°-154° Fanteria-Brigata Treviso 115°-116° Fanteria – Battaglione Alpini di Val Brenta – Gruppo Oneglia di artiglieria montagna ed una compagnia di zappatori del Genio comandata dal Capitano Vece. È da notare che nel corso di tale rapporto, nella discussione intervenuta a seguito delle parole di incitamento del Generale, il Col. Riveri, che aveva fatto riconoscere il più possibile il fronte d’attacco dai suoi ufficiali guastatori, obiettò come sino a quel momento fosse mancata l’azione dell’artiglieria per un tangibile risultato rivolto alla distruzione o almeno al danneggiamento del reticolato, in modo che gli attaccanti potessero, attraverso i varchi aperti, portarsi al rovescio delle trincee per espugnarle o per sguarnirle dai difensori. Con l’usato piglio soldatesco il Col. Riveri disse, senza mezzi termini, che i varchi non erano stati aperti e che pertanto era costretto ad esprimere il suo disappunto e le sue riserve per la rapida occupazione, in caso di azione a fondo, dei trinceroni del Basson. Chi fu presente narra come il Generale Oro, valoroso ma della vecchia scuola conformista, che non gradiva rilievi, rispondesse con la cinica frase «I reticolati si aprono con i denti o coi petti». Il Col. Riveri fu molto avvilito, ritenendo giustamente di essere stato frainteso, mentre il suo coraggio ed il suo valore erano ben conosciuti fin dalle azioni in Libia, quale aiutante del generale Cantore alla conquista del Garian, nel corso di un’azione in cui si era meritato la medaglia d’argento. Questo particolare abbiamo tenuto ricordare in quanto può aver avuto qualche riflesso nella generosa impulsività del Col. Riveri nel guidare l’azione d’attacco al Basson. I piani dell’operazione della Divisione erano i seguenti: la Brigata Ivrea ed il Battaglione Alpini Val Brenta avrebbero dovuto attaccare risolutamente le posizioni nemiche di Vezzena, Verle e possibilmente occuparle; il 115° Fanteria della Treviso rincalzato da un battaglione del 116° avrebbe dovuto agire con azione fiancheggiatrice e dimostrativa sul fortino Basson. A richiesta del Col. Riveri, comandante il 115° Reggimento, venne compresa nell’ordine di operazione la facoltà di impegnare a fondo il Reggimento qualora si fosse presentata l’occasione favorevole e vennero assegnate due batterie dell’artiglieria divisionale che dovevano spostarsi da Campo Rosà al Costesin per seguire il movimento delle truppe e sostenere con un tiro diretto l’azione del 115°, qualora questo si fosse impegnato a fondo. Ed ecco come si svolsero le varie fasi del combattimento: all’ora prescritta, le 23 esatte del 24 agosto, quando i Fanti della Ivrea e gli Alpini del Val Brenta iniziavano l’attacco, i Fanti del 115°, si erano già portati sulla posizione di partenza da Malga Brusolada pronti a slanciarsi in avanti contro il Basson. Disgraziatamente, sulla destra per la micidiale reazione del nemico, il Comando di Ivrea, con il Battaglione Val Brenta erano costretti a sostare nel Bosco Varagna e a desistere dall’impresa loro assegnata dell’occupazione delle posizioni di Vezzena-Verle. Nel frattempo, sul fronte del 115°, Basson, gli esploratori e guastatori del II e 111Battaglione avevano già iniziato in più punti il taglio dei reticolati, riuscendovi in parte. Secondo gli ordini del Comandante di reggimento il 110 Battaglione con il Col. Curti, era stato dislocato in prima linea con due compagnie, esattamente la Vela VIII; in posizione avanzata, le altre due, la VI e la VII di rincalzo, mentre il 111 Battaglione, comandato dal Cap. Savardo, veniva schierato alla sinistra del 110 Battaglione, pure con due compagnie in prima linea e con le altre due ammassate a Casera Bisele, ed infine il primo Battaglione, al comando del Ten. Col. Marchetti, in seconda linea a 200 metri dal II Battaglione, al coperto nel bosco…
Questo resoconto parzialmente vero presenta alcune note e precisazioni non veritiere e in alcuni casi errate sulle vicende della battaglia di Col Basson .
Fonte : Franco Luigi Minoia ” L’assalto di Col Basson “Editrice Lampi di Stampa
Qui sotto il monumento eretto a 300 metri da colle Basson in memoria dei Fanti del 115° Treviso
La tagliata Bariola e situata appena dopo l’abitato di Sant’Antonio di Valli del Pasubio sulla strada che porta al Pian delle Fugazze , assieme al forte Maso costituiva il sistema di sbarramento che controllava la possibile via proveniente dalla Vallarsa attraverso il Pian delle fugazze , era costituita da 2 piani , uno sotto il livello stradale , era un opera a prova di granata , il passaggio sulla carrabile era obbligato , mentre il piazzale davanti adiacente al forte era scoperto , ma era costituito con un ponte a cerniera sopra il fossato per entrare nel forte , nel corpo casamatta erano installati 4 cannoni da 42mm a tiro rapido con affusto a candeliere gia obsoleti , mentre nelle casematte d’angolo del fianco sono piazzate 2 mitragliatrici Gardener da 10.30mm . Mentre la capacita per il personale era di circa 100 unità , visitando la parte inferiore si possono notare anche le postazioni di due cannoncini da 87mm in bronzo . Nel maggio di 1916 venne parzialmente disarmata di due cannoni ma comunque la tagliata come anche il forte Maso non fu mai messa a dura prova dal nemico . Negli anni 1930 parte della tagliata venne demolita per allargare la strada rotabile che scende dal pian delle fugazze .
Dopo aver superato il centro di Schio proseguendo verso Valli del Pasubio si imbocca la strada sulla destra , verso Poleo , Passo S.Caterina si sale per alcuni km fino ad arrivare in una curva che segnala Passo Xomo e Strada delle Gallerie , si seguono le indicazioni dopo circa 1 km si può posteggiare l’auto .
Il sentiero sale su una carrareccia che fa parte anche di un anello da mountain bike , molto semplice e tutto boschivo , mentre raggiunta la quota è una specie di piccolo altipiano in parte prativo , ed in parte roccioso , che propone panorami molto belli a 360° sulle montagne circostanti Novegno , Pasubio e Piccole dolomiti
Cenni Storici
Il Forte M. Enna era dotato di 4 obici sotto cupola corazzata da 149 mm A e da 4 pezzi da 75 mm A in batteria scoperta come struttura era di grandi dimensioni . La sua posizione strategica era di protezione per un eventuale passaggio nemico sul Pian delle Fugazze e sulla rotabile che scende da passo Xomo e ancora in buone condizioni anche perche non entro mai in uso .Fu costruito fra il 1910 ed il 1912 e fu armato il 6 dicembre 1914. Non ebbe alcun ruolo nel 1915 in quanto l’avversario si era ritirato verso Nord su una linea di difesa più arretrata . I suoi obbiettivi erano il Pasubio ,il Sengio Alto ed il territorio circostante il Pian delle Fugazze, zone che, dal 25 maggio 1915, erano occupate dalle truppe italiane. Non essendoci più obbiettivi a lunga distanza, secondo informazioni italiane, fu disarmato. Due cannoni i furono trasferiti sul M. Rione, di riserva per la Batteria installata in loco, ed una Batteria destinata ad essere installata sul Col Santo a 2112 ed altri due ad una Batteria in zona del Forte. Ai Kaiserjager, che nel giugno 1916, salivano da Posina verso il M. Priaforà all’attacco del M. Giove, non dovrebbe essere sfuggito l’infelice ruolo che il Forte M. Enna ebbe nei confronti dei difensori. Qualcosa di molto vicino alla realtà si può leggere nel libro di Pino Marchi diario della 35′ Divisione di Fanteria:
“Abbiamo visto episodi di gloria e di vigliaccheria, di tragedia e di valore; abbiamo veduto scene grottesche e assurde come il bombardamento delle nostre posizioni effettuato dalla nostra Batteria di M. Enna … “
Mentre al 13 giugno :
“Intanto la resistenza dei difensori di M. Giove era sottoposta ad altra dura prova: una nostra batteria di medio calibro, dapprima creduta di S. Caterina, ma risultata poi essere quella da 149 A di M. Enna, con tiri corti, colpiva ripetutamente i nostri trinceramenti e travolgeva persino un pezzo della 18° Batteria da montagna. La batteria di M. Enna era intervenuta nell’azione senza darne avviso al Comando di Divisione che ne fu informato solo la notte seguente. »
Lo sfortunato Comandante fu rimosso dall’incarico e sottoposto ad accertamenti sulle sue responsabilità. Tuttavia sembra trovare credito un’altra versione, secondo la quale fu una Batteria piazzata sul pianoro del Novegno, per ordini superiori, a sparare sugli uomini della prima linea per farli desistere dall’abbandonare precipitosamente il posto di combattimento. Il Comandante del Forte Enna altro non fu che la vittima sacrificale. Il Forte Enna fu mantenuto come magazzino e deposito munizioni , poiché perfettamente intatto non poteva essere abbandonato.
Cartografia : CAI Valdastico e Altopiani trentini 1:25000
Descrizione
Dopo aver salito il costo di Asiago superato l’abitato di Tresche Conca si prosegue verso Canova per poi alla rotatoria imboccare la strada per Camporovere , dopodiche si prende la strada della Val D’assa fino ad arrivare al Passo Vezzena dove si lascia l’auto .
Il sentiero 205 non partirebbe da li ma da qualche km più a nord , ma risulta essere più utile partire da li salendo dopo l’albergo prima verso il forte Busa Verle (vedi il post Busa Verle) da dove come narrava Fritz Weber parti il primo colpo di cannone verso il forte Vezzena perche avrebbero visto alcuni fanti italiani salire verso il forte. Si sale il sentiero 205 su un terreno ripido e divenuto oramai boschivo verso il forte Vezzena situato ad una quota molto più alta , il sentiero poi esce dal bosco e sale ripido su fondo roccioso e strapiombante verso il lago di Levico e Caldonazzo donando dei scenari fantastici ed incredibile , il sentiero e sicuro e non presenta difficoltà senonchè la salita che poi spiana leggermente quando si incrocia la mulattiera , per poi vedere il Forte nella sua grandezza ( vedi post Forte Spitz Vezzena – Werk Vezzena ) il sentiero poi prosegue con saliscendi passando per Bocca di Forno , risalendo verso cima Mandriolo per poi arrivare fino a Porta Manazzo , con una visuale verso Malga Larici .
Cenni storici
Porta Manazzo zona molto importante per gli italiani costituita da una guarnigione di circa 300 uomini con molte bocche da fuoco distribuite sull’avvallamento proprio per impedire agli austroungarici gli approvvigionamenti sul Forte Vezzena e il forte Busa Verle :
La 147° con un obice da 305mm , la 540° con 4 cannoni da 149mm tipo G , la 563°con 2 cannoni da 149mm di tipo A , in tutto erano 10 pezzi di artiglieria , ai quali si aggiungevano la 145° con un altro obice da 305mm piazzato in valle degli Sparavieri e la 543° con 4 obici da 210mm piazzati a Costa di sopra.