Tempo di percorrenza dell’Anello : 6h10
Dislivello totale : 1000 m
Quota massima raggiunta : 2049 m
Dopo aver salito il costo di Asiago superato l’abitato di Tresche Conca si prosegue verso Canova per poi alla rotatoria imboccare la strada per Camporovere , dopodiche si prende la strada della Val D’assa fino ad arrivare al Passo Vezzena dove si lascia l’auto .
Questo itinerario e molto importante sotto il profilo storico per i grandi avvenimenti che successero nell’altipiano delle Vezzene , Basson , Campo Luserna , Forte belvedere una linea di aspi combattimenti .Il sentiero 205 non partirebbe da li ma da qualche km più a nord , ma risulta essere più utile partire da li salendo dopo l’albergo prima verso il forte Busa Verle da dove come narrava Fritz Weber parti il primo colpo di cannone verso il forte Vezzena perche avrebbero visto alcuni fanti italiani salire verso il forte. Si sale il sentiero 205 su un terreno ripido e divenuto oramai boschivo verso il forte Vezzena situato ad una quota molto più alta , il sentiero poi esce dal bosco e sale ripido su fondo roccioso e strapiombante verso il lago di Levico e Caldonazzo donando dei scenari fantastici ed incredibile , il sentiero e sicuro e non presenta difficoltà senonchè la salita che poi spiana leggermente quando si incrocia la mulattiera , per poi vedere il Forte nella sua grandezza il sentiero poi prosegue con saliscendi passando per Bocca di Forno , risalendo verso cima Mandriolo per poi arrivare fino a Porta Manazzo , con una visuale verso Malga Larici .
Cenni storici
Forte Busa Verle
Il forte Verle venne costruito come linea di sbarramento e di controllo per la Val D’assa e poco distante dal Passo Vezzena , in una specie di altipiano dove con la sua mole possente controllava il pianoro , era situato vicino al confine di stato austroungarico ed a causa della sua posizione fu bombardato più volte da l’artiglieria italiana . Come scriverà l’ufficiale del forte Verle Fritz Weber : le orecchie fischiano , le vene della fronte si inturgidiscono , il sangue esce dalle orecchie , …sei ore passate nell’osservatorio servono ad espiare tutti i peccati che un uomo normale può commettere nella sua vita . Nonostante i ripetuti attacchi il forte verle non fu mai preso dagli italiani , neanche dopo aver attaccato con l’artiglieria a più riprese non sono riusciti a penetrare a causa dei grovigli di reticolati e del fuoco incrociato delle mitragliatrici a difesa del forte . Un tentativo anche fu fatto per scavare un tunnel per minare e far saltare il forte abbandonato nel maggio del 1916 a causa della Strafexpedition .
La notte del 30 maggio 1915 dopo giorni di bombardamento il forte appariva fortemente danneggiato alcuni reparti del battaglione alpini Bassano tentarono un attacco appoggiati da alcuni reparti della Brigata Ivrea , ma la pioggia e il buio li colse in un terreno totalmente ignoto e furono respinti ancora prima di attaccare , nel forte intanto furono riparati alla meglio i danni subiti , mentre gli italiani piazzarono due obici da 305 il giorno 15 agosto del 1915 iniziarono un fuoco incessante fino al 25 per poi sferrare un un nuovo attacco da parte del battaglione 162 della Brigata Ivrea con la convinzione che l’opera sarebbe stata distrutta e abbandonata , ma l’unico obice rimasto e la difesa con le mitragliatrici della parte frontale del forte riservarono una sorpresa tremenda il tentativo di sfondamento italiano veniva respinto causando gravissime perdite . Fritz Weber
Forte Vezzena
Il forte di cima Vezzena , Spitz Vezzena costruito come occhio sull’altipiano dalla sua posizione permetteva un ottima visuale sia verso la Valsugana che passo Vezzena , divenendo un punto di osservazione e di difesa , costruito adattandosi alla sommità rocciosa di cima Vezzena con uno strapiombo verso la Valsugana di circa 1300 metri nel periodo della guerra di duramente battuto dai colpi di artiglieria italiana anche se molti proiettili grazie alla sua posizione strategica finirono per sorvolare la struttura finendo nella valle , ma il 30 maggio del 1915 il la 63° compagnia del battaglione alpini Bassano assalto le sue posizioni inutilmente occupando però l’ antistante vetta dello Spitz Leve. Ci riprovarono gli alpini del Val Brenta rimanendo impigliati nei reticolato divenendo bersagli per le mitragliatrici del forte , gli italiani riuscirono però ad impedire i rifornimenti al forte , che venivano fatti la notte con rischi grossissimo a causa del fuoco del piccolo e medio calibro. Il forte era armato con 5 mitragliatrici Schwarzlose da 8 mm poste in due casematte corazzate fisse, ed una nell’osservatorio girevole posto sulla sommità dell’opera. Non era dotato di artiglieria, ma durante l’estate 1915 venne portato nei pressi del forte, in posizione defilata dai tiri dell’artiglieria italiana, un cannone da 75 mm da montagna, che fu usato anche in funzione di artiglieria antiaerea.
Porta Manazzo
Porta Manazzo zona molto importante per gli italiani costituita da una guarnigione di circa 300 uomini con molte bocche da fuoco distribuite sull’avvallamento proprio per impedire agli austroungarici gli approvvigionamenti sul Forte Vezzena e il forte Busa Verle :
La 147° con un obice da 305mm , la 540° con 4 cannoni da 149mm tipo G , la 563°con 2 cannoni da 149mm di tipo A , in tutto erano 10 pezzi di artiglieria , ai quali si aggiungevano la 145° con un altro obice da 305mm piazzato in valle degli Sparavieri e la 543° con 4 obici da 210mm piazzati a Costa di sopra.
Altopiano delle Vezzene e Basson
Qui riporto una piccola cronistoria tratta dal Libro :
1914-1918 La grande Guerra sugli Altipiani ( Edizioni Rossato ) La tragedia del Basson nelle parole di un superstite (Ricordi del generale Zava nel 50° della battaglia )
Il settore che più ci interessava era il campo trincerato fra i declivi della Val d’Astico e quelli, quasi a picco sulla Valsugana, e si stendeva dai forti di Luserna alle posizioni fortificate di Costalta e del Basson, ai forti di Busa di Verle e Cima Vezzena, che dal nemico, assieme all’apparato difensivo di cui si è detto, era chiamata «La trincea d’acciaio» e costituiva la cortina esterna della difesa di Trento. Tutte le posizioni approntate a difesa anche fuori dei forti veri e propri, erano costituite da triplice o almeno duplice ordine di trincee molto robuste e coperte, con antistanti due o tre fasce di reticolati di filo spinato larghe circa tre metri. Nonostante queste condizioni, le artiglierie dei nostri forti e delle nostre batterie ottennero nei primi giorni effetti che parvero prodigiosi. I nostri tiri, bene aggiustati sui forti di Luserna, Cima Vezzena, Busa di Verle arrecarono danni assai gravi da farei ritenere, per qualche settimana, che le pericolose bocche da fuoco del Luserna dovessero tacere per sempre e che anche il forte Verle avesse ridotto la sua capacità distruttrice. Si allentò di conseguenza anche il nostro fuoco dei forti e delle batterie mentre ci furono inviati anche cannoni più potenti, i 210 e batterie navali. I primi, di ghisa, scoppiavano dopo pochi colpi; i secondi dovettero fermarsi in attesa che venissero costruite le strade mancanti per il loro trasferimento. Ma intanto gli Austriaci ci avevano preceduto, riparando silenziosamente i guasti arrecati ai forti, restituendo loro la primitiva efficenza ed aggiungendo, in posizioni più arretrate, allo scoperto, ma ben scelte e difese, batterie da 105 cm. e 152 cm., modernissime e quindi più micidiali. Inoltre, gli Austriaci portavano un paio di obici da 30,5 cm. che in pochi giorni, con tiri ben aggiustati, misero fuori servizio il forte Verena. Un solo colpo centrò la postazione di un cannone, scoppiando dentro al forte stesso ed uccidendo circa 40 artiglieri. Uguale sorte subì il forte di Campolongo e gi altri distanti dalle nostre posizioni. Questa fu una grave iattura per la nostra nazione, poiché venne a mancare il tiro di preparazione sulle basi austriache da attaccare e non permise la distruzione dei reticolati in modo da aprire ampi varchi attraverso i quali doveva sferrarsi l’attacco dei nostri Fanti. I gravi irreparabili danni subiti dai nostri forti e la mancanza dei loro tiri ebbero anche un effetto depressivo sul morale di tutti noi che avevamo la sensazione di veder crollare il tetto della nostra casa. Chi ha fatto la guerra ben può quindi immaginare quale fosse lo stato d’animo della truppa che si accingeva all’attacco, rendendosi conto di non aver altro appoggio che nel proprio coraggio e nelle proprie forze, fisica e soprattutto morale. Questa era la nostra generale convinzione, nonostante la vigorosa azione preparatoria allorché dal comando di settore fu decisa l’offensiva. L’azione venne preceduta come sempre da una conferenza avvenuta alle Mandrielle, dove per l’occasione, il comandante della 34° Divisione Generale Oro, riunì a rapporto i comandanti ai suoi ordini. La Divisione era composta organicamente: Brigata Ivrea 153°-154° Fanteria-Brigata Treviso 115°-116° Fanteria – Battaglione Alpini di Val Brenta – Gruppo Oneglia di artiglieria montagna ed una compagnia di zappatori del Genio comandata dal Capitano Vece. È da notare che nel corso di tale rapporto, nella discussione intervenuta a seguito delle parole di incitamento del Generale, il Col. Riveri, che aveva fatto riconoscere il più possibile il fronte d’attacco dai suoi ufficiali guastatori, obiettò come sino a quel momento fosse mancata l’azione dell’artiglieria per un tangibile risultato rivolto alla distruzione o almeno al danneggiamento del reticolato, in modo che gli attaccanti potessero, attraverso i varchi aperti, portarsi al rovescio delle trincee per espugnarle o per sguarnirle dai difensori. Con l’usato piglio soldatesco il Col. Riveri disse, senza mezzi termini, che i varchi non erano stati aperti e che pertanto era costretto ad esprimere il suo disappunto e le sue riserve per la rapida occupazione, in caso di azione a fondo, dei trinceroni del Basson. Chi fu presente narra come il Generale Oro, valoroso ma della vecchia scuola conformista, che non gradiva rilievi, rispondesse con la cinica frase «I reticolati si aprono con i denti o coi petti». Il Col. Riveri fu molto avvilito, ritenendo giustamente di essere stato frainteso, mentre il suo coraggio ed il suo valore erano ben conosciuti fin dalle azioni in Libia, quale aiutante del generale Cantore alla conquista del Garian, nel corso di un’azione in cui si era meritato la medaglia d’argento. Questo particolare abbiamo tenuto ricordare in quanto può aver avuto qualche riflesso nella generosa impulsività del Col. Riveri nel guidare l’azione d’attacco al Basson. I piani dell’operazione della Divisione erano i seguenti: la Brigata Ivrea ed il Battaglione Alpini Val Brenta avrebbero dovuto attaccare risolutamente le posizioni nemiche di Vezzena, Verle e possibilmente occuparle; il 115° Fanteria della Treviso rincalzato da un battaglione del 116° avrebbe dovuto agire con azione fiancheggiatrice e dimostrativa sul fortino Basson. A richiesta del Col. Riveri, comandante il 115° Reggimento, venne compresa nell’ordine di operazione la facoltà di impegnare a fondo il Reggimento qualora si fosse presentata l’occasione favorevole e vennero assegnate due batterie dell’artiglieria divisionale che dovevano spostarsi da Campo Rosà al Costesin per seguire il movimento delle truppe e sostenere con un tiro diretto l’azione del 115°, qualora questo si fosse impegnato a fondo. Ed ecco come si svolsero le varie fasi del combattimento: all’ora prescritta, le 23 esatte del 24 agosto, quando i Fanti della Ivrea e gli Alpini del Val Brenta iniziavano l’attacco, i Fanti del 115°, si erano già portati sulla posizione di partenza da Malga Brusolada pronti a slanciarsi in avanti contro il Basson. Disgraziatamente, sulla destra per la micidiale reazione del nemico, il Comando di Ivrea, con il Battaglione Val Brenta erano costretti a sostare nel Bosco Varagna e a desistere dall’impresa loro assegnata dell’occupazione delle posizioni di Vezzena-Verle. Nel frattempo, sul fronte del 115°, Basson, gli esploratori e guastatori del II e 111Battaglione avevano già iniziato in più punti il taglio dei reticolati, riuscendovi in parte. Secondo gli ordini del Comandante di reggimento il 110 Battaglione con il Col. Curti, era stato dislocato in prima linea con due compagnie, esattamente la Vela VIII; in posizione avanzata, le altre due, la VI e la VII di rincalzo, mentre il 111 Battaglione, comandato dal Cap. Savardo, veniva schierato alla sinistra del 110 Battaglione, pure con due compagnie in prima linea e con le altre due ammassate a Casera Bisele, ed infine il primo Battaglione, al comando del Ten. Col. Marchetti, in seconda linea a 200 metri dal II Battaglione, al coperto nel bosco…
Questo resoconto parzialmente vero presenta alcune note e precisazioni non veritiere e in alcuni casi errate sulle vicende della battaglia di Col Basson .
Fonte : Franco Luigi Minoia ” L’assalto di Col Basson “Editrice Lampi di Stampa
Qui sotto il monumento eretto a 300 metri da colle Basson in memoria dei Fanti del 115° Treviso
Ritengo che l’articolo, pur interessante, contenga troppi errori che sarebbe bene correggere.
Mi limito ad elencare i seguenti: La Brigata Ivrea era composta dal 161° e 162° Reggimento di Fanteria (mentre il 153° e 154° componevano la Brigata Novara).
Solo il generale Zava affermò (probabilmente andando a memoria e, sicuramente, sbagliando) che l’attacco del Sottosettore Nord sarebbe iniziato alle ore 23 esatte del 24 agosto. Gli ordini d’operazione indicano invece che l’attacco in quel Sottosettore sarebbe dovuto iniziare alle ore 24.
Ragioni di spazio impediscono di accennare alle inesatte indicazioni dei vari battaglioni del 115° Fanteria.
Franco Luigi Minoia
Ciao Franco Luigi , sono molto contento che tu abbia riscontrato delle inesattezze nel mio post , che penso ovviamente tu sia molto più documentato di me , il testo che ho riportato tal quale e tratto tal quale da un libro , 1914-1918La grande guerra degli altipiani edizioni Rossato , del quale cito la fonte e proprio tratto dal capitolo dedicato al Generale Zava le parole di un superstite. Ti fornisco la mia mail se vorrai correggere quella fase li dei combattimenti poi io riporterò la fonte Grazie ancora Ciaoo (luke007@inwind.it)