Tempo di percorrenza del sentiero dell’anello : 7h00
Dislivello totale : 1100 m
Quota massima raggiunta : 2452 m
Cartografia : CAI mappa digitale Sentiero italia 1:25000
Come raggiungere
Si sale nella valle di Agordo superando il lago di Alleghe prima , poi Rocca Pietore, e continuare a salire fino a Piani di Salesei e poi verso Andraz, eventualmente anche a Pieve di Livinnalongo in centro e prendere la stradina che sale ad in Località Agai. Da li si imbocca il sentiero per il Col di Lana.
Descrizione
Dall’abitato di Andraz , piccola località dell’omonimo Castello, si imbocca il sentiero n°21, che nella prima parte non risulta più in uso e nemmeno segnalato che passa tra le reti paraneve, si sale a zig zag un po ad occhio fino a raggiungere il piccolo abitato di Agai , da li attraverso il sentiero teriol landin è proseguendo poi con il n°21 si sale verso il Cengei 2221 m, con il sentiero n°38 passando per il crinale si sale sulla cima attraverso il fianco destro del Col Di Lana 2452 m. Salita molto bella su un crinale in cui ci sono state numerosi combattimenti , mentre sulla cima si ammira il passo Falzarego, il Sass di stria , il Lagazuoi il forte Tre Sassi , sulla destra il pianoro del Passo Giau. si prosegue per l’ultimo tratto che ci porterà al bivacco Brigata Alpina Cadore e alla chiesetta, in una vastità di praterie e rocce molto simili all’alta via del granito del Lagorai , raggiunta la quota si prosegue a destra per il Dente Sief 2308 m ed lo Spitz delle Seleghe, si raggiungerà così il punto di scoppio delle mine, si riprende sulle creste raggiungendo prima il Monte Sief 2424 m e poi attraverso un breve saliscendi ed attraverso le trincee sul Passo Sief 2209 m dove ripiegheremo a sinistra dove incontrereno le rovine del fortino Khole. Si prosegue per un sentiero che attraversa in diagonale passando per due colline punti di riferimento della linea italiana ed austriaca . Si passa per i Ciadinei e poi Plan della Chicia e per poi rientrare attraverso parte di strada forestale fino all’abitato di Agai , da li si ripercorrerà il sentiero di salita a ritroso.
Col di Lana sacro colle
dall’orror delle tue zolle
pace al mondo grida ed implora
che mai guerra sia ognora
Cenni storici
Prima azione a Col di Lana si ebbe l’8 giugno 1915 quando le batterie italiane aprirono il fuoco da monte Padon e Col Toront per bombardare i forti La Corte e Tre Sassi e le posizioni della fanteria. L’attacco venne ripetuto una settimana dopo, includendo anche lo sbarramento di Livinallongo del Col di Lana, con risultati praticamente nulli, dato che l’azione fu svolta senza un chiaro piano strategico. L’attacco italiano, che secondo Fritz Weber, appena tre settimane prima avrebbe potuto facilmente travolgere le esigue difese austriache del settore, era ora possibile solo con un attento studio e con la costruzione di strade, il posizionamento di nuove batterie e l’impiego di ingenti masse di fanteria. Questi giorni di inoperosità consentirono agli austro-ungarici di fortificare due punti vitali per la loro difesa: il Costone di Salesei e il Costone di Agai, situati nel versante sud del loro schieramento, e dato che Sass de Stria proteggeva la parte orientale, per gli italiani l’unica soluzione era quella di un attacco frontale verso Col di Lana. Il 15 giugno, alcune pattuglie italiane dirette verso le posizioni nemiche, vengono facilmente individuate e neutralizzate, dando però simbolicamente il via ad una lunga serie di sanguinosi e inutili attacchi frontali verso le posizioni austro-ungariche]. In luglio gli italiani sferrarono ben dieci attacchi contro le pendici del Col di Lana e cinque contro la cresta del Sief, ma ora le posizioni nemiche erano state opportunamente rinforzate con gli esperti Jager bavaresi e prussiani, moderne batterie tedesche e ampie scorte di munizioni, così ogni attacco venne sistematicamente respinto. Situati in posizione sopraelevata e molto favorevole, protetti da un grave declivio, da reticolati e mitragliatrici, gli austro-ungarici falcidiarono sistematicamente gli assalitori fino al 20 luglio, quando il generale Rossi interruppe i tentativi contro il Col di Lana, giudicandoli temporaneamente senza possibilità di successo, almeno fino all’arrivo di cospicui rinforzi.
Le artiglierie italiane però non cessarono la loro opera di distruzione dei forti La Corte e Tre Sassi che, seppur praticamente sguarniti, attirarono su di loro per molto tempo l’accanimento degli artiglieri italiani. Ad inizio agosto forte Tre Sassi era praticamente un cumulo di macerie, e ciò spinse gli italiani ad accelerare i preparativi per un attacco verso il costone dei Salisei, la posizione più a ovest del sistema difensivo austriaco, tecnicamente protetta dal forte appena distrutto. Il 2 agosto partì quindi un violento attacco contro il costone respinto dagli Jäger, e ciò, unitamente alle sconfitte che gli italiani continuavano a subire nei loro attacchi verso la Val Pusteria, sembrò fa desistere definitivamente gli attaccanti, che con l’avvicinarsi dell’inverno preferirono rinforzarsi e concentrarsi sul fronte dell’Isonzo, dove le “spallate” di Cadorna assorbivano enormi risorse. Non si fermarono però piccoli attacchi al Costone di Salesei e al Costone di Agai, perché gli italiani speravano di conquistare, in vista di un attacco definitivo, i due punti d’appoggio e posizionarsi sotto la vetta, ma l’artiglieria nemica faceva sistematicamente strage degli attaccanti, per cui si preferì ritentare con un attacco frontale previsto per metà ottobre. L’attacco venne quindi sferrato il 21 ottobre, con gli italiani che poterono contare su forze dieci volte superiori e un enorme cannoneggiamento preparatorio. Trincea dopo trincea, al costo di grosse perdite, gli austriaci vennero sloggiati dalle loro posizioni e il 7 novembre i fanti della Brigata Calabria conquistarono finalmente la cima, che però ricadde in mano nemica lo stesso giorno grazie ai landesschutzen del capitano Kostantin Valentini, e gli italiani si attestarono appena sotto il cocuzzolo, ad appena 80 metri dalle trincee austriache. Questi ultimi avevano nel frattempo sostituito i tedeschi sui costoni con i temibili Kaiserjager e per tutto l’inverno scavarono un intricato sistema di gallerie e camminamenti coperti che proteggeva i soldati dall’artiglieria italiana. Il 1º gennaio gli austriaci diedero il via alla guerra di mine con un’esplosione sul Lagazuoi, e raccogliendo l’idea gli italiani a metà gennaio iniziarono i lavori per una galleria di mina da far brillare proprio sotto la cima. Il 17 aprile 5020 chilogrammi di esplosivo devastarono la cima del Col di Lana uccidendo all’istante 110 austriaci, mentre il resto della guarnigione, enormemente scosso, fu fatto prigioniero dai fanti della Calabria che partirono all’attacco immediatamente dopo lo scoppio. L’ulteriore avanzata verso il Sief fu bloccata dalle riserve austriache, e dopo enormi sacrifici la cima del Col di Lana fu finalmente conquistata dagli italiani, che ora iniziarono a concentrarsi verso la conquista di monte Sief.
La lotta era quindi tutt’altro che finita, e monte Sief continuava a svolgere la sua funzione di sbarramento verso l’Alta Badia. Iniziò quindi una strenua lotta su una cresta affilata e cruda, battuta dall’artiglieria e dalle mitragliatrici, spazzata di notte dai coni luminosi dei riflettori. Entrambi i contendenti si cimentarono nuovamente nello scavo di gallerie e caverne, fino ad avere due vere e proprie fortezze contrapposte; quella italiana sul Col di Lana a 2 462 metri e quella austriaca sulla stretta cima del Sief, circa 40 metri più in basso. Ciò contribuì a rendere inutili gli assalti della fanteria, e anche qui si procedette con lo scavo di gallerie di mina. L’iniziativa fu presa dagli austriaci, che a fine giugno 1916 iniziarono i lavori per una mina che avrebbe distrutto la guarnigione italiana sul Dente del Sief, da loro appena conquistato. Gli italiani si resero conto tardi di questa manovra e solo nel marzo 1917 iniziarono sommari lavori per una galleria di contromina, che però risultò troppo corta, e distrusse parte delle loro stesse linee. Si formò quindi un cratere che divideva i due schieramenti ma che non impedì agli austriaci di continuare i lavori, che terminarono il 27 ottobre, quando 45 000 chilogrammi di esplosivo dilaniarono la montagna creando un cratere di 80 metri e uccidendo 64 italiani. Quel giorno erano in fase avanzata anche i preparativi per una seconda mina ancora più grande, che avrebbe dovuto polverizzare l’intero Dente del Sief, ma di lì a poco gli italiani ripiegarono in massa sulla linea del Piave e del Monte Grappa, lasciando in mano austriaca il monte dove avevano combattuto con più accanimento che in ogni altra parte del fronte dolomitico, insieme ai corpi di migliaia di caduti
O Viandante , In questo luogo, su questo monte irrorato di sangue . Sosta. Rispettoso e riverente, Volgi il tuo pensiero, A chi s’immolò per un mondo migliore; cerca il loro spirito che aleggia intorno perenne. La tua mano non profani con inutile arida scritta. Queste steli erette a loro ricordo; non danneggi quel che mano umile e salda d’alpino fece. Recita una preghiera.
I documenti ufficiali testimoniano che combatterono sul Col di Lana e dintorni, nei tre anni di guerra almeno 70.000 uomini Italiani , esclusi tutti gli uomini addetti alle artiglierie e sussistenza. Tutt’ora non si ha dati da parte austroungarica.
Nonostante la mancanza di dati precisi, il numero totale di uomini non più validi al combattimento (morti e feriti) tra le file italiane si aggira attorno agli 11.991, mentre i morti austro-ungarici e tedeschi si stima fossero circa 1.600.
Descrizione
Salire sul Col di Lana si può fare da diverse posizioni la più facile, è il sentiero che parte dalla val Parola dove il mantenimento in quota risulterebbe meno faticoso e dapprima su una vasta prateria per poi salire sul Dente Sief ed il Col di Lana , percorrendo un sentiero in cresta su un terreno quasi granitico come il Lagorai, per chi cerca nell’impegno della fatica ancora più emozioni si sale da Livinallongo oppure da Andraz .
Cenni storici
Prima azione a Col di Lana si ebbe l’8 giugno 1915 quando le batterie italiane aprirono il fuoco da monte Padon e Col Toront per bombardare i forti La Corte e Tre Sassi e le posizioni della fanteria. L’attacco venne ripetuto una settimana dopo, includendo anche lo sbarramento di Livinallongo del Col di Lana, con risultati praticamente nulli, dato che l’azione fu svolta senza un chiaro piano strategico. L’attacco italiano, che secondo Fritz Weber, appena tre settimane prima avrebbe potuto facilmente travolgere le esigue difese austriache del settore, era ora possibile solo con un attento studio e con la costruzione di strade, il posizionamento di nuove batterie e l’impiego di ingenti masse di fanteria. Questi giorni di inoperosità consentirono agli austro-ungarici di fortificare due punti vitali per la loro difesa: il Costone di Salesei e il Costone di Agai, situati nel versante sud del loro schieramento, e dato che Sass de Stria proteggeva la parte orientale, per gli italiani l’unica soluzione era quella di un attacco frontale verso Col di Lana. Il 15 giugno, alcune pattuglie italiane dirette verso le posizioni nemiche, vengono facilmente individuate e neutralizzate, dando però simbolicamente il via ad una lunga serie di sanguinosi e inutili attacchi frontali verso le posizioni austro-ungariche]. In luglio gli italiani sferrarono ben dieci attacchi contro le pendici del Col di Lana e cinque contro la cresta del Sief, ma ora le posizioni nemiche erano state opportunamente rinforzate con gli esperti Jager bavaresi e prussiani, moderne batterie tedesche e ampie scorte di munizioni, così ogni attacco venne sistematicamente respinto. Situati in posizione sopraelevata e molto favorevole, protetti da un grave declivio, da reticolati e mitragliatrici, gli austro-ungarici falcidiarono sistematicamente gli assalitori fino al 20 luglio, quando il generale Rossi interruppe i tentativi contro il Col di Lana, giudicandoli temporaneamente senza possibilità di successo, almeno fino all’arrivo di cospicui rinforzi.
Le artiglierie italiane però non cessarono la loro opera di distruzione dei forti La Corte e Tre Sassi che, seppur praticamente sguarniti, attirarono su di loro per molto tempo l’accanimento degli artiglieri italiani. Ad inizio agosto forte Tre Sassi era praticamente un cumulo di macerie, e ciò spinse gli italiani ad accelerare i preparativi per un attacco verso il costone dei Salisei, la posizione più a ovest del sistema difensivo austriaco, tecnicamente protetta dal forte appena distrutto. Il 2 agosto partì quindi un violento attacco contro il costone respinto dagli Jäger, e ciò, unitamente alle sconfitte che gli italiani continuavano a subire nei loro attacchi verso la Val Pusteria, sembrò fa desistere definitivamente gli attaccanti, che con l’avvicinarsi dell’inverno preferirono rinforzarsi e concentrarsi sul fronte dell’Isonzo, dove le “spallate” di Cadorna assorbivano enormi risorse. Non si fermarono però piccoli attacchi al Costone di Salesei e al Costone di Agai, perché gli italiani speravano di conquistare, in vista di un attacco definitivo, i due punti d’appoggio e posizionarsi sotto la vetta, ma l’artiglieria nemica faceva sistematicamente strage degli attaccanti, per cui si preferì ritentare con un attacco frontale previsto per metà ottobre. L’attacco venne quindi sferrato il 21 ottobre, con gli italiani che poterono contare su forze dieci volte superiori e un enorme cannoneggiamento preparatorio. Trincea dopo trincea, al costo di grosse perdite, gli austriaci vennero sloggiati dalle loro posizioni e il 7 novembre i fanti della Brigata Calabria conquistarono finalmente la cima, che però ricadde in mano nemica lo stesso giorno grazie ai landesschutzen del capitano Kostantin Valentini, e gli italiani si attestarono appena sotto il cocuzzolo, ad appena 80 metri dalle trincee austriache. Questi ultimi avevano nel frattempo sostituito i tedeschi sui costoni con i temibili Kaiserjager e per tutto l’inverno scavarono un intricato sistema di gallerie e camminamenti coperti che proteggeva i soldati dall’artiglieria italiana. Il 1º gennaio gli austriaci diedero il via alla guerra di mine con un’esplosione sul Lagazuoi, e raccogliendo l’idea gli italiani a metà gennaio iniziarono i lavori per una galleria di mina da far brillare proprio sotto la cima. Il 17 aprile 5020 chilogrammi di esplosivo devastarono la cima del Col di Lana uccidendo all’istante 110 austriaci, mentre il resto della guarnigione, enormemente scosso, fu fatto prigioniero dai fanti della Calabria che partirono all’attacco immediatamente dopo lo scoppio. L’ulteriore avanzata verso il Sief fu bloccata dalle riserve austriache, e dopo enormi sacrifici la cima del Col di Lana fu finalmente conquistata dagli italiani, che ora iniziarono a concentrarsi verso la conquista di monte Sief.
La lotta era quindi tutt’altro che finita, e monte Sief continuava a svolgere la sua funzione di sbarramento verso l’Alta Badia. Iniziò quindi una strenua lotta su una cresta affilata e cruda, battuta dall’artiglieria e dalle mitragliatrici, spazzata di notte dai coni luminosi dei riflettori. Entrambi i contendenti si cimentarono nuovamente nello scavo di gallerie e caverne, fino ad avere due vere e proprie fortezze contrapposte; quella italiana sul Col di Lana a 2 462 metri e quella austriaca sulla stretta cima del Sief, circa 40 metri più in basso. Ciò contribuì a rendere inutili gli assalti della fanteria, e anche qui si procedette con lo scavo di gallerie di mina. L’iniziativa fu presa dagli austriaci, che a fine giugno 1916 iniziarono i lavori per una mina che avrebbe distrutto la guarnigione italiana sul Dente del Sief, da loro appena conquistato. Gli italiani si resero conto tardi di questa manovra e solo nel marzo 1917 iniziarono sommari lavori per una galleria di contromina, che però risultò troppo corta, e distrusse parte delle loro stesse linee. Si formò quindi un cratere che divideva i due schieramenti ma che non impedì agli austriaci di continuare i lavori, che terminarono il 27 ottobre, quando 45 000 chilogrammi di esplosivo dilaniarono la montagna creando un cratere di 80 metri e uccidendo 64 italiani. Quel giorno erano in fase avanzata anche i preparativi per una seconda mina ancora più grande, che avrebbe dovuto polverizzare l’intero Dente del Sief, ma di lì a poco gli italiani ripiegarono in massa sulla linea del Piave e del Monte Grappa, lasciando in mano austriaca il monte dove avevano combattuto con più accanimento che in ogni altra parte del fronte dolomitico, insieme ai corpi di migliaia di caduti.
Punto d’appoggio sulla cresta a quota 2387
Punto d’appoggio sulla cresta a quota 2387 , la sua costruzione denominata Gratstutzpunkt all’inizio del 1916 dotata di una caverna resse gli attacchi italiani quando la brigata Reggio composta dal 46° fanteria e soldati scelti della 45° il 21 di maggio del 1916 conquistarono la quota, poi momentaneamente riconquistata il 5 agosto 1916 dove perse la vita il sottotenente Knotz, dopo quell’episodio per gli austriaci la quota venne chiamata dente “Knotz”.
Cratere della Mina
Dopo la conquista italiana del 17 aprile 1916 del Col di Lana e della Cresta il 21 maggio 1916, le truppe italiane si attestarono sul Dente del Sief il 25 maggio 1916. Presto iniziarono da entrambe le parti dei lavori sotterranei di mina, le tre esplosioni successive sulla cresta che separa il dente Sief dalla cima Sief , il 6 marzo 1917 esplose la prima contromina italiana di 4000 kg seguita il 27 settembre 1916 da un’altra successiva italiana di 5000 kg , ma il 21 ottobre 1917 gli austriaci fecero brillare la loro di 45000 kg aprendo un cratere che riassorbi gli altri due creati dalle mine italiane.
Galleria da mina Austriaca
Il minensystem iniziato il 29 giugno 1916 arrivo ad una lunghezza di 500 metri , anche se venne attaccato dalle contromine italiane e dall’attacco della fanteria, la funzionalità dell’opera non venne mai compromessa ,il 21 ottobre 1917 alle ore 22 nelle due camere di scoppio vennero fatte brillare 45000 kg di esplosivo formando il cratere tuttora visibile, ma la ritirata italiana dovuta alla rotta di caporetto rese l’operazione di distruzione del dente Sief superflua.
Forte Khole
Il fortino Khole era situato a 2190 m fungeva da collegamento tra l’Alpenrose, Col di Rod, Monte Sief e la Rothschanze era un ottimo posto per osservare, era collegato al villaggio Alpenrose attraverso la teleferica e da trincee fatte di muretti a secco.
Tempo di percorrenza del sentiero solo andata : 3h15 Avvicinamento fino al Rifugio Papa : 2h00
Dislivello totale : 300 m
Quota massima raggiunta : 2232 m
Cartografia : CAI Pasubio – Carega 1:25000
Descrizione
Il sentiero parte dal Rifugio Papa e si snoda sugli itinerari storici della grande guerra , passando per i punti cruciali ovvero i crinali di cima Palon , Dente italiano e Dente austriaco , il percorso e molto bello e abbastanza semplice anche se bisogna considerare il tempo e la fatica fisica per arrivare a Rifugio Papa e sempre a questo proposito per godere appieno dei percorsi e poter abbracciare la spettacolarità di questi luoghi , dormire in uno dei due rifugi al Papa o al Rifugio Lancia . Parte del sentiero e ancora in fase di recupero delle trincee e gallerie principali da parte della forestale ma sopratutto dei volontari alpini , se il tempo e clemente si possono osservare tutte le montagne intorno .Il tempo di percorrenza fino al rifugio Lancia e di 3 ore anche se presente dei bivii che lo possono accorciare , uno sulla selletta dei denti che porta alla chiesetta , uno alla base opposta del dente austriaco che porta sul sentiero 120 delle sette croci . E il sentiero più bello sotto tutti i profili e indispensabile percorrerlo almeno una volta per poter comprendere il grande sacrificio umano che si e consumato in questo luogo . Un invito particolare percorretelo con molta calma ed umiltà , prendetevi il tempo per soffermarvi su quelle grandi opere fatte durante la guerra e poi chiudete gli occhi e provate ad immaginare i sacrificio umano e il sangue versato su queste montagne , ricordando sempre che nelle guerre non esiste un vinto ne un vincitore come descritto nella croce sul dente austriaco ” nemici in terra ma fratelli in Cristo “. Camminate piano provate ad uscire magari anche dal sentiero si possono ancora trovare delle ossa di qualche EROE che ha combattuto per l’ideale di libertà.Ricordate inoltre che negli inverni durante la guerra la coltre nevosa reggiungeva anche i 10 metri di altezza
Il consiglio che vi dono è quello di pernottare al Rifugio Papa salendo dalle gallerie per poi il mattino seguente poter camminare ed ammirare con calma questi luoghi , portate con voi una TORCIA per poter entrare nella gallerie che sono state rese agibili in buona parte.
LE FOTO PER QUANTO POSSONO DARE L’IDEA DELL’AMBIENTE , DELLA CRUDEZZA DI QUESTO LUOGO NON RIESCONO A DONARE A VOI CHE LEGGETE LA MINIMA PARTE DI QUELLO VI VERRA DONATO PASSANDO SU QUESTA MONTAGNA
NON SIATE FRETTOLOSI PRENDETEVI IL GIUSTO TEMPO PER PASSARE SU QUESTI CAMPI DI BATTAGLIA , SU QUEI CUNICOLI DOVE GLI EROI DI QUESTA NOSTRA PATRIA HANNO PERSO LA VITA E VERSATO TANTO SANGUE
Dopo avere percorso la Vallarsa e raggiunto Rovereto si prosegue verso l’abitato di Ala, per poi raggiungere l’abitato Marco di Rovereto da lì lungo la strada principale in una laterale a sinistra partirà il nostro itinerario .
Descrizione
Questo sentiero il 116 parte da località Cumerlotti , un abitato poco lontano da Serravalle d’adige e sulla strada che porta ad Ala, il sentiero per una buona parte sale su stradina asfaltata che transita in mezzo ai preziosi vigneti , si parte sulla strada principale prendendo la direzione verso il Santuario di San Valentino, si attraversa una profonda gola , prima di raggiungere l’omonimo santuario , la strada prosegue costeggiando un terreno recintato e ben tenuto, fino a raggiungere la Colonia di Prabubolo situata alla fine della strada e dov’è presente un cancello, superata la colonia dov’è presente anche una chiesetta , si ricomincia a salire ma lo si fa in mezzo al bosco, incontrando durante la risalita alcuni cimiteri.
Cenni storici
“Termopili d’Italia” è un soprannome dato a diverse località e battaglie in Italia per la loro importanza strategica e la resistenza eroica contro un nemico numericamente superiore, richiamando la famosa battaglia delle Termopili greche
Passo Buole
Il passo buole divide la Vallarsa dalla Val Lagarina e sul crinale che dal Carega porta verso a Rovereto, il 4 giugno del 1915 i reparti del 6°rgt Alpini Vicenza e Verona raggiungevano da lì il monte Zugna completando cosi la conquista di tutta la dorsale , il 15 maggio del 1916 gli austriaci tentarono l’accerchiamento degli italiani estesa su tutte e tre le valli , la Vallarsaa attraverso il pian delle Fugazze , lungo la val Terragnolo per il passo della Borcola e da Folgaria sulla Val d’Astico con lo scopo di accerchiare l’esarcito italiano ed entrare nella pianura vicentina , era anche previsto una riconquista delle posizioni della dorsale Zugna-Carega per poter dare spazio ai movimenti delle truppe in Valle.
Il 19 maggio gli austroungarici occupavano il monte Spil , il Col Santo ed il Monte Testo , con l’obbiettivo di scendere in Vallarsa , gli italiani per evitare di essere accerchiati alle ore 14 del 19 maggio retrocessero dalla linea avanzata di Matassone e Pozzacchio alla più arretrata di Dietro in Gasta-Pasubio, nei tre giorni che impiegarono gli austroungarici per raggiungere di nuovo un contatto con gli italiani, gli stessi si trovarono il tempo di riorganizzare le truppe ma si trovavano con il lato destro scoperto e inserito per circa 8 km nelle linee nemiche , cosi il comendo italiano decise di frastagliare le forze che dal crinale dello Zugna porta verso in passo Jocole , la cima Levante, con lo scopo di impedire al nemico di salire la Vallarsa con rifornimenti , artiglierie ed uomini.
Santuario San Valentino
Su un dosso che domina la Vallagarina dalla chiusa di Serravalle fino al castello di Sabbionara sorge il santuario di San Valentino. La chiesa fu consacrata nel 1329, quando il culto del martire era già diffuso nella vallata. II colle era meta di frequenti pellegrinaggi, e la costruzione del santuario si protrasse, attraverso successivi ampliamenti, per tutto il Medioevo. Il culto e la devozione al santo risalgono a tempi remoti, e si rafforzano in particolare dopo la donazione delle reliquie nel 1645. In questa occasione ci fu una grandiosa processione, ripetuta anche duecento anni dopo, come nuovo solenne atto di devozione al santo che si riteneva avesse protetto la popolazione dall’ondata di colera che si era abbattuta sulla zona. Oggi, la prima domenica di settembre si ripetono solenni celebrazioni religiose. La profonda venerazione popolare per San Valentino è testimoniata anche dagli innumerevoli “ex-voto” appesi lungo la parete della navata sinistra. Molti di questi raffigurano episodi drammatici di vita quotidiana come incidenti, malattie, catastrofi naturali, in cui i fedeli riconoscono l’intervento salvifico del santo. Ci sono varie discussioni su quale martire sia il San Valentino venerato dalla popolazione alense. Vi sono infatti testimonianze sia di un vescovo di Terni che di un sacerdote romano, entrambi del III secolo dopo Cristo, celebrati il 14 febbraio e la cui storia di martirio coincide. Si tratta di due persone diverse o è il medesimo martire? Dalle fonti storiche Valentino risulterebbe essere stato un cittadino romano nato all’inizio del III secolo. Durante le persecuzioni del breve impero di Claudio II, Valentino fu catturato, e, dopo un lungo processo, giustiziato lungo la via Flaminia il 14 febbraio dell’anno 269. Subito dopo la sua morte si svilupparono il culto e la devozione da parte della comunità cristiana. Il Santuario ebbe il ruolo di ospedale militare durante la prima guerra mondiale e dal 1925 una delegazione alense cercò di realizzare l’Ossario ai caduti di Passo Buole all’interno di una navata della chiesa, progetto che non venne recepito. Successivamente venne utilizzata come magazzino e deposito di munizioni durante gli anni della seconda guerra mondiale. Durante questi conflitti la struttura fu molto danneggiata e deve il suo attuale aspetto al restauro promosso nel 1982 da un gruppo di volontari, che sistemarono anche la casa di preghiera annessa all’edificio religioso. La più antica via d’accesso al santuario, la strada della “via crucis”, sale dalla frazione Marani per una breve serie di tornanti che si inoltrano nel bosco. Caratteristici sono i capitelli, di recente restaurati, e la vegetazione, tra cui spiccano alcune querce secolari.
Dopo avere percorso la Vallarsa e raggiunto Rovereto si prosegue verso l’abitato di Ala, per poi raggiungere l’abitato Marco di Rovereto da li lungo la strada principale in una laterale a sinistra partirà il nostro itinerario .
Descrizione
Il 115 non è certo una passeggiata nella sua ardua lunghezza, e dislivello , permette però di salire dalla località Marco frazione di Rovereto fino alla Pala del cherle, entrando poi nel 108 che si permetterà di raggiungere il Rifugio Mario Fraccaroli, passando per il Rifugio Zugna 1617 m , Monte Zugna 1864 m., Coni Zugna 1772 m. , Monte Selvata 1708 m., Passo Buole 1465 m., Malga Val di Gatto e poi Le Pale del Cherle 1860 m. Percorso molto bello e di grande impatto per la grande guerra del 1915-1918, presenta un primo tratto di carrareccia forestale , per poi entrare nel bosco e proseguire su una mulattiera dove sono presenti muretti a secco per poi passare da pezzi su roccia e lastroni, , presenta ampi tratti boschivi fino a raggiungere la Pozza dei Foi 1083 m. , dove una vista mozzafiato della Val D’Adige,si incrocia poi il sentiero delle trincee, dopo aver percorso alcuni metri si raggiunge il Cimitero Italiano del Redentore. La mulattiera prosegue divenendo più ripida e severa, raggiungendo così la Val degli Eghei 1450 m. Fino ad uscire dal bosco ai Baiti del Robol 1516 m , e poco dopo raggiungeremo il Rifugio Monte Zugna 1616 m. raggiungibile anche attraverso la carrareccia da Albaredo in Vallarsa. Si prosegue poi dal rifugio per salire sulla cima del Zugna, dove una mulattiera porterà su quella che resta della caserma austroungarica costruita molto prima della guerra, fu usata dagli stessi come ospedale da campo poi conquistata dagli italiani a maggio del 1915, la grandezza di questo luogo e la sua posizione strategica la dice lunga situata poco sotta la cima del Zugna 1864 m. Proseguendo poi per il crinale si supera il coni Zugna il monte Selvata e alcuni cimiteri per poi raggiungere il Passo buole e la chiesetta votiva 1456, da qui sulla sinistra si noterà il salire del sentiero 117 da riva di Vallarsa, mentre dalla parte opposta ovvero nella valle opposta alla Vallarsa, sale il 116 dai Cumerlotti, piccola frazione sotto Seravalle d’adige, passando per il Santuario San Valentino, si prosegue il nostro itinerario mantenendosi in quota si passa appena sotto a cima Mezzana e al Monte Jocole raggiungendo dapprima la malga Val di Gatto 1497 m. e poi uscendo dalla carrabile si imbocca l’omonima Val di Gatto, iniziando a salire su questa valle si incrocia il 114B che porta attraverso un sentiero di raccordo a Cima Levante, mentre il nostro 115 transita in basso nella valle fino araggiungere il bivio dove sale il 145 a quota 1952 m. proveniente da Ometto tenendo la destra si raggira la testata della valle fino a raggiungere una piccola forcella che ci per metterà di arrivare ad un bivio del 114B che porta sulla Cima levante a destra mentre proseguendo arrivare al bivio della Pala del Cherle dove arriveranno dai Ronchi il sentiero 108.
Ritorno
Il ritorno può essere fatto dallo stesso, che diviene già di un certo impegno, mentre si potrebbe scendere anche dal 116 che passando la località Prabubolo e sulla chiesa di San Valentino fino a raggiungerà la località Cumerlotti dove attraverso la line autobus oppure per strade secondarie si rientrerà all’auto presso la località Marco di Rovereto.
I lavini di Marco Rovereto
Centinaia di orme di dinosauri carnivori ed erbivori di forme e dimensioni differenti sono impresse lungo un ripido colatoio di circa duecento metri presso i Lavini di Marco, alle pendici del monte Zugna, a Sud di Rovereto. Gli affioramenti rocciosi sono riferibili all’inizio del Giurassico, circa 200 milioni di anni fa, e rappresentano quello che rimane, allo stato fossile, di una grande piana carbonatica di marea per molti versi paragonabile alle attuali coste del Golfo Persico. Si tratta di sei livelli stratigrafici compresi in un pacchetto di strati potente poco più di cinque metri. Proprio per il loro grande significato scientifico e per il rischio di deperimento cui sono soggette tutte le piste dei Lavini di Marco, il Museo Civico di Rovereto ha provveduto all’esecuzione dei calchi e del modello digitale del terreno interessato dalle orme. L’acronimo Rolm indica la località in cui si trovano le piste (Rovereto, Lavini di Marco) ed è riportato su targhette in acciaio poste a fianco delle serie di impronte catalogate.
LA RUINA DI DANTE ALIGHIERI
Qual è quella ruina che nel fianco di qua da Trento l’Adice percosse, o per tremoto o per sostegno manco che da cima del monte, onde si mosse, al piano è sì la roccia discoscesa, ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse: cotal di quel burrato era la scesa… (Inferno, XII, 4-10)
Cenni Storici
Il Monte Zugna rientra nella linea fortificata costruita ai confini con il regno d’Italia. Sarebbe dovuto sorgere un forte che non fu mai costruito vennero costruite le caserme, la palazzina degli ufficiali, l’impluvio per la raccolta dell’acqua piovana, i filtri per la sua depurazione e delle vasche di deposito. Poi le attività furono sospese con l’inizio della guerra, sarebbe stata prevista una casamatta in cima raggiungibile da una galleria, con 4 cupole corazzate e con cannoni da 150 mm. Tra il 29 e il 30 maggio di quell’anno, infatti, alcune compagnie di alpini dei battaglioni Vicenza e Parma occupavano la cima, catturando circa un centinaio di nemici e facendo del pianoro e delle sue infrastrutture una base logistica. Con l’avvio dell’offensiva di primavera del 1916, lanciata dal capo di Stato maggiore dell’Imperial-regio esercito Conrad von Hötzendorf, anche lo Zugna, vista la sua importanza strategica, diveniva oggetto del contendere.
Gli italiani costruirono un caposaldo: una trincea, che arrivava alla Val Cipriana, veniva scavata a protezione della cima, difesa da nove fasce di reticolato profonde cinque metri ciascuna e disseminata di nidi di mitragliatrice. A presidio del caposaldo, schierava un battaglione di fanti dotato di una batteria di cannoni da montagna da 65 mm, due batterie di cannoni da campagna di 75 mm, due cannoni da 105 mm puntati sul Pasubio. Un grosso riflettore, installato sulla cima, illuminava le valli sottostanti.
Utilizzata dagli italiani come osservatorio per dirigere i tiri delle artiglierie. Nel ’17, inoltre, a pochi passi dalla sommità venne piazzato un cannone antiaereo da 57 mm. Per salirci si prosegue per circa 10 minuti prendendo il sentiero di sinistra fino alla croce, da lì si potrà ammirare un panorama incredibile dal Pasubio al Pian delle Fugazze, dalle Piccole Dolomiti al Carega e ai Lessini, dal Baldo al Brenta. Siccome era oggetto di tiro dell’artiglieria nemica fu dotato di un sistema di gallerie, con ricoveri e magazzini che dalla cima raggiungevano il sentiero verso Passo Buole. Per i rifornimenti, nondimeno, già dal giugno 1915 vennero avviati i lavori per la costruzione di una strada che da Marani di Ala saliva a Passo Buole e cima Selvata , e a dicembre di una teleferica che da Santa Margherita, per oltre 3000 metri di lunghezza, copriva un dislivello di 1500 metri con una portata di due quintali e mezzo al carrello. Numerosi baraccamenti in legno vennero inoltre costruiti sul pianoro, ampliando le infrastrutture già presenti e costruite dagli austriaci.
Attaccato nella primavera fra il 22 e il 29 maggio del 1916., lo Zugna venne come detto difeso strenuamente dagli italiani. L’attacco austro-ungarico sbatté contro il “Trincerone”, a quota 1419 metri, e per questo i comandi decisero d’aggirare l’ostacolo, attaccando i nemici alle spalle così da tagliare i rifornimenti e neutralizzare le artiglierie che dallo Zugna bloccavano la Vallarsa. L’assalto a Passo Buole, caratterizzato da sette giorni di incessanti bombardamenti, si inserisce in questo contesto. Caverne e postazioni d’artiglieria si susseguono, così come i cimiteri. Sono diversi infatti i piccoli camposanti, a partire da quello di Santa Maddalena, costruiti fra lo Zugna e Passo Buole, a testimonianza di una mortalità particolarmente alta. Croci, cappelle, targhe e monumenti si susseguono sul percorso fino a raggiungere il Passo buole conosciuto anche come le termopili d’Italia. Qui, le truppe italiane, sotto il comando del colonnello Nicola Gualtieri, vennero attaccate dagli imperiali provenienti dalla Vallarsa, respinti nonostante la mancanza di profondità delle linee italiane. Dopo aver fallito l’attacco su Passo Buole, gli austro-ungarici puntarono a quel punto all’arco di cima Selvata e cima Mezzana, scontrandosi questa volta con la resistenza delle Brigate Taro e Sicilia. Anche in questo caso, nonostante l’inferiorità numerica, i soldati italiani riuscirono a resistere. La caparbia resistenza permise così di salvare la posizione dello Zugna, impedendo la penetrazione nemica in Veneto. Dopo la battaglia, tutto il settore fu al centro di alacri lavori di difesa.
Perchè termopili D’Italia
In entrambi i casi, l’utilizzo di “Termopili d’Italia” sottolinea un concetto di resistenza e sacrificio, spesso associato alla battaglia storica delle Termopili.
La gola che separava Serse dalla Grecia era chiamata Termopili, “le porte calde”, a causa delle sorgenti calde che si trovavano nelle vicinanze. Secondo il mito il leggendario Eracle morì proprio in quel luogo, che era considerato la porta d’ingresso per la Grecia
ATTENZIONE QUESTE VIE FERRATE PRESENTANO PARETI VERTICALI CON DIFFICOLTA VARIABILE , CHE VANNO DA UN PASSAGGIO SEMPLICE ORIZZONTALE A SALITE DIFFICILI , IN OGNI CASO E OBBLIGO L’USO DEL CASCHETTO IMBRAGO E SET DA FERRATA E MEGLIO ANCHE I GUANTI .
Come Raggiungere
Dopo essere salito a Cortina D’Ampezzo si prende per il Passo Falzarego 2105 m , oppure salendo direttamente da Agordo passando per il lago di Alleghe si imbocca la salita che porta al Passo Falzarego , molto meno trafficata è più corta se si vuole raggiungere solo il Passo si prosegue per Val Parola raggiungendo così il Forte Tre Sassi a sinistra mentre sulla destra parte il sentiero dei Kajserjager.
Descrizione
Raggiunto il forte Tre Sassi , oppure il posteggio vicino dove si sale sul Sas de Stria, si prosegue per il sentiero che raggira tutto il massiccio ad una quota più bassa per circa 30 minuti fino a raggiungere un bivio poco segnalato ma intuitivo che ti porterà alla ferrata Fusetti, la via è abbastanza corta ma presenta alcuni tratti che non permettono certo errori accompagnati da tratti ricchi di appigli, anche se molto sporchi e detritici, alcuni tratti più verticali la rendono moderatamente difficile, non è certo l’ideale per la prima esperienza in ferrata, i suoi tratti con pochi appigli e sporchi la rendono insidiosa, la discesa viene fatta dall’itinerario che scende dal Sas de Stria fino a tornare in posteggio .
Cenni storici
Nell’ottobre del 1915, l’esercito italiano fronteggiava gli austriaci tra le cime del Lagazuoi e del Col di Lana : il Sas de stria domina la sottostante strada delle dolomiti che percorre il Passo Val Parola e il Passo Falzarego , e costituiva quindi un importante punto strategico. Dopo alcuni tentativi falliti di attacco alla postazione, rimasta in mano agli austriaci, fu ordinato al reggimento sotto il comando dell’allora Colonello Achille Papa di tentare una nuova incursione. Il sottotenente Fusetti si offrì volontariamente di guidare un gruppo di soldati nella conquista della vetta, situata a 2477 metri di quota, per poi sorprendere gli austriaci posizionati nelle trincee più in basso. Raggiunta la cima la notte del 18 ottobre, dispose i suoi uomini in attesa dei rinforzi, che però tardarono ad arrivare. Furono invece avvistati da alcuni soldati austriaci saliti sulla cresta: scattato l’allarme, iniziarono i combattimenti. Nonostante la resistenza organizzata dal Fusetti, gli italiani furono ben presto accerchiati: molti restarono feriti, e il sottotenente fu colpito alla fronte, mentre si sporgeva fuori del riparo per sparare. Al termine di una sanguinosa battaglia, i pochi superstiti si arresero, dopo aver deposto tra i crepacci le salme dei compagni caduti.
La storia di quanto era accaduto fu ricostruita grazie alla loro testimonianza, e a quella del tenente al comando degli austriaci. Prima di affrontare la rischiosa spedizione, il sottotenente aveva lasciato una lettera alla famiglia, in cui esprimeva i suoi sentimenti e le ultime volontà, e nella quale chiedeva espressamente che il suo corpo rimanesse nel luogo in cui era stato ucciso.
Per il valoroso comportamento, il 25 febbraio 1923 gli fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Le sue spoglie non furono mai ritrovate, ma un cenotafio lo ricorda nel Sacrario militare di Pocol .
A ricordo dell’impresa, nel 2018 gli Alpini , impegnati senza successo nella ricerca dei suoi resti, hanno realizzato una Via ferrata in suo onore che ripercorre il tragitto seguito dalla spedizione.
Medaglia d’oro
«Prescelto a capo di un manipolo di animosi per l’occupazione di un forte baluardo alpino, dal nemico accanitamente difeso, arditamente ne scalava una ripida parete, quasi a picco, sorprendendo le vedette nemiche e conquistandone la vetta più alta, sulla quale piantava il tricolore. Accerchiato da preponderanti forze, opponeva eroica resistenza, cercando più volte di sfondare la linea nemica; ma rimasto isolato, esaurite tutte le munizioni, dopo lunga e disperata resistenza, colpito a morte, cadeva da prode sul campo. Eroico esempio delle più nobili virtù militari che, anche alla vigilia dell’azione, presagio della sicura morte cui andava incontro, egli aveva voluto consacrare in una nobile lettera di estremo saluto alla famiglia.» — Sasso di Stria, 18 ottobre 1915.
Lettera testamentaria
«16 ottobre 1915 Dai pressi del castello di Buchenstein
Con mano sicura esprimo colle parole che seguono non le mie ultime volontà, ma quei miei pensieri che desidero sopravvivano, per quelli che mi amano, alla mia morte. Sono alla vigilia d’una azione d’ardimento, dal cui esito dipendono in gran parti le sorti d’una vittoria. A me, ai miei compagni d’armi non manca gran copia di fede: l’esito, con la vita, con la bella morte, sarà degno del nostro imperturbabile amore per la Patria. Se cadrò, papà, Gina, angelo mio, amici e parenti che mi amate, non abbiate lacrime per me: io la morte, la bella morte l’ho amata. Non pensatemi col petto squarciato, nell’ultimo spasimo, ma dal furore d’un impeto eroico svanire in una beatitudine suprema. Io ho sognato, nelle peregrinazioni del pensiero nelle grandi questioni umane e cosmiche, un avvenire di perfezione nelle cose morali e nelle fisiche. Ho amato la Patria mia, nell’intimo delle sue divine bellezze, delle sue tradizioni. Ho amato sopra ogni cosa l’umano genere, campo ove è possibile e necessaria la lotta, dove è desiderabile e probabile il pacifico trionfo delle idealità non sacrileghe. E appunto perché ho stimato necessaria la lotta io mi sono volonterosamente, serenamente battuto. Che il mio povero corpo semplicemente riposi dove sono caduto, io desidero; inumato coll’onore delle armi, fra i miei commilitoni. Che il sacrificio mio, umile fra tanta gloria, sproni, se c’è, l’ignavo e dia sangue al codardo. Babbo mio, Gina mia, angelo mio, parenti, amici, voi che tanta parte siete dell’anima mia, con la memoria … della mamma, in alto i cuori! Con tenerezza serena, con fede, nella pace dell’anima cristiana, sul campo, al cospetto del nemico che non temo mi firmo Mario.Questa lettera contiene il mio testamento. Faccio un obbligo d’onore a chi è incaricato di verificare per censura la corrispondenza, di non profanarne il contenuto. Questa lettera potrebbe essere trattenuta per qualche tempo.
Dopo essere salito a Cortina D’Ampezzo si prende per il Passo Falzarego 2105 m , oppure salendo direttamente da Agordo passando per il lago di Alleghe si imbocca la salita che porta al Passo Falzarego , molto meno trafficata è più corta se si vuole raggiungere solo il Passo.
Descrizione
La cengia Martini è una cengia di arroccamento prima della galleria che sale sul piccolo Lagazuoi , teatro di una resistenza estrema degli alpini, è conveniente farla prima di salire sulla galleria degli alpini, si tratta di una cengia attrezzata che porta nei baraccamenti italiani del Lagazuoi , negli osservatori e nelle postazioni di tiro verso il Sasso di Stria. Si sale con l’imbrago e caschetto meglio anche la frontale, come nelle Galleria, fino a raggiungere il punto del camino di mina che non è stato usato, lo scenario e mozzafiato sia nei panorami che nei ricordi storici della situazione di vita dei soldati nei tre anni di Cengia. I passaggi di per se non sono difficili, anche se alcuni esposti e richiedono massima attenzione, il ritorno dev’essere fatto dallo stesso sentiero fino al bivio della galleria che porterà all’antecima del Lagazuoi.
Cenni storici
Durante la Grande Guerra la linea del fronte dei combattimenti tra l’impero austro-ungarico e il Regno d’Italia passava tra il Sasso di Stria e il piccolo Lagazuoi e tagliava la zona del passo Falzarego. Qui i due schieramenti militari si fronteggiavano a poca distanza. La Cengia Martini fu la postazione più importante in questo settore del fronte. Mentre gli austro-ungarici erano arroccati sulla sommità del Lagazuoi, tra il 18 e il 19 ottobre 1915 due plotoni di Alpini occuparono la cengia posta a metà della parete del Piccolo Lagazuoi. L’occupazione era stata preceduta da numerose ricognizioni notturne sul posto, attraverso un terreno roccioso molto aspro e difficile, nelle immediate vicinanze delle posizioni austriache. Così, sotto il comando del maggiore Ettore Martini, gli Alpini riuscirono ad occupare la Punta Berrino, lo spigolo roccioso che si protende in avanti a est dell’Anticima e a occupare e ad attestarsi sulla cengia che attraversa la parete meridionale del Piccolo Lagazuoi da ovest a est. Questa cengia si rivelò essere una posizione privilegiata per colpire la postazione Vonbank austro-ungarica a difesa del passo di Valparola, una vera spina sul fianco degli Austriaci perché consentiva agli italiani di colpire dall’alto le trincee del passo. La truppa era ricoverata in baracche-ricovero addossate alla roccia e capacità nel totale di offrire ricovero a 140 uomini. Col tempo la Cengia Martini venne dotata di camminamenti, cucine, mensa, magazzino, telefono, stazione teleferica, posto di medicazione, fucina, falegnameria, fureria. Venne inoltre scavata una galleria per permettere di raggiungere la cengia dalla base della Punta Berrino e proteggere i portatori dall’artiglieria del Sasso di Stria. Un’altra galleria, detta dell’Anfiteatro, sarebbe dovuta sbucare sopra le trincee austriache sul versante occidentale della cengia per attaccarle dall’alto ma rimase incompiuta. Attorno alla Cengia Martini la lotta infuriò per tre anni. La maggior parte degli sforzi degli austro-ungarici su questo fronte furono concentrati nel tentativo di allontanare gli italiani dalla Cengia Martini, 4 mine furono esplose sulla montagna creando il grande ghiaione che oggi si vede alla base del Lagazuoi.
Per le azioni sul Piccolo Lagazuoi il Maggiore Martini ricevette una medaglia di bronzo, una d’argento, una croce al merito e la croce di cavaliere della Corona d’Italia.
Le nostre posizioni conquistate il 25 ottobre 1915 erano la Cengia Martini e Punta Berrino dedicato al Cap. Berrino che li ci lascio la vita , le nostre posizioni costarono un enorme sacrificio di sangue per i due anni che le mantenevamo salde , avevamo due teleferiche che arrivavano dalla base del canalone Travenanzes e dal Canalone del Falzarego, mentre le loro teleferiche arrivavano dalla Val Parola e dalla Tagliata ‘ntra i sass.
Le mine di guerra del Piccolo Lagazuoi furono memorabili :
La prima del 14 gennaio 1917 con l’obbiettivo di fare saltare la cengia Martini ma per un errore tecnico si pensa di intasamento sfogo la sua potenza verso gli austriaci recando numerosi danni . La contromina italiana era già pronta ma visto che l’esplosione non creo paure ed il raggio d’azione non fu ritenuto pericoloso si penso di non farla brillare, la mina degli austroungarici si ritenne pressappoco di circa 15000 kg di esplosivo.
La seconda mina del 22 maggio 1917 con l’obbiettivo la posizione avanzata della Cengia Martini, gli italiani ben interpretarono il lavoro del nemico ed essendo previsto il brillamento della mina nella notte, le posizioni del possibile scoppio furono sguarnite per poter essere poi riprese dopo l’esplosione nonostante lo scoppio potente della mina non ci furono perdite.
Mina italiana a quota 2668 era la cima più meridionale del Piccolo Lagazuoi ovvero un bastione avanzato con delle pareti a picco che dominava tutte le posizioni italiane del monte Cengia Martini-punta Berrino-Passo della Fede e nella zona del Passo Falzarego dopo il brillamento di questa mina la zona che era saldamente occupata dagli austroungarici, fu occupata dagli italiani la mina che era di 33000 kg eseguita dal Tenenti Malavezzi, Cadorin e Tazzer con 5 mesi di lavoro fu fatta brillare il 20 giugno del 1917 e successivamente, attraverso la galleria, tentarono la conquista delle postazioni intoccate dall’esplosione. L’azione, anche stavolta, non ebbe né vincitori né vinti: gli austriaci ripiegarono e rinforzarono rapidamente le trincee scampate all’urto della mina. L’anticima cadde in mano italiana, ma tentare di occupare l’intero ripiano del Piccolo Lagazuoi avrebbe portato ad ulteriori gravi perdite tra gli Alpini. Il cratere provocato dalla mina italiana è tuttora individuabile, assieme all’immenso accumulo di detriti scivolati a fondovalle, sia di questa che delle altre mine austriache. La quarta mina austro-ungarica, esplosa nel settembre del 1917, ebbe una potenza minore rispetto a quella del maggio precedente e portò all’ennesimo nulla di fatto.
Dopo avere percorso la Vallarsa e raggiunto Rovereto si prosegue verso l’abitato di Ala, per poi attraverso la stretta strada salire verso località Ronchi , appena superato l’abitato e raggiunta la fermata dell’autobus , lì si lascia l’auto e si ritorna fino alla chiesa dove sulla destra si imboccherà il percorso .
Descrizione
Il sentiero parte dalla Chiesa di Ronchi Ala circa 710 m, sale a fianco della chiesa con una pendenza iniziale importante dapprima su tratto cementato e asfaltato per qualche km , raggiunta l’ultima casa ci si addentra nel bosco, sempre con pendenze di un certo livello, dove il percorso inizia a salire con un zig zag abbastanza costante sulla mulattiera militare rientrando nel tratto di bosco fino a raggiungere la località Rom a circa 1330 m, si continua salire attraversando poi un ampio vallone , si prosegue la risalita , molto bella con un itinerario strapiombante verso la valle dei Ronchi, fino a quando raggiungeremo il bivio con 114B di Prà Bel , dove il sentiero arriva dall’itinerario 108 della località Casarino sulla destra mentre a sinistra si prosegue per la Val Gatto , il percorso prosegue salendo sempre con tornanti ma meno pendenza . I percorsi 114 e 114B per qualche tratto si sovrappongono e poi uno prosegue a sinistra , ma il 114B è un sentiero di raccordo, il 114 prosegue sulla destra non passando per la Forcella val di Gatto 1650 m, si prosegue lungo la mulattiera in cresta a nord della Cima Levante 2020 m, la mulattiera in ottime condizioni porterà l’escursionista fino in quota sommitale di Cima levante dove lo sguardo potrà spaziare in panorami mozzafiato, della Lessinia , Montre Baldo, la Valle dei Ronchi , e sulla destra il Carega , mentre sulla sinistra si potrà vedere il trincerone delle Creste del Jocole, e più in la il Coni Zugna mentre sullo sfondo il Massiccio del Pasubio .
Per chi va forte lo può fare da Ometto , ma il livello di preparazione dev’essere impeccabile, per affrontare un dislivello simile.
Ritorno
Per il ritorno si può scendere dal 108,rientrando così ai Ronchi Ala.
Si sale a Cortina D’Ampezzo e si prosegue verso Dobbiaco , raggiungendo così la località Carbonin , al bivio nel villaggio Croda Rossa prendiamo la strada per il lago di Misurina, poco dopo aver imboccato la strada sulla destra troveremo un ampio posteggio in cui lasceremo l’auto . Si può raggiungere questo luogo sia anche da Auronzo di Cadore passando per il lago di Misurina , oppure da Dobbiaco .
Descrizione
Il sentiero parte poco lontano dal villaggio Croda rossa , salendo verso Cortina D’Ampezzo , si imbocca il sentiero 37 che fa parte anche dell’altavia n°3 , che costeggia ed usa una strada che porta al Rifugio Vallandro ed al Forte omonimo ,la salita non presenta difficoltà ed è praticabile da tutti , molto bello il sottobosco ed il panorama incredibile sia sul versante della Croda Rossa D’ampezzo che sul gruppo del Cristallo nel versante Trentino , parte del percorso è sulla carrabile e parte in sentieri che accorciano la distanza , senza grosse pendenze si raggiunge il rifugio Vallandro 2040 m , raggiunto il rifugio ed ammirato lo splendido scenario che si apre sia sulla prateria di Prato Piazza e la grandezza immensa della Croda Rossa e la vastità del Gruppo del Cristallo , sulla Cresta Bianca , sul Circo del Cristallo , lo spigolo della Cresta di Costabella conosciuta anche con il nome Schönleitenschneide , ed la Val Prà de Vecia che nel periodo bellico 1915-18 sono stati teatro di sanguinosi combattimenti , dal fianco del rifugio si sale su un sentierino in costa che permette panorami nella valle di grande bellezza con alcune postazioni di osservazione verso quello che fu l’antico confine austroungarico , qui la salita è un pò più impegnativa , ma abbastanza corta fino ad entrare il un ampio prato adibito al pascolo , diviso dal sentiero che sale fino al monte Specie 2307 m , la distesa prativa non la si può nemmeno descrivere , la bellezza di questi territorio la rende incredibilmente fantastica , raggiunta la cima la visione sulle Tre cime di Lavaredo , il Monte Piano e Piana con il sentiero dei pionieri che sale dal Lago di Landro , l’immensità della Croda Rossa , in questo panorama che spazia Gruppo del Cristallo fino alle Tofane , mentre sul basso le praterie di Prato Piazza completano un’incredibile panorama , si scende prendendo il 40A, verso la Malga di Prato Piazza dove è possibile anche mangiare qualcosa , proseguiamo con il 40A poi verso l’hotel Croda Rossa e Prato Piazza , da lì prenderemo il sentiero 18 che scende verso località Carbonin , passando ai piedi della Croda Rossa e imboccando la Val dei Chenòpe , che non presenta difficoltà tecniche , se non in un piccolo tratto più ripido , molto bella ed appagante con una piccola cascatina , si scende abbastanza velocemente e si arriva alla casa Cantoniera dismessa per poi entrare nel canale fluviale attraversandolo per salire sulla ciclabile che ha sostituito l’antica ferrovia che portava a Dobbiaco, percorrendo circa 3km si raggiunge il punto di partenza , esiste un altro punto di salita per il sentiero 34 che sale dal Lago di Landro ma risulta molto più lontano dal punto di vista del rientro , anche se di poco , sale da Val Chiara dove la zona presenta anche numerosi postazioni e baraccamenti del periodo bellico.
Cenni storici
Alla vigilia dell’apertura delle ostilità il generale Nava, comandante della 4° armata, dando ai comandi di due corpi d’armata da lui indipendenti le direttive d’azione per i primi atti di offesa, indicava come primi obiettivi da raggiungere sul fronte del cadore ; uno la presa di possesso dell’intero massiccio del Monte piana ; due le ha prese in possesso della conca di Cortina d’Ampezzo entrambi questi obiettivi erano nella zona del primo corpo d’armata al comando del generale Ragni . Il comando del corpo d’armata rispose di non ritenere possibile l’occupazione dei due obiettivi. Riguardo al monte Piana e il suo infatti prevedeva che non sarebbe stato possibile sistemarsi stabilmente perché efficacemente battibile delle artiglierie austriache, soprattutto da quelle del codice Specie e del Monte Rudo, confidava, tuttavia che neppure l’avverario avrebbe avuto la possibilità di stabilirsi qualora le artiglierie italiane da campagna e da montagna, sostenute da adeguati contingenti di fanteria avessero avuto il tempo di appostarsi lungo il fronte col Sant’Angelo Misurina malga di rimbianco forcella Longeres, così da portar controbattere efficacemente il tavolato superiore del Monte. Riguardo la conca di Cortina D’Ampezzo, il comando del corpo d’armata prevedeva gravi difficoltà per occuparla, mentre rilevava il valore inestimabile di tale occupazione . In realtà molte furono le incertezze che accompagnarono queste prime operazioni di guerra del Cadore scrive in generale Faldella. Orientato ad applicare procedimenti ossidionali per superare le fortificazioni nemiche il generale Nava non vide in quei primi giorni di guerra l’utilità di azioni condotte rapidamente e di sorpresa, che potevano conseguire successi, facilitando l’ulteriore sviluppo delle operazioni. Nelle direttive che emanò il 7 Aprile, il generale Nava vietò di prendere iniziative e si riserbo ogni decisione circa l’opportunità: di prevenire nemico su alcuni punti di capitale importanza per le successive operazioni il generale Cadorna intervenne, sebbene in ritardo, per evitare che la quattro armata rimanesse del tutto inoperosa, in attesa del parco d’assedio , e il 22 maggio fece spedire, a quella sola Armata, il telegramma numero 215 contenente l’ordine di imprimere alle operazioni ” spiccato vigore cercando di impadronirsi al più presto possibile posizioni nemiche oltre il confine, necessaria ulteriore sviluppo operazioni ” il generale Nava diciamo allora, alle 13:30 del 23 maggio un ordine stupefacente premesso che il nemico avrebbe potuto disporre di grandi forza, avvertì che nelle operazioni tendenti a sorprendere l’avversario occorreva essere “avveduti e cauti “. Secondo lui, l’occupazione della conca di Cortina avrebbe potuto: “trarre un mal esito delle operazioni “. I comandanti di corpo d’armata dovevano meditare su tale considerazione, far conoscere il loro parere e proporre, a ragion veduta, gli atti di prima offesa che, al loro giudizio si possono meglio compiere senza incorrere sui più gravi rischi punto il comandi di corpo d’armata ricevettero questo ordine 8 ore prima dell’inizio delle ostilità quando già le truppe avrebbero dovuto essere pronte a trapassare le frontiere . I comandanti, invece di spingere ad agire di sorpresa, dovevano meditare e proporre punto i risultati corrispondono alle premesse e furono deplorevoli.
Un giudizio altrettanto severo sarò dell’operato dei generale Nava nei primi giorni di guerra e formulato dal generale Fadini:
Il generale Nava comandante della quarta armata italiana destinata ad irrompere in Val Pusteria, non si muoveva e soprattutto non sapeva che pesci pigliare nel giro di poche settimane sarà tra i primi è senz’altro il più illustre tra i silurati di Cadorna ma intanto “è lentissimo e titubante e nonostante le energie fisiche esortazioni del comando supremo dimostra scarso spirito offensivo il suo vecchio timore dei responsabilità” .
A proposito del telegramma del 22 maggio di Pieri commenta :
Sembra che il Cadorna intendesse l’occupazione mediante colpi di mano, degli elementi avanzati degli sbarramenti nemici come il Col di Lana e Sasso di Stria , ed il Son Pauses . Ma simili colpi di mano non erano affatto “in conformità delle direttive dell’aprile 1915” che anziché gli sconsigliavano . Ne il Nava, nei due comandanti di corpo d’armata ritennero possibili .Comunque nè il Cadorna ne i suoi sottoposti pensavano che si potesse, all’apertura delle ostilità girare per alto gli sbarramenti e penetrare in tal guisa profonda nel territorio nemico. Inazione italiana meraviglio anche l’avversario infatti generale Krafft Von Dellmensingen comandante dell’AlpenKorps tedesco annota sul suo diario “apprendo che il nemico non ha intrapreso finora nessun ,nulla di serio. Si vede che non sa cogliere il suo vantaggio”. Il 27 maggio il comando supremo, constatato “che il nemico non è in grado o almeno non intende di contrastare seriamente la nostra avanzata” diramo l’ordine di guadagnare con un primo balzo il maggior terreno possibile:
Conviene qui e approfondire di questo stato di cose …occupando subito quelle posizioni oltre il confine, la cui conquista , quando il nemico avesse il tempo di portarvi adeguate forze , costerebbe a noi grossi sacrifici… Aspettando per operare con decisero offensiva , che tutti i mesi per vivere e combattere siano perfettamente organizzati, noi rischieremmo di dover ben presto consumare quei mezzi per conquistare obiettivi ,che oggi potremmo raggiungere senza colpo ferire.
Quest’ordine determinò l’avanzata delle truppe a passo Tre Croci e sulla Val Boite al’altezza di Zuel conquistando anche la conca di Cortina , interessante ricordare che tali occupazioni furono precedute da un’audace esplorazione del Sottotenente Matter 55°Fanteria ,questo partito da Misurina il 26 maggio verso il Passo Tre Croci, abbatte il cippo di confine e raggiunge il passo , lo trova sgombro e quindi ritorna a Misurina con un lungo canocchiale sequestrato sul piazzale antistante all’albergo.
Il giorno seguente 27 maggio mentre il resto della compagnia occupa i Tre Croci e SonForca scende a Cortina con una pattuglia e trova sgombrata dagli austriaci c’è già il 20 maggio avevano ritirato tutte le autorità militari e si limitavano a inviare, di notte, qualche pattuglia da Fiames e da Son Pauses. Va a cercare le autorità del paese e invita il capo del Comune e Decano ad accompagnarlo a Tre Croci . Qui li presenta il maggiore Bosi, il futuro magnifico eroe del piana comandante del battaglione, il quale in breve colloquio dà assicurazione che, qualora non vengano fatte rappresaglie contro le truppe occupanti, sarà rispettato ogni persona e ogni cosa ed invita a rientrare a Cortina. Nel pomeriggio del giorno successivo e durante tutto il 29 maggio il grosso delle truppe italiane occupa tutte le conca Ampezzana risalendo lentamente da Acqubona e Zuel .
Fonte : La guerra in Ampezzo e Cadore- Antonio Berti -Mursia
Non si può vivere la storia , senza avere la capacità di sentire solo la campana dei vincitori , bisogna vedere sempre da ambo le parti , come stanno le cose , perchè come si dice la verità sta nel mezzo , certo i tedeschi nei nostri comuni di danni ne hanno fatti , ma non è che le camice nere ed i partigiani in alcuni casi siano stati da meno …ma il soldato che spara per difendersi da un’altro soldato certo non è ne migliore ne peggiore , ma quando si spara sulla popolazione inerme che non può e non ha i mezzi per difendersi , credo deva essere presa in maniera diversa, e con il dubbio del se e del ma , anche se un’analisi seria può essere fatta solo da chi accetta il confronto , è lo fa per capire , per non dimenticare e per far sapere . Cailotto Luciano
Il Comando a Recoaro Terme
Alle Fonti Regie e nel centro cittadino si stabilirono tutti i comandi dell’Amministrazione militare, dell’Esercito, della Marina, dell’Aviazione e del Genio della Wehrmacht con i loro ufficiali superiori, soldati, ausiliarie e addetti ai servizi logistici. Albert Kesselring scelse questo posto per 3 motivi principali: Recoaro Terme non è un obiettivo strategico, possiede un collegamento molto rapido con il Brennero passando per Campogrosso e perchè la cittadina aveva un numero molto alto di edifici come alberghi, ville, ecc…, l’ideale per ospitare i 1500 soldati tedeschi. Proprio la presenza dell’Alto Comando tedesco spiega una concentrazione unica di rifugi antiaerei, in roccia o in superficie, comunemente chiamati bunker. In rapporto alla superficie e alla popolazione non esiste in Veneto ed in Italia un altro luogo con una simile quantità di rifugi in galleria e in superficie. Già prima di maggio del ’44, mentre si combatteva sul fronte di Cassino e in previsione di un arretramento sulla Linea Gotica, Kesselring aveva individuato Recoaro Terme come sede del suo Quartier Generale. La cittadina termale offriva molteplici vantaggi, aveva un alto numero di alberghi e di ville signorili, un rapido collegamento con la pianura e un buon collegamento a nord attraverso il Pian delle Fugazze sulla strada statale Schio-Rovereto. A ovest e a nord sul Passo di Campogrosso il Comune di Recoaro Terme confina con il Trentino e quindi era adiacente all’Alpenvorland, territorio del Reich. Il 17 maggio 1944 i Tedeschi iniziarono i lavori per il loro nuovo Quartier Generale. Il progetto prevedeva uffici, alloggi per i militari e rifugi antiaerei nell’area delle Fonti e nel centro cittadino. Il trasferimento dell’Alto Comando a Recoaro Terme avvenne a metà settembre del 1944. I militari occuparono i principali alberghi del centro, le scuole, tutte le ville signorili e tutti gli edifici delle Fonti Centrali. Un documento redatto dal Comando tedesco il 22 settembre del 1944, riporta con precisione l’elenco degli edifici occupati dai comandi e dai rispettivi generali, le opere di difesa assegnate e il numero di soldati che vi potevano trovare protezione. In quattro fogli dattiloscritti sono contenute in tre colonne informazioni sugli alloggi occupati, sul personale militare e sui vari tipi di rifugi.
I Rifugi
Per esigenze belliche furono occupati le scuole, due edifici e l’ufficio postale delle Fonti Centrali, l’autorimessa di un albergo e il deposito dell’industria d’imbottigliamento dell’acqua minerale. La seconda colonna del documento contiene notizie sul personale, numero e incarico, relativo a ogni fabbricato. Conosciamo dove erano alloggiati i comandanti dell’Artiglieria, delle Truppe corazzate, della Polizia militare, dei Trasporti, del Genio, della Giustizia … e sappiamo anche che erano in funzione una stazione meteorologica e l’infermeria per la truppa con l’ambulatorio dentistico. In due ville erano alloggiati il giudice militare e il capo dei cappellani militari dell’esercito. L’ultima colonna riporta i tre tipi di rifugio costruiti: bunker, gallerie e trincee antischegge. A ogni fabbricato occupato era assegnato un rifugio a cui fare riferimento. Per ogni bunker e galleria, così come per ognuna delle 10 trincee paraschegge elencate, vengono riportati la superfice utile in metri quadrati e il numero massimo di persone ospitate calcolate in numero di due per metro quadrato. I rifugi antiaerei in galleria (Stollen) sono contraddistinti da lettere dell’alfabeto mentre per i bunker in superfice sono stati usati i numeri arabi. Dopo appena quattro mesi di lavoro le difese antiaeree più importanti, in galleria o in cemento armato in superficie, erano già disponibili con una capacità di circa 2500 persone. La progettazione e la realizzazione delle opere fu affidata alla Todt (OT), un’organizzazione militare tedesca che si occupava di fortificazioni e infrastrutture su tutti i fronti di guerra, fra cui anche il Vallo Atlantico in Normandia. Sotto la direzione di ufficiali e sottufficiali tedeschi lavoravano ingegneri, tecnici, impiegati e operai italiani dai 16 ai 60 anni regolarmente assunti e remunerati. Gli uffici avevano sede all’Albergo Gaspari nel centro cittadino. Alla fine della guerra vi svolgevano la loro attività 25 militari tedeschi agli ordini di un maresciallo. Al personale dell’OT di Recoaro Terme erano affidati il controllo e la progettazione delle opere con la predisposizione degli elaborati grafici necessari ai cantieri. I disegni tecnici, composti di piante, sezioni trasversali e longitudinali opportunamente quotati, erano molto accurati. Ognuna delle 12 tavole giunte fortunosamente fino a noi riporta il nome della galleria, la data di inizio dei lavori, la scala di riduzione grafica, l’orientamento e le pendenze. Una poligonale chiusa con indicati gli angoli in gradi sessagesimali e centesimali, le distanze e le pendenze, permetteva di scavare contemporaneamente dai due ingressi e di congiungere le due gallerie con la massima precisione.
CONTATTI :
APERTURA MENSILE DEL BUNKER KESSELRING SIAMO APERTI TUTTE LE DOMENICHE DI LUGLIO E AGOSTO E SETTEMBRE
Reparti tedeschi a Valdagno (agosto 1943-aprile 1945) del Prof. Maurizio Dal Lago
Tra l’agosto del 1943 e l’aprile del 1945 furono acquartierate a Valdagno tre unità tedesche. La prima a giungere, tra il 15 e il 20 agosto 1943, fu un’unità appartenente alla Luftwaffe. Si trattava del Luftnachrichten Betriebsabteilungen zur besonderen Verwendung 11 (Reparto trasmissioni e controllo di volo per impieghi speciali 11). Nella primavera-estate del 1943 esso era stanziato nella provincia di Poznan: comandato dal tenente colonnello Friederich Silomon, era strutturato su quattro compagnie, per un totale di circa mille uomini. Nell’estate del 1943 fu trasferito in Italia settentrionale in attuazione del piano di invasione “Asse”. A quell’epoca il reparto era passato sotto il comando del tenente colonnello Fritz Trippe, che era nato a Reichenbach, nella bassa Slesia. A Valdagno furono dislocati lo stato maggiore del reparto, la 4a compagnia e la colonna delle attrezzature. In tutto circa 400 uomini. La 1a compagnia al comando del tenente Schufred fu mandata a Dobbiaco; la 2a compagnia, comandata dal capitano Khun, era dislocata a Padova; la 3a compagnia con il tenente Boguniewski si trovava a Verona. Dipendevano inoltre dal reparto la 4a compagnia del 28° reggimento trasmissioni aeree al comando del capitano Klein, di stanza a Milano, e la 5a compagnia del 35° reggimento trasmissioni aeree sotto il comando del tenente Jonigk ad Arzignano. Il Luftnachrichten Betriebsabteilungen aveva il compito di garantire l’allestimento dei cosiddetti posti di comando tattico, di curare l’impianto e la manutenzione dei collegamenti radio e telefonici tra le varie unità della Wehrmacht, nonché di fornire informazioni aggiornate sul movimento dei propri aerei e di quelli del nemico. Gerarchicamente esso dipendeva dal Comando Traffico Volo tedesco, che si era trasferito da Treviso all’aeroporto Dal Molin di Vicenza il 1° agosto 19434. Per acquartierare la truppa a Valdagno furono requisite la settecentesca villa Valle, le sedi della GIL maschile e femminile, quella del Ginnasio pareggiato, alcune aule dell’Istituto industriale chimico-tessile. In seguito, in previsione dell’arrivo a Recoaro del Comando superiore Sud Ovest del Feldmaresciallo Kesselring, furono requisite anche le scuole elementari del capoluogo e delle frazioni, la villa padronale dei Marzotto e molte case private nel centro storico. I 14 ufficiali alloggiavano all’hotel Pasubio . La sede del comando venne posta nella Casa del Fascio in piazza Dante (il Partito fascista repubblicano, una volta costituitosi il 25 ottobre 1943, dovette traslocare nelle stanze del palazzo Festari). Vice comandante del reparto era il capitano con funzioni di maggiore Karl Kurz. Aiutante presso lo stato maggiore era il tenente Gehrard Suder. La 4a compagnia era sotto la responsabilità del capitano Arthur Sackel, che aveva alle sue dipendenze il tenente Franz Hauser e il sottotenente Wartermann. Il tenente Josef Stey comandava la colonna delle attrezzature e, contemporaneamente, era addetto all’ufficio del presidio. Ufficiale pagatore era il tenente Walter Führ, mentre la funzione di medico del reparto era svolta dal dr. Armin Schütte; il compito di interprete fu affidato in un primo tempo al tenente Schultz e poi al caporale alto atesino Enrico Zorzi. Nel marzo del 1944 il colonnello Fritz Trippe fu sostituito dal maggiore Ludwig Diebold, un ingegnere austriaco nato a Vienna nel 1907. Infine, dal febbraio 1945, il reparto fu comandato dal tenente colonnello Ludwig Hörger, che aveva come aiutante il capitano Lorenz. Il comandante del Luftnachrichten Betriebsabteilungen era anche il comandante del presidio di Valdagno, dal quale dipendevano tutti gli altri distaccamenti tedeschi dislocati nei centri della Valle dell’Agno: Recoaro, Cornedo, Castelgomberto, Brogliano e Trissino. Lo Jagdkommando di questo reparto eseguì, secondo l’ordine del maggiore Diebold, la sanguinosa rappresaglia di Borga di Fongara (11 giugno 1944). Sempre Diebol ordinò la fucilazione dei “Sette martiri” a Valdagno (3 luglio 1944). Il reparto partecipò anche al rastrellamento di Piana di Valdagno (Operazione Timpano, 9 settembre 1944). Il Luftnachrichten Betriebsabteilungen abbandonò il centro industriale valdagnese tra il 24 e il 25 aprile 1945, e si ritirò verso Bolzano al seguito del Comando superiore Sud Ovest del Generale Heinrich von Vietinghoff-Scheel che in quei giorni aveva lasciato a sua volta la sede di Recoaro Terme, dove era arrivato nel settembre del 1944. Il giorno della capitolazione, il 2 maggio 1945, il reparto si trovava a Brunico.
Il Reparto “Orianenburg” Si è accennato che nel Lehrkommando 700 c’erano alcuni appartenenti alle SS. Questi erano una quindicina di uomini che provenivano dal reparto Oranienburg, costituito nell’autunno del 1943 con elementi che in precedenza avevano condotto pesanti e sanguinosi scontri con i partigiani in Croazia e che erano stati puniti e degradati al fronte per i più diversi motivi. Costoro dovevano “riabilitarsi” attraverso una “prova”, cioè partecipando ad azioni particolarmente pericolose. In parte erano veri e propri criminali, altri invece avevano infranto il rigido codice d’onore delle SS con mancanze relativamente modeste. I membri delle SS rappresentavano un problema costante perché dal punto di vista disciplinare non erano sottoposti al comandante del reparto, ma direttamente all’Obersturmbannführer Otto Skorzeny11. È da segnalare che Hermann Georges, il soldato ucciso a Borga di Fongara da partigiani rimasti sconosciuti, era un “combattente del mare” di stanza a Valdagno, e più precisamente una SS che proveniva dal reparto Orianenburg. L’efferata rappresaglia dell’11 giugno 1944, che costò la vita a 17 persone della contrada recoarese, fu condotta dallo Jagdkommando del reparto della Luftwaffe al comando del tenente Joseph Stey, rinforzato per l’occasione da una ventina di uomini dell’LK 700 comandati dal tenente di vascello Herbert Völsch.
Il “Lehrkommando 700” Nel gennaio del 1944 giunse in città il reparto “Combattenti del mare Brandeburgo”, una formazione dell’Abwehr, il Servizio segreto militare tedesco diretto dall’ammiraglio Wilhelm Canaris. Questa era una unità di incursori subacquei la cui nascita si deve alle sollecitazioni di Alfred von Wurzian, un ufficiale viennese, compagno di spedizioni del ricercatore marino austriaco Hans Hass. La sua idea era di munire di bombole di ossigeno e di pinne gli incursori che dovevano essere condotti di notte da un sottomarino nelle vicinanze di porti nemici. Essi poi, avvicinatisi a nuoto agli obiettivi, avrebbero applicato il materiale esplosivo alle carene delle navi nemiche. Wurzian aveva illustrato le sue idee alla Marina da guerra tedesca nell’estate del 1942, ma in quel momento vennero accantonate perché gli alti comandi puntavano sulle grandi navi da combattimento e, soprattutto, sui sottomarini. Per un piccolo gruppo come gli incursori subacquei non si vedeva un reale utilizzo nonostante i successi degli incursori italiani. Solo nel gennaio del 1943 il progetto di Wurzian fu ripreso e valutato positivamente dall’Abwehr. Wurzian, pertanto, fu inserito nel Regiment Brandenburg con l’incarico di costituire un gruppo di sabotaggio sottomarino. Ma il progetto procedette molto lentamente. Nella primavera del 1943 il comandante della Decima Mas, Junio Valerio Borghese, incontrò Wurzian e lo invitò a partecipare all’addestramento degli uomini “Gamma”, una unità molto simile a quella cui stava lavorando il Wurzian, che accettò l’invito e partecipò, nell’estate del 1943 a Quercianella-Sonnino, vicino a Livorno, al corso d’addestramento dei “Gamma”. Nel gennaio del 1944 gli uomini selezionati per diventare incursori marini furono mandati a Valdagno dove qualche mese prima erano giunti anche i “Gamma” al comando del tenente di vascello Eugenio Wolk e del suo vice, il tenente, e medaglia d’oro al valor militare, Luigi Ferraro. A Valdagno, infatti, esisteva una piscina coperta adatta all’addestramento. Gli incursori tedeschi furono acquartierati nei locali del Dopolavoro Marzotto nel quale insisteva la piscina. Il reparto, denominato “Combattenti del mare Brandeburgo”, era formato da una quarantina di militari provenienti dalla marina, dall’esercito, dalla aeronautica (paracadutisti), dal servizio segreto e dalle SS. Primo comandante dell’unità fu il capitano Neitzker del Servizio segreto militare. Wurzian era il responsabile dell’addestramento. Nel marzo del 1944 Neitzker fu sostituito dal capitano Friedrich Hummel, sempre appartenente all’Abwehr. Nel giugno del 1944 il reparto cessò di dipendere dal Servizio segreto militare e fu assegnato alla Kriegsmarine. Di conseguenza il 21 giugno 1944 i “Combattenti del mare Brandeburgo” cambiarono denominazione, e assunsero il nome di Lehrkommando 700. Ne divenne comandante l’ufficiale medico dr. Armin Wandel. All’esterno, infatti, il commando era mascherato come centro di convalescenza per soldati nel quale i feriti venivano resi nuovamente abili per il fronte attraverso molto sport ed attività fisica. La giornata dei sabotatori tedeschi cominciava alle 7 del mattino con due ore di piscina. Poi seguivano tre ore di marcia e, nel pomeriggio, due ore di addestramento militare. Erano frequenti anche le marce sulle colline circostanti e sulle pendici delle Piccole Dolomiti. Oltre che a Valdagno, dove aveva sede il Lehrgangslager 704, il Lehrkommando 700 disponeva del campo d’addestramento (Lehrgangslager 701), sull’isola di S. Giorgio in Alga, nella laguna di Venezia, del Lehrgangslager 702 a Bad Tölz e del Lehrgangslager 703 a List auf Sylt. Alla fine di giugno del 1944 il quartier generale dell’LK 700 venne trasferito da Valdagno a S. Giorgio in Alga, mentre comandante del campo di Valdagno divenne il tenente di vascello Herbert Völsch. Nel settembre 1944 gli appartenenti al Servizio segreto militare ed alle SS lasciarono il Lehrkommando 700 a causa dei numerosi conflitti di competenza tra SS e Marina da Guerra. Gli incursori delle SS fondarono un proprio gruppo segreto a Bad Tölz sotto il comando del liberatore di Mussolini, l’SS Obersturmbannführer Otto Skorzeny, con il nome SS-Jagdkommando Donau. Wurzian, pur appartenendo al Servizio segreto militare, rimase a Valdagno come responsabile dell’addestramento del-l’LK 700. Nel novembre 1944 l’LK 700 venne ritirato dall’Italia e trasferito a List auf Sylt9, località sulla costa occidentale dello Schleswig, al confine con la Danimarca. Il 16 settembre 1944, tre appartenenti all’LK 700 furono catturati dagli inglesi nelle acque davanti a Fano, dopo che la loro imbarcazione era rimasta senza carburante. Il 20 settembre, i tre (Karl Heinz Kaiser, 24 anni; Herbert Arthur Kein, 21 anni e Oskar Otto Georg Kuehn, 25 anni) furono interrogati a fondo dal servizio segreto alleato in quanto sospettati di una missione di sabotaggio contro le navi ormeggiate nel porto di Ancona. Sulla base delle informazioni date dai tre prigionieri, l’Intelligence Section presso l’Headquarters delle Mediterranean Allied Air Forces indicò, nel mese di ottobre del 1944, come possibile obiettivo di bombardamento l’Isola di S. Giorgio in Alga. Un mese dopo, il Servizio segreto alleato segnalò la presenza a Valdagno di una «School for Swimming Saboteurs», composta di italiani e tedeschi, proponendone il bombardamento in quanto «the destruction of this school would greatly reduce the risk to Allied Shipping in the Mediterranean Theatre» (23 novembre 1944).
Il Bombardamento del 20 aprile 1945
Il 20 aprile, compleanno di Hitler, gli Alleati bombardarono chirurgicamente le Fonti Centrali; due giorni dopo, nel corso di una riunione, all’interno del bunker di comando, fra i principali responsabili politici e militari tedeschi presenti in italia, fu stabilita la cessazione dei conflitti. Il 29 aprile fu quindi ratificata a Caserta la resa incondizionata. I bunker furono oggetto di una pesante incursione aerea il 20 aprile 1945 quando 18 bombardieri americani B25J Mitchell decollati da Rimini sorvolarono Recoaro Terme e da 3000 metri sganciarono con incredibile precisione 135 bombe da 250 kg sul Quartier Generale tedesco. Il bombardamento aereo si concentrò esclusivamente sull’area delle Fonti Regie e distrusse la sede del Comando, le ville e gli alberghi dove alloggiavano gli ufficiali. I rifugi antiaerei resistettero alle esplosioni e la maggior parte dello Stato Maggiore si salvò all’interno del bunker del Comando. A dimostrare la fiducia che i Comandi riponevano nelle opere di difesa antiaerea basta questa considerazione sull’attacco aereo ripresa dal diario di von Vietinghoff:
“I comandi tedeschi in Italia erano avvezzi ad avere a che fare con attacchi aerei, ed erano di conseguenza preparati. Naturalmente ogni volta si verificava un breve disturbo, nella pratica insignificante, perché ognuno aveva il suo posto di lavoro stabilito nei grandi ricoveri e la centrale telefonica era comunque sicura nelle profondità della montagna”.
Gli ultimi giorni di Guerra – La Resa ( fonte: prof. Maurizio Dal Lago suo libro “L’ultimo mese di guerra nella valle dell’Agno”
L’8 marzo del 1945 iniziano in Svizzera i contatti segreti tra i tedeschi e gli americani (operazione Sunrise) per arrivare alla fine del conflitto. Da parte tedesca tali contatti erano tenuti da Karl Wolff – all’insaputa di Hitler – e da parte americana da Dulles. Wolff aveva le mani legate, non poteva fare nulla senza coinvolgere il Comando di Recoaro. Decide quindi di recarsi a Recoaro una prima volta il 28 marzo per capire le intenzioni di Vietinghoff, (comandante in capo del fronte Sudovest e del gruppo di armate C) che però considera la resa ancora prematura. Wolff persiste nel tentativo di convincere Vietingoff che bisognava fare in fretta: gli alleati avanzavano molto velocemente e quindi ben presto non avrebbero più avuto alcun interesse alla trattativa. Ma il vecchio ufficiale prussiano – che il 18 aprile aveva ricevuto l’ordine perentorio di Hitler di “combattere fino all’ultimo uomo” – non voleva correre il rischio di essere accusato di alto tradimento. A metà aprile anche il generale Graziani, massimo responsabile militare dell’esercito della Repubblica di Salò, va a Recoaro per dire a Vietinghoff che Mussolini non credeva più alla vittoria finale e la situazione era disperata. Venerdì 20 aprile il Comando di Recoaro venne pesantemente bombardato. Neppure questo fatto bastò a convincere Vietinghoff ad accettare la resa. Dovettero raggiungerlo a Recoaro due giorni dopo Rahn, Wolff e Hofer (i rappresentanti della sovranità tedesca in Italia). La decisione di terminare l’insensato combattimento e di inviare una delegazione al quartier generale degli Alleati per delle trattative sulle condizioni di un armistizio venne presa a Recoaro, nell’alloggio di Vietinghoff, domenica 22 aprile 1945. I plenipotenziari tedeschi raggiunsero quindi Caserta, dove la resa venne firmata il 29 aprile 1945. Il comando Sud-ovest e il gruppo di armate C furono i primi ad arrendersi in Europa, dove le armi tacquero solo il 9 maggio 1945.