Era bello e grandioso un’opera che dava visibilità alla zona , conosciuta per molte altre bellezze , L’avez de Prinzep , Luserna ed altri tanti luoghi per gli amanti della montagna , anche a ricordo di quella sera di tempesta dove sia il passo Vezzena che la meravigliosa piana di Marcesina si è vista deturpare e abbattere alberi come stuzzicadenti , io come tanti c’ero , ed abbiamo aperto la strada del passo Vezzena …ma la mente umana così bacata e malata , e capace di tutto , ricordo i 7 focolai sul Novegno del 2020 , ma finchè non si puniscono i piromani come si deve rendendo pubblica ed esemplare la punizione, continueranno ad imperversare , ma quando si và a toccare un bene comune di tutti la privacy non dovrebbe esistere . Il drago e volato in cielo per mano dell’uomo , anche se definirli così non sarebbe certo corretto , creato con amore da una mano esperta e reso accessibile a tutti …ora rimane la rabbia ed il dispiacere di un opera così e credo che a Marco Martalar salire lì , sia costato non poco , ma la vita riparte più decisi di prima , nella speranza che nelle indagini e fotocamere esca qualcosa che riesca a beccare chi ha fatto questo , e che la pena sia ESEMPLARE .
Fonte : il Corriere delle Dolomiti , articolo di Francesco Dal Mas 5 agosto 2023
«Ma la montagna non è una Gardaland» sbotta Giuseppe Dal Ben, direttore generale dell’Usl1 Dolomiti, dando i numeri dei soccorsi: 37.254 chiamate al 118 nei primi sei mesi del 2023 (la media annuale è di 73-74 mila) con 7.812 missioni, di cui 58 con gli elicotteri.
Che cosa infatti sta accadendo in alta quota? Che tra le 651 persone che chiedono aiuto, il 44% è rappresentato da escursionisti, cioè semplici camminatori. Tra questi, il 14,6% si mette nei guai “per incapacità”, il 7,4% perché perde l’orientamento, il 2,8% perché si lascia sorprendere dal maltempo; che una percentuale analoga di persone chiede che le si vada incontro perché è in ritardo.
Soccorsi, insomma, non strettamente sanitari. I volontari del Cnsas o gli elicotteri Falco 1 e Falco 2 ti vengono a prendere perché sei in difficoltà e il più delle volte ti portano all’auto o in albergo, anziché in ospedale. A questo punto è ovvio che l’escursionista paghi per la sua imperizia. E il conto è salato.
Le cifre le ha svelate il direttore Dal Ben in presenza del direttore del Suem 118 Giulio Trillò, del direttore del Dipartimento Prevenzione Sandro Cinquetti e dei vertici del Soccorso alpino, il delegato interprovinciale Alex Barattin e il coordinatore regionale Rodolfo Selenati.
Va precisato, fra l’altro, che i cambiamenti climatici, con le bombe d’acqua, le raffiche di vento, le temperature sempre più alte che sciolgono il permafront congelante, perché lo zero termico si alza anche di 1500 metri sopra le vette della Marmolada, rende i percorsi pieni di spiacevoli sorprese: dagli alberi di traverso sul sentiero, ai ghiaioni ruscellati, ai crolli improvvisi. Anche se i volontari del Cai sono sempre pronti ad intervenire rimettendo in sicurezza gli itinerari.
Dal 2020 l’Azienda sanitaria ha emesso 1.036 fatture per un importo di ben 2 milioni e 22 mila euro, due su tre a carico di italiani.
Solo nei primi sette mesi di quest’anno, nonostante che il maltempo abbia rallentato la frequentazione delle alte asperità, gli amministrativi di Dal Ben hanno staccato ben 164 fatture per un ammontare di 409.156 euro. Ma, attenzione: fino alla fine del mese scorso, gli stranieri hanno rappresentato la maggioranza, col 54%.
Il direttore generale ha ammesso che non è facile convincere i malcapitati a pagare il transfer; più convincibile è lo straniero. Il problema è – come ha fatto notare Selenati – che il 95% di coloro che scarpinano lungo i sentieri di montagna o si avventurano sulle sempre più ambite ferrate, oppure inforcano credendosi campioni la e-bike, «non sono nemmeno assicurati». E la botta, quando arriva, è sicuramente pesante.
Gli inglesi sono, quest’estate, in testa alla classifica dei soccorsi, seguono i polacchi, i ceki, gli americani dei paesi bassi, i francesi.
Un volo per sfinimento (il 2% dei casi) può costare anche 4mila euro. Perché, dunque, tanta leggerezza nell’affrontare le terre alte?
Purtroppo – hanno ammesso Selenati e Barattin – ci si fionda in montagna anche senza preparazione, magari affrontando itinerari impegnativi, solo perché sospinti dai social e dagli influencer. Giulia Calcaterra che si fa portare sulla Torre Venezia del Monte Civetta dall’elicottero (non certo quello del Suem) «è un brutto esempio assolutamente da non imitare».
Oltretutto – raccomanda il direttore del Suem, Trillò – si tenga conto che determinati interventi sono così difficili da mettere a repentaglio anche la vita dei professionisti e dei volontari.
Recentemente, pertanto, si è stati costretti – come riferisce lo stesso Trillò – a uscire con i due Falco contemporaneamente. Anzi, al riguardo Dal Ben ha precisato che il Suem è attrezzato per il volo notturno, ma per determinati soccorsi in parete, di una difficoltà unica, il personale specializzato è in formazione, per cui ci si affida necessariamente ad altri equipaggi.
Questione di mesi, comunque, e i due Falco potranno intervenire in qualsiasi salvataggio. Va detto, per la precisione, che il secondo elicottero sarà attivo – all’aeroporto di Belluno – nel pieno della stagione estiva e “probabilmente”, anticipa Dal Ben – lo sarà anche in quella invernale.
“la montagna che conosco io e quella in cui si rotola nei prati , si ammira il cielo sdraiati sull’erba , ci si bagna quando c’è la neve , e si ammira la pioggia quando c’è il temporale , questa è la semplicità della montagna , questo è quello che mi piace della vita …la semplicità. Luciano Cailotto (Luke)”
Buongiorno a tutti voglio ringraziare chi , usa , e chi ha usato , chi mi segue con la stessa passione che io scrivo e faccio post sul mio piccolo sito , perchè 1.700.000 visualizzazioni , 4157 persone che mi seguono , e 3873 followers di facebook , da più 60 paesi del mondo con più di 20 visualizzazioni , credo siano dei bei numeri , ma la cosa di cui io vado fiero , è che non è a pagamento , lo mantengo io personalmente ed è totalmente gratis . GRAZIE DI CUORE , di chi commenta , di chi mi scrive , di chi mi chiede informazioni e di chi si affida per programmare un escursione. GRAZIE A TUTTI .
QUESTO ARTICOLO E’ DI PROPRIETA’ DEL SERVIZIO FORESTE E SERVIZIO FAUNISTICO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO , CHE RINGRAZIO PERSONALMENTE SIA PER L’AUTORIZZAZIONE A PUBBLICARE L’ARTICOLO SIA LA COMPLETEZZA DELLE INFORMAZIONI
La presenza di grandi quantitativi di piante danneggiate disperse nei boschi ha permesso alle popolazioni di bostrico di passare da una presenza endemica ad una presenza epidemica, destinata a durare qualche anno. In previsione di tale pullulazione, che si verifica regolarmente dopo estesi danneggiamenti dei boschi per schianti da vento o da neve, la provincia di Trento subito dopo la tempesta Vaia aveva attivato un sistema esteso di monitoraggio delle popolazioni dell’insetto, in collaborazione con la Fondazione Mach.
Di seguito una serie di risposte alle domande che più frequentemente sul bostrico, sui metodi per riconoscere le piante infestate e sulle strategie possibili di lotta.
BIOLOGIA DEL BOSTRICO
Cos’è il bostrico?
L’Ips thypographus, meglio noto come bostrico tipografo, è un piccolo insetto coleottero del gruppo degli Scolitidi, di forma cilindrica e di colore bruno, lungo circa 4-5 mm. E’ endemico dei boschi del Trentino e attacca prevalentemente l’abete rosso, in cui si sviluppa sotto la corteccia scavando intricate gallerie, che interrompono il flusso della linfa; in tal modo porta inevitabilmente a morte le piante in breve tempo.
In primavera, i maschi sopravvissuti all’inverno penetrano nelle piante e costruiscono una camera nuziale, in cui si accoppiano in genere con due-tre femmine. Queste scavano poi gallerie lunghe fino a 10-15 cm e parallele all’asse del tronco, dove depongono in media 80 uova.
Le larve (bianche, senza zampe e con il capo scuro), nutrendosi, scavano gallerie di 5-6 cm in senso ortogonale all’asse del fusto, ma sempre sottocorticali; al termine dello sviluppo si trasformano in adulti, dando vita a una nuova generazione che potrà insediarsi su altre piante. Ciò può avvenire nello stesso anno, se le condizioni climatiche lo consentono, oppure nell’anno successivo, dopo lo svernamento.
Larva di bostrico
Le gallerie scavate dalle femmine e dalle larve danno origine ai caratteristici sistemi che spiegano il nome di tipografo dato alla specie.
galleria scavate dalle femmine (parallele all’asse del fusto) e dalle larve (ortogonali all’asse del fusto)
Come riconoscere una pianta attaccata?
Il bostrico colonizza singole piante indebolite o sotto stress, scavando piccoli fori nella corteccia. L’infestazione può essere riconosciuta già all’inizio grazie all’emissione di rosura rossastra dal foro di ingresso; in caso di pioggia, tuttavia, questi segnali non sono più visibili. Un altro sintomo è la perdita di resina, prodotta dalla pianta nel tentativo di difendersi dall’attacco, che può colare lungo il tronco.
Foro di entrata del bostrico
Spesso la pianta è attaccata nella sua parte medio-alta e pertanto è più difficile individuare sintomi evidenti. I segni tardivi della colonizzazione dei tronchi – che però non consentono alcun controllo efficace – sono la decolorazione degli aghi, la loro caduta con la chioma ancora verde, il distacco della corteccia, le specchiature del picchio.
Caduta degli aghi ancora verdi a causa di un attacco di bostrico
Quando la chioma assume un colore rosso intenso, gli insetti si sono in genere già involati. Alla fine le piante presentano una colorazione grigia per la perdita completa degli aghi; in quest’ultimo caso gli insetti si sono allontanati già da diverso tempo.
Perché gli abeti rossi infestati dal bostrico muoiono?
Una volta penetrato sotto corteccia, il bostrico scava delle gallerie di riproduzione. Le larve a loro volta scavano altre gallerie perpendicolari all’asse del fusto, che interrompono il flusso di linfa nel floema. In tal modo gli zuccheri prodotti dalla chioma non raggiungono più le radici. Inoltre, quando penetrano nei tronchi, gli adulti trasportano anche funghi patogeni, che intasano i vasi di conduzione dell’acqua nell’albero (xilema). Entrambi i fattori, la distruzione del floema da parte delle larve e la ridotta conduttività dell’acqua dovuta all’infestazione fungina, portano gli abeti a morte rapida nel periodo di vegetazione.
Il bostrico sotto corteccia muore durante l’inverno?
Le uova e le larve giovani muoiono a temperature inferiori a -10, -15°C persistenti per diversi giorni. Le larve mature e le pupe presentano una maggior resistenza e gli adulti maturi possono sopravvivere anche a lunghi periodi di freddo. Negli inverni miti e umidi il bostrico svernante sotto corteccia può subire danni a causa di infezioni fungine, che però non hanno un’influenza decisiva sulla densità di popolazione.
Quando inizia l’attività di diffusione del bostrico in primavera?
Il bostrico di solito inizia a sciamare in primavera da metà/fine aprile, raramente già alla fine di marzo, con temperature superiori a 16,5°C e tempo asciutto, anche se i voli diventano significativi sopra i 18°C. Tuttavia, in primavera, anche altri fattori sono decisivi nell’avvio dello sfarfallamento, come la durata della luce del giorno e la somma delle temperature (gradi giorno, indicanti una stima delle ore di riscaldamento necessarie).
Così, secondo lo stato attuale delle conoscenze, tre condizioni devono essere presenti perché gli svernanti inizino il loro volo in primavera:
una temperatura dell’aria superiore a 16,5 °C;
una certa somma di temperatura (con valori soglia noti, ma probabilmente da rivalutare in un contesto di cambiamento climatico);
una certa durata della luce diurna, come si ha circa da metà aprile in poi.
Quando termina l’attività di diffusione del bostrico in autunno?
L’attività di diffusione può terminare solo dopo diversi giorni con temperature diurne e notturne costantemente sotto i 16,5°C, precipitazioni persistenti o un periodo di luce diurna troppo breve (<14 ore) in autunno.
Che influenza hanno la temperatura e la luce sull’attività di sciamatura e di infestazione?
La temperatura e la durata della luce diurna influenzano l’attività del bostrico. Il volo di sciamatura inizia con una temperatura diurna di 16,5° e una durata della luce diurna >14 ore. A seconda della temperatura, gli adulti impiegano da 1 a 2 settimane per creare la camera nuziale, per accoppiarsi e per deporre le uova. Dopo di che possono involarsi nuovamente per creare una nuova covata, che dà origine alla cosiddetta generazione sorella. Anche la velocità di sviluppo dei singoli stadi è fortemente dipendente dalla temperatura. L’intero ciclo di sviluppo, da uova ad adulti, dura da 6 a 8 settimane Gli adulti neoformati necessitano, inoltre, di una fase di alimentazione, sempre sotto corteccia, per diventare individui maturi; tale fase richiede in genere 1-2 settimane, anche in questo caso in base alla temperatura.
Individuo immaturo e pupa (fase di trasformazione da larva in adulto)
Per questi motivi, mentre in alta quota si sviluppa una sola generazione in un anno, a quote medio-basse si svolgono facilmente due generazioni.
Quando si passa da una fase endemica a una fase epidemica?
La presenza in bosco di materiale schiantato, ancora integro e umido, favorisce la proliferazione del bostrico, portandolo dallo stato endemico a quello epidemico, condizione in cui esso diventa aggressivo e attacca anche piante sane in piedi. Lo spostamento progressivo su nuovi nuclei di piante produce danni estesi, talora senza soluzione di continuità. A favorire le pullulazioni concorrono periodi caldi e siccitosi, soprattutto in primavera-estate.
Quanto può durare una infestazione da bostrico?
Le esperienze dei paesi centro-europei hanno dimostrato che le pullulazioni di bostrico, che si sviluppano dopo gravi eventi di schianto di alberi, durano in media 5-6 anni, con la massima infestazione nel 2° e 3° anno e una riduzione progressiva in quelli successivi. Va tuttavia rilevata l’importanza degli andamenti stagionali più o meno favorevoli all’insetto. In generale inverni lunghi e freddi riducono il tempo a disposizione per lo sviluppo di due generazioni annuali e aumentano la mortalità invernale. Estati fresche e piovose accrescono la resistenza delle piante, mentre prolungati periodi siccitosi durante il periodo vegetativo accrescono la sensibilità delle piante all’attacco degli insetti.
Un albero riesce a resistere all’attacco del bostrico?
Se la disponibilità di acqua è sufficiente e la vitalità dell’albero è alta, l’abete rosso può inizialmente difendersi dall’attacco dei coleotteri della corteccia. La foratura innesca il flusso di resina della pianta, che uccide i singoli coleotteri. In anni normali, se il numero di coleotteri è molto elevato (1000), un abete rosso non riesce ad ucciderli tutti. Se poi l’abete rosso è indebolito da lunghi periodi di siccità anche il potere difensivo degli alberi è ridotto perché c’è troppo poca acqua disponibile per la produzione di resina. In questo caso anche un numero inferiore di coleotteri (200) può essere sufficiente per attaccare con successo le piante.
Il bostrico ha nemici naturali?
Sì, tra gli antagonisti naturali vi sono predatori (coleotteri e picchi), parassitoidi (vespe) e funghi. Pur non essendo in grado di impedire la pullulazione, essi contribuiscono, assieme ai meccanismi di autoregolazione della popolazione di bostrico e all’andamento climatico, a far rientrare le fasi di picco delle pullulazioni.
DIFESA DAL BOSTRICO
E’ possibile contenere l’infestazione?
Sebbene sia molto difficile individuare gli alberi infestati, è molto importante riconoscere repentinamente i primi sintomi di attacco, come i fori di entrata o l’emissione di resina lungo il tronco. L’individuazione precoce degli alberi infestati e il loro immediato abbattimento, seguito da esbosco o scortecciatura, costituiscono nell’insieme la più efficace misura di lotta contro il bostrico, ma solo se avviene prima che gli adulti abbiano abbandonato le piante, quando ancora non sono visibili gli arrossamenti che indicano l’avvenuto sfarfallamento. Nel caso invece le chiome siano già arrossate o grigie può essere conveniente lasciare le piante in bosco a protezione di quelle ancora sane, sia perché fungono da schermo per la radiazione solare, sia perché al loro interno sono ancora presenti gli antagonisti naturali del bostrico, che possono contribuire al suo contenimento.
le piante dalla chioma arrossata sono già state abbandonate dagli insetti, la loro asportazione risulta inefficace, soprattutto su versanti intensamente attaccati
In un contesto endemico i focolai, isolati e di piccole dimensioni, riescono ad essere controllati in maniera efficace con l’asportazione delle piante attaccate nelle quali l’insetto è ancora presente, che sono in genere piante ancora verdi; le piante con chioma arrossata o secca, infatti, sono state già abbandonate dagli insetti.
Nell’immagine un focolaio iniziale: in questo caso, per bloccare l’infestazione, può essere utile asportare le pianti verdi vicine a quelle secche
In caso di forte pullulazione, con il moltiplicarsi ed estendersi dei focolai, possono essere interessati versanti interi, per cui la prevenzione attraverso l’asportazione delle piante attaccate perde efficacia e il controllo o la riduzione della popolazione di insetti non è più un obiettivo perseguibile.
Perché anche gli alberi infestati con la chioma verde devono essere rimossi? Non sono ancora vivi?
Non necessariamente. Anche gli alberi con la chioma verde possono essere infestati dal bostrico. L’infestazione è chiaramente riconoscibile dalla rosura marrone che il coleottero espelle scavando nella corteccia. Altri segni di infestazione sono i fori e la presenza di gocce di resina. In caso di dubbio si può verificare sotto la corteccia con un coltello.
Evidente foro di entrata del bostrico sulla corteccia
Negli stadi avanzati l’infestazione può essere riconosciuta anche dalla caduta della corteccia. Tuttavia, quando la chioma dell’abete passa dal verde al rosso o gli aghi e la corteccia cadono, di solito è già troppo tardi per combattere il bostrico. In tal caso vanno piuttosto cercati nuovi segni di infestazione nelle immediate vicinanze.
In ogni caso una pianta di abete rosso infestata dal bostrico è destinata a morire.
Le piante colpite dal bostrico devono essere sempre rimosse?
Non necessariamente. In boschi coetanei adulti o maturi con chiome raccolte in alto, l’asportazione delle piante bostricate può esporre nuovi margini al sole, indebolendo le piante e facilitando l’espansione dell’attacco. In zone dove il bosco svolge funzioni di protezione da scivolamenti di neve o da rotolamento di sassi, anche la presenza di piante secche in piedi garantisce un livello superiore di protezione rispetto ad un versante scoperto, almeno temporaneamente. Dove invece le piante bostricate si trovino su terreni ripidi, a monte e a ridosso di infrastrutture o case, può essere opportuno rimuoverle lasciando comunque le ceppaie tagliate alte e in qualche caso abbattendo alcune piante in senso perpendicolare alla pendenza a fini protettivi.
Le trappole a feromoni sono efficaci per il controllo del bostrico?
Trappola a feromoni per la cattura del bostrico
No, le trappole a feromoni non sono efficaci per la cattura del bostrico, perlomeno non nella sua fase epidemica. Nonostante il gran numero di individui che una trappola può catturare in una stagione, solo una piccola parte della popolazione può essere intercettata. Il raggio d’azione del feromone è di qualche decina di metri e anche se le trappole sono posizionate una vicino all’altra, in modo da creare una nuvola di feromone all’interno di un’area aperta, si riesce a intercettare solo una minima parte della popolazione di scolitidi. Ci sono diverse ragioni per questo:
la risposta degli adulti ai feromoni non è sempre uguale, e può essere influenzata da vari fattori;
il potere attrattivo delle piante, dovuto sia al feromone di aggregazione emesso dagli adulti all’interno delle stesse, sia a composti volatili prodotti dagli alberi attaccati e/o stressati (cairomoni), è spesso maggiore di quello del feromone sintetico;
molti si muovono nello spazio della chioma o nel fusto e quindi non raggiungono l’area della nuvola di feromone;
le trappole possono essere posizionate solo ad una distanza di sicurezza dal soprassuolo, quindi vengono catturati solo i coleotteri che si trovano nella zona di azione della trappola, cioè fuori dal soprassuolo o ai margini delle fratte da vento;
l’uso intensivo delle trappole per la cattura massale comporta alti costi di controllo e manutenzione. I feromoni, infatti, evaporano in estate entro poche settimane e devono essere sostituiti. Altro tempo è necessario per controllare, svuotare e se necessario pulire la trappola, almeno ogni 14 giorni.
La trappola a feromoni non è adatta quindi per un riduzione efficace delle popolazioni di bostrico, quanto piuttosto per un controllo delle densità di coleotteri esistenti, per monitorare l’attività di sciamatura e per stimare il potenziale di riproduzione.
Come intervenire con i tagli nelle aree colpite dal bostrico?
In caso di schianti da neve o da vento, nel caso di boschi a prevalenza di abete rosso, la prima misura da adottare è la rimozione o scortecciatura delle piante colpite e di tutto il potenziale materiale riproduttivo (alberi caduti o tronchi con corteccia), prima che la nuova generazione di adulti sfarfalli. L’asportazione è tanto più importante quanto più il materiale danneggiato è sparso e può quindi costituire più a lungo un substrato di possibile diffusione del coleottero, anche se in genere la raccolta di schianti sparsi è più costosa rispetto agli schianti concentrati. L’intervento efficace per la riduzione della popolazione di bostrico deve interessare le piante con chioma ancora verde, che vedono ancora la presenza sotto corteccia dell’insetto. La rimozione di piante a chioma arrossata o già grigia non ha più efficacia preventiva per la diffusione dell’insetto, in quanto gli insetti si sono già involati. Peraltro l’individuazione delle piante infestate ancora verdi è particolarmente complessa, in quanto spesso gli insetti sono situati nella parte alta della chioma e diventa di difficile attuazione quando i focolai di infestazione sono molti e ravvicinati.
Sotto il profilo operativo vanno pertanto distinte due situazioni diverse, che richiedono diversi approcci selvicolturali.
Popolazione di bostrico in fase endemica, con pochi focolai distanti ed isolati. In questo caso la pratica tradizionale di riduzione sul nascere della popolazione può ancora avere effetto. L’asportazione deve avvenire prima della fase di sfarfallamento degli adulti che hanno svernato sotto corteccia (entro marzo-aprile) o prima dello sfarfallamento della prima generazione (generalmente entro giugno). L’assegno deve asportare soprattutto le piante verdi infestate attorno al nucleo arrossato, in modo da trovare un margine stabile che può essere dato da una composizione diversa del bosco, da piante più giovani o con chioma profonda, da un cambio di morfologia. La creazione di nuovi margini, soprattutto se non sufficientemente stabili, espone infatti le piante di margine a stress e può favorire l’ulteriore espansione dell’attacco.
Focolaio in fase iniziale o di tipo endemico
Popolazione di bostrico in fase epidemica, con molti focolai ravvicinati o focolai molto estesi. In questo caso diventa praticamente impossibile contenere la popolazione dell’insetto attraverso una lotta di tipo selvicolturale, per la difficoltà di individuare in tempi utili tutte le piante verdi infestate. L’eccessiva fretta nell’asportare le piante infestate può avere addirittura un effetto contrario, esponendo nuovi margini a stress e danneggiando i vari antagonisti naturali presenti nei boschi (predatori, parassiti, ecc.) e che in molti casi si sviluppano con un leggero ritardo temporale rispetto al bostrico. In questi casi, piuttosto, è meglio attendere che l’attacco si stabilizzi per effettuare l’assegnazione e l’utilizzazione delle piante.
Infestazione epidemica
Quale strategia adottare per la difesa dal bostrico?
La migliore strategia per contenere i danni da bostrico resta la prevenzione.
Il recupero degli schianti in tempi tali da ridurre il pericolo di infestazione (entro un anno) è facilitato nel caso di perturbazioni da vento o da neve localizzate. Nel caso di schianti estesi ad un’intera regione ciò evidentemente è più difficile e la pullulazione diventa inevitabile, anche se restano incerte l’entità e la durata, che dipendono molto anche dall’andamento climatico. In genere, anche sulla base delle esperienze centro europee seguite alle tempeste Gudrum, Lothar e Vivian, la durata della pullulazione può arrivare a 5-6 anni o più dopo l’evento iniziale.
E’ opportuno allora cercare di intervenire ancor prima, in tutti i casi dove è possibile, con la creazione di boschi misti con varie specie e ben strutturati, con piante di classi di età diverse. Questo tipo di boschi infatti è più capace di resistere in caso di pullulazioni ed è in grado di ricostituirsi prima, nel caso di infestazioni che portino alla perdita dell’abete rosso.
Tale orientamento è ancora più importante se si considera il previsto aumento delle temperature medie causato dai cambiamenti climatici, che potrebbe accrescere il rischio di pullulazioni di bostrico nei prossimi anni.
QUALITA’ DEL LEGNO BOSTRICATO
Il legno delle piante attaccate dal bostrico è utilizzabile solamente come legna da ardere?
No, le gallerie scavate dal bostrico non penetrano nel legno e quindi le caratteristiche tecnologiche del materiale non vengono alterate direttamente dall’azione dello scolitide, consentendone l’utilizzo come legname da opera.
Gli attacchi di bostrico arrecano danni secondari al legname?
Il legname attaccato dal bostrico può andare incontro in tempi più o meno lunghi a decadimenti estetici e tecnologici, dovuti sia a cause biotiche che abiotiche.
Cause biotiche:
Azzurramento: alterazione del colore del legno causato da funghi trasportati all’interno della pianta prevalentemente dagli insetti scolitidi. Le caratteristiche tecnologiche del legno non vengono modificate, ma l’alterazione cromatica, che avviene soprattutto con condizioni climatiche calde e umide, rende il legname inadatto per gli impieghi “a vista”, consentendone l’utilizzo solamente per realizzare manufatti non visibili o verniciati.
Gallerie scavate da xylofagi secondari: le piante secche in piedi, ma anche quelle già tagliate e conservate in catasta, possono essere soggette all’attacco di insetti che si sviluppano all’interno del legno, rendendo quest’ultimo inadatto alla segagione. Oltre al danno causato direttamente attraverso l’azione di rosura, anche questi insetti possono trasportare nel legno funghi che ne alterano la struttura.
Cause abiotiche:
Il materiale legnoso secco in piedi può presentare tensioni, ritiri e fessurazioni che determinano una riduzione della resa di lavorazione, sia al momento delle utilizzazioni forestali che della segagione in segheria.
SITUAZIONE IN TRENTINO
A cosa servono le trappole a feromoni?
Ad attirare e catturare individui adulti in fase di volo. In situazioni di forte pullulazione, tuttavia, le trappole hanno una scarsa efficacia per il contenimento dell’epidemia, sebbene svolgano un ruolo essenziale nel monitoraggio del suo andamento. Il conteggio periodico degli individui catturati consente di verificare quando viene superata la soglia di attenzione e il raffronto tra le catture primaverili e quelle autunnali permette di fare delle proiezioni sull’andamento potenziale della pullulazione.
E’ possibile usare dati da telerilevamento per l’individuazione degli attacchi di bostrico?
Il rilevamento della cosiddetta fase di “attacco verde”, cioè il rilevamento di un’infestazione quando la chioma è verde, finora non è stato ottenuto in modo affidabile. Anche con le immagini della gamma del vicino infrarosso (NIR) non è stato possibile rilevare una chiara risposta spettrale nella fase di attacco verde. Il rilevamento dell’infestazione dall’alto funziona solo quando le chiome virano al rosso; a quel punto però i coleotteri hanno già in buona parte abbandonato le piante.
Ciononostante è possibile usare il telerilevamento indirettamente. L’individuazione delle aree dove le chiome sono già diventate rosse durante l’estate consente di localizzare i siti dove il materiale non è ancora stato asportato. Laddove il coleottero ha abbandonato piante già morte, ci si può aspettare una nuova infestazione nelle immediate vicinanze. Le mappe create con i dati satellitari possono consentire di ridurre lo sforzo di segnalazione delle aree colpite da parte dei distretti forestali, aiutando a prevenire l’ulteriore diffusione del bostrico. Attualmente sono in corso contatti con la Fondazione Mach per mettere a punto un sistema di rilevazione automatica attraverso il telerilevamento.
Quale è lo stato attuale della pullulazione in provincia di Trento?
Nel corso del 2019 erano già stati riscontrati aumenti delle catture di bostrico nelle 220 trappole distribuite sul territorio provinciale subito dopo la tempesta Vaia, soprattutto nella parte meridionale della provincia, peraltro non particolarmente colpita dagli schianti.
Nel corso del 2020 l’effetto Vaia si è reso più evidente, con un incremento significativo delle catture in tutto il settore nord orientale della provincia, in particolare nei distretti a sud della catena del Lagorai (Pergine Valsugana e Borgo Valsugana), superando in quasi l’80% delle trappole la soglia di attenzione di 8000 individui per trappola, oltre la quale le popolazioni sono da ritenersi in fase epidemica di rapida e intensa crescita. Tale dinamica è stata favorita, oltre che dalla quantità di materiale ancora presente in bosco, anche dall’andamento meteorologico dell’inverno 2019-2020 e della primavera successiva, che ha consentito alle popolazioni di bostrico una maggiore sopravvivenza alla stagione invernale e un netto anticipo del volo degli svernanti e, quindi, della diffusione.
L’effetto di tale evoluzione si è reso evidente nel corso del 2021, durante il quale, nonostante la prolungata stagione invernale e l’assenza di periodi siccitosi nella generalità dei distretti forestali, si sono manifestati arrossamenti e morie di abete rosso diffusi, con particolare incidenza sui distretti orientali di Pergine Valsugana, Borgo Valsugana, Cavalese e Primiero, maggiormente colpiti da Vaia, ma con attacchi visibili anche negli altri distretti.
Una proiezione sul possibile andamento della pullulazione nel prossimo anno potrà essere fatta a conclusione dell’elaborazione dei dati raccolti nel 2021 nelle trappole di monitoraggio. A livello indicativo, le popolazioni appaiono ancora in fase di espansione nella parte del territorio più colpita dalla tempesta Vaia, con una tendenza allo spostamento verso quote più elevate, mentre nelle aree più calde e meridionali della provincia il picco potrebbe essere stato già raggiunto, pur potendo presentare una variabilità locale delle situazioni.
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Bar e Ristorante RKBP: dalle piadine alla cucina gourmet.
Che sia all’inizio di un giro in bici o per concludere in bellezza la tua giornata a tutta natura, il nostro rifugio ti offre la giusta ricarica di energia per partire alla grande. Abbiamo pensato ad una selezione di piadine gourmet create direttamente dal nostro chef made in Romagna e non solo; il nostro servizio caffetteria è sempre aperto. Cosa aspetti? Ti aspettiamo per ricaricare le pile.
Si sale verso le Melette di Gallio e si procede verso Campomulo imboccando la strada per salire sull’Ortigara , fino a raggiungere un bivio a destra che scenderà sulla piana di Marcesina, entrando nella devastazione di Vaia , raggiunto un primo bivio che riporta il Rifugio Barricata , si svolta a sinistra e si prosegue fino a vedere l’Aquila in lontananza . Se invece si sale da Foza si deve percorrere tutta la Piana di Marcesina fino a raggiungere il bivio che si troverà a destra che porta al Rifugio Barricata . ( ricordo che la strada che porta alla piana di Marcesina da Campomulo è sterrata e poco manutentata ).
Dopo il grande Drago di Vaia , lo scultore Marco Martello Martelar compie un nuovo capolavoro, “Per me Il legno è il tramite, il ponte che lega arte, uomo e natura” alta 7 metri e lunga 5 metri , del peso di 1600 kg e circa 1800 viti , un’opera fantastica, situata in una zona in cui Vaia ha compiuto il disastro più beffardo , la Piana di Marcesina , forse uno dei luoghi più suggestivi e unici dell’altipiano , dove il Trentino si inerpica in quel cippo Anepoz dove le formelle di Austria e La Serenissima si incontrano nel maestoso è lungo sentiero dei cippi , la terra che fu confine , quel pezzo di terra dove Mario Rigoni Stern ha scritto quella famosa frase scalfita sul marmo dell’Albergo Marcesina :
“Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su una slitta tirata da un generoso cavallo per la piana di Marcesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero come sarebbe triste il mondo” Mario Rigoni Stern
Qui in questa piana resa un pò cupa e triste da questa immensa distruzione di Vaia , dove la minuscola Chiesetta di San Lorenzo appare come microscopica , nella vastità di questa piana che d’inverno raggiunge incredibili temperature di -35° , paludosa e verde , nella primavera ed estate , a pochi passi da quella sanguinosa battaglia dell’Ortigara , ora avrà un’Aquila che sarà un testimone del ricordo di quella notte in cui la tempesta Vaia , ha compiuto la sua devastazione , io da testimone l’ho potuto constatare mentre la notte di Vaia tagliavo piante sulla strada per il passo Vezzena , e dove la mattina si aprì un scenario apocalittico.
Lo Scultore ed il Drago
Marco Martalar Scultore del legno e artista del bosco , dove passo la maggior parte del tempo per creare e farmi ispirare.Gli alberi , gli animali , il silenzio , il fuoco e la natura ancora selvaggia, per me linfa vitale dove la mia arte trae nutrimento.
Il legno della scultura infatti non è trattato e con il tempo deperirà per l’effetto degli agenti atmosferici. Perciò, cambierà forma e, tramite la decomposizione, andrà a formare nuovo humus per i boschi. Gli alberi sradicati dalla tempesta saranno quindi nutrimento per altri alberi e contribuiranno a renderli più rigogliosi.
Quando sono arrivato sul grande prato che lo ospita mi sono emozionato , la quantità di persone era fuori dalla mia immaginazione , Persone sedute sul prato a godersi il sole l’aria, persone che passeggiavano , bimbi che giocavano. Lui era lì fermo come quando lo avevo lasciato, come quando lassù io e lui in solitudine stava nascendo, ora invece circondato da centinaia di persone, il tutto senza caos gente rispettosa con la voglia di toccarlo o fare una foto, è stato bello. Marco Martalar
La natura è qualcosa di grandioso ed unico , un delicato equilibrio di forme più o meno armoniche , la montagna né è la prova , quando tenta di chiudere le ferite inferte dall’uomo detto sapiens , che di sapienza ne ha ben poca , ma l’equilibrio delle nostre piccole Dolomiti è molto precario , lo ha dimostrato più volte il Passo della Lora , il Vajo dell’acqua , il Vajo scuro , il forcellin del Plische , il Pelegatta , il Vajo stretto e tanti altri…lo aveva già dimostrato la frana dei roccioni della Lora , nel 1915-18 . Già un delicato equilibrio che gli eventi atmosferici aggravato ancora di più , l’omo non c’è più con lui un pezzo di storia dei montanari della mia generazione , non ricordo le volte che ci sono salito , tante tante , fin da piccolo all’età di 7-8 anni , come le gallerie del resto , 7-8 anni con i lupetti . Certo salirò ancora ma di lui rimarrà solo il ricordo di quel torrione tozzo e malfatto , un ricordo che rimarrà nel cuore di tutti quei montanari che lo hanno sempre visto lì , quasi come un riferimento , al fianco a quell’altro torrione poco più basso e chissà se un giorno anche lei crollerà su se stessa come ha già fatto lui … certo guardare in su e non vederlo più insieme, non sarà più come prima , non si sentirà più quell’osservare da sopra il nostro incedere di passi , certo rimarrà lei che come una mamma si prenderà cura di noi montanari. Luciano
li «giallo» degli otto militari di Bagdad precipitati sui monti in provincia di Vicenza L’elicottero iracheno era in Italia per montare nuove i i recchiature La destinazione era l’aeroporto della Malpensa, dove il veicolo doveva essere preso in consegna dai tecnici dell’industria aeronautica «Caproni» per conto di una ditta di Roma – Sono stati recuperati i corpi delle vìttime – Numerose interrogazioni parlamentari VICENZA — Probabilmente era diretto all’aeroporto della Malpensa dove doveva essere preso in consegna dalla società Caproni Vizzola, l’aereo militare irakeno precipitato lunedì sui monti sopra Recoaro con otto soldati di Bagdad a bordo, tutti morti sul colpo. Alla Malpensa, i tecnici della Caproni avrebbero dovuto effettuare sul velivolo, per conto di un’altra società, l’Elettronica» di Roma, uno studio preliminare all’ installazione di apparecchiature per la radionavigazione e di ricetrasmettitori. L’elicottero doveva rimanere alla Malpensa circa due mesi e l’equipaggio doveva con tutta probabilità rientrare in patria, lasciando solo un tecnico a seguire i lavori. E’ più che un’Ipotesi. Ad affermare queste cose ieri è stato il vicepresidente e amministratore delegato dell’Elettronica, ing. Enzo Benigni, il quale ha anche detto che il lavoro di predisposizione degli apparati preludeva ad un possibile contratto tra il governo di Bagdad e la società romana. Le rivelazioni del dirigente dell’Elettronica, se serviranno forse a chiarire quello che in un primo momento sembrava un vero e proprio giallo internazionale, solleveranno anche delle polemiche, con particolare riferimento ai rapporti che l’Italia, paese produttore di tecnologie avanzate, Intrattiene con Irak da una parte e Iran dall’altra, due paesi in guerra. E già ieri queste polemiche hanno trovato voce In interrogazioni parlamentari (una del PCI) sulla vicenda e In alcune dichiarazioni. Intanto sono stati recuperati, dopo ore e ore dì lavoro sul costone montuoso ricoperto di neve sopra Recoaro, i corpi degli otto militari iracheni morti nello schianto. Un lavoro difficile quello del soccorritori, In una valle stretta e impervia, dove, in poco più di trent’anni, si sono Infilati senza più riuscirne altri sette piccoli veicoli. Il capitano del carabinieri Nicola Mele, che comanda la compagnia di Valdagno, ha detto che tra i resti dell’elicottero non è stato trovato nulla di particolare: qualche banconota araba, qualche passaporto, oggetti personali. L’ufficiale ha anche fornito l nomi delle otto vittime: Anwar Anigad Alood, 35 anni; Alood Hanid, 40; Ahmed Abdool Hadi, 29; Bassan Hussaln, 28; Ipassim Khaddam Alid, 28; Khalek Hawa, 30; Nawaz Ahmed. 33; Adld Assain, 33. Non si conosce però il loro grado né il loro incarico, si sa solo che risiedevano tutti nella capitale irachena. Nella segnalazione completa inviata al ministeri degli Esteri e degli Interni, agli Stati Maggiori e al Comandi superiori, il capitano Mele scrive che «l’elicottero irakeno marca Y L, di fabbricazione sovietica, era giunto a Venezia il 19 marzo ed era ripartito il 21 marzo, alle 12,42, da Venezia per Milano, per recarsi a Varese, presso l’industria aerea Agusta di quella città». Ma l’Agusta, che non ripara elicotteri di fabbricazione sovietica, ha smentito che il velivolo Irakeno fosse atteso nei suoi stabilimenti. Ad accrescere le tinte di giallo internazionale che colorano la vicenda c’è un’altra notizia: secondo i carabinieri di Venezia, oltre all’equipaggio precipitato con l’elicottero, che aveva alloggiato per due giorni all’hotel Cipriani della Giudecca, altri sette irakeni erano nella città lagunare all’hotel Ala, e di loro, dopo l’incidente di lunedì, si sarebbero perse le tracce. Sull’incidente aereo in provincia di Vicenza l deputati comunisti Cravedi, Angelini, Baracetti e Corvisieri hanno rivolto un’interrogazione al ministro della Difesa chiedendo di conoscere «se l’elicottero era stato autorizzato a sorvolare il territorio nazionale» e «quale missione stavano compiendo i militari dell’elicottero precipitato». Ciò anche in considerazione del fatto che «l’Irak è un paese in conflitto, e l’elicottero, notizia di stampa, ha sorvolato una zona militare di rilevanza strategica per la difesa del nostro paese». In una dichiarazione il socialista Accame afferma che «sono in corso contatti ad ogni livello fra le nostre autorità sia diplomatiche che militari, e le omologhe irachene per consentire un massiccio afflusso presso le nostre scuole militari di militari iracheni, fatto che, collegato all’eccezionale vendita di armamenti al paese medio orientale, fa assumere al nostro paese una ben chiara posizione nei confronti del conflitto fra Iran e Irak». Interrogazioni hanno presentato anche la DC e il PdUP .
Questa escursione , con i tempi e i dislivelli complessivi sono stati calcolati mantenendo una certa proporzionalità negli sforzi legati alla preparazione fisica , all’esperienza personale , non si tratta come il precedente post che tiene tutti i rifugi buoni percorrendolo in 4 giorni , mentre quello che cerco di spiegare qui , è che lo si può percorrere in tempi meno dilatati e usando solo due pernotti , ma nessuno impedisce di usare tutti i rifugi .
Questo è IL GIRO COMPLETO DELLE MARMAROLE . I tempi sono fattibili , certo volendo lo si può fare in meno tempo , ma se volete fare le gare , iscrivetevi a qualcuna , oppure fatelo come ho fatto io in 19h fermandomi solo ai rifugi per mangiare. buon cammino
Questo itinerario, non è un’escursione qualsiasi, è un cammino verso qualcosa d’inspiegabile, di quello che può “dare” la Montagna, alcune emozioni si potranno descrivere, altre rimangono nel cuore di chi lo percorre , non è una cosa impossibile da realizzare, ma quello che potrete raccogliere da questa escursione, farà parte delle vostre conoscenze e di Valori, che conserverete per le generazioni future, oppure riporrete in quel baule dei ricordi, dove conservate le vostre cose più preziose. Luciano
Il percorso delle Marmarole Runde, e un itinerario ad anello che compie un giro completo su questo fantastico gruppo che sono le Marmarole, situate nella parte alta di Belluno tra Auronzo di Cadore, San Vito di Cadore, Calalzo Di Cadore e Domeggie di Cadore. Il percorso si snoda in più tappe, poi ovviamente dipende dalla velocità di progressione, in ogni caso per godere appieno di questo fantastica escursione meglio farla in 2-3 giorni. Qui in questo post v’illustrerò tappa per tappa …di questo magnifico viaggio. Si parte da Auronzo Di Cadore per un viaggio nella natura , dove pare che tutto il resto si fermi nel tempo.
1° TAPPA : AURONZO DI CADORE – RIFUGIO CHIGGIATO
Punti di appoggio : Auronzo di Cadore 862 m- Monte Agudo 1585 m- Rifugio Ciarèdo 1969 m- Rifugio Baìon 1826 m – Rifugio Chiggiato 1911 m
Tempo di percorrenza: 6h – 8h
Dislivello totale: 1150 m
Quota massima raggiunta: 1988 m
Sentieri usati: 271-1262 -268 – 28 – 272 – 262
Dal centro di Auronzo si sale leggermente sulla ciclabile passando per la centrale elettrica situata sulla sinistra del torrente Ansiei , poco lontano dalle piste da sci e dalla seggiovia che porta al Monte e Rifugio Agudo 1585 m , attraverso i due tronconi si guadagna molto tempo salendo con la seggiovia , raggiunto il Rifugio si ridiscende leggermente verso il primo troncone , per poi entrare attraverso il bosco seguendo il segnavia n.271 , se invece si sale a piedi ricordo che la pendenza sia notevole e sia il punto più ripidi dell’intero tracciato , si sale attraverso il bosco e qualche tratto di pista da sci dove in estate viene installata la rotaia del fun bob , una salita molto bella ed affascinante sul cuore di queste montagne Cadorine che hanno sempre il suo perchè , un sottobosco in cui la natura e la vita primeggia . Il n.271 prosegue in un bosco incantato , superando tratti boschivi estremamente appaganti , con il sentiero che si fa spazio nelle sue ripide valli , per poi in cresta sulla Croda del Grazioso e raggiungendo così quota 1700 m, dove poi entrarà in una carrareccia con alcuni tratti di salita cementati , passando cos’ sotto le creste del Col Burgiou seguendo poi il segnavia n.1262 , dove si inizierà anche a vedere in lontananza il Rifugio Ciaredo , la carrareccia entrerà nei pascoli di Tabia Forzèla Bassa per poi raggiungere il Col dei Buoi 1802 m , imboccando il n.268 si sale ora verso il Rifugio Ciaredo 1969 m, ammirando la vastità dei pascoli della Valle ciampevieì , e del Pian dei Buoi , mentre sull’estrema sinistra si possono notare le fortificazioni di Col Vidal e Col Cerverà , si imbocca il n.28 che in circa 25 minuti porterà al Rifugio Ciaredo 1969, ai piedi della Cima Ciaredo . Si prosegue ora attraverso il n.272, un sentiero con poco dislivello che attraverso mughi e rocce sempre ai piedi delle Marmarole porterà al Rifugio Baion 1828 m molto bello ed accogliente con sculture in legno ed i suoi verdi pascoli, si prosegue per il n.262 , l’alta via del Tiziano costeggiando i piedi della Croda Bianca e del Cimon della Froppa , mantenendosi a quote intorno i 1900 m infatti il dislivello anche di questa parte di percorso risulta abbastanza lieve , si raggiunge un piccolo pezzo attrezzato da una corda in acciaio priva di difficoltà alpinistiche ma posta in loco per un’aspetto di sicurezza. Superato il vallon della Froppa in breve tempo si raggiunge la forcella Sacù ed infine il Rifugio Chiggiato 1911 m, situato in una piccola spianata dove lo scenario appare incredibile e salendo sulla Croda Negra si potrà ammirare il lago di Domeggie , mentre la visuale si disperde nella fantastica ed incredibile Val D’Oten , spaziando fino alla capanna degli alpini , e sulla forcella piccola il Rifugio Galassi ( ex caserma militare ) , e li al suo fianco il Re , sua Maestà Antelao 3264 m . Ma qui noi troveremo rifugio per passare la notte dopo una giornata con panorami mozzafiato ai piedi di quelle montagne poco rinomate , ma grazie a questo estremamente fantastiche. Le Marmarole .
2°TAPPA : RIFUGIO CHIGGIATO – RIFUGIO SAN MARCO
Punti di appoggio : Rifugio Chiggiato 1911 m- Capanna degli Alpini 1390 m-Rifugio Galassi 2012 m – Rifugio San Marco 1823 m
Tempo di percorrenza: 4h20 6h00
Dislivello totale: 1025 m
Quota massima raggiunta: 2120 m
Sentieri usati: 260 – 255 – 227
Dopo un sonno ristoratore e una buona colazione, sì riprende con la lunga discesa del percorso n.260 che ci porterà da quota 1911 m a quella del Pont de la Diassa 1140 m , entrando così nella fantastica e detritica Val D’Oten , qui si sale in una stradina chiusa al traffico dove nel periodo estivo esiste una navetta che porta le persona dal Bar La Pineta 1045 m( a circa 15 minuti a piedi dal bivio che scende dal Rifugio Chiggiato ) alla Capanna degli Alpini 1390 m , raggiunta la capanna d’obbligo visitare le Cascate de le Pile a circa 10 minuti dalla Capanna e sul sentiero che sale al Rifugio Galassi , si inizia a salire proseguendo con il n.255 per l’alta Val D’Oten dapprima in mezzo al bosco con una discreta pendenza , per poi uscire dal bosco e proseguire un primo tratto detritico della Valle , per poi salire attraverso in un zigzagare continuo tra rocce detritiche e mughi , mentre rimane discreto l’impegno di risalita attenuata dai numerosi tornanti , fino ad uscire dai mughi e attraverso alcuni passaggi detritici raggiungere il Rifugio Galassi 2013 m , al cospetto di Re Antelao ed i suoi incredibili lastroni , mentre sulla sinistra di potrà osservare in lontananza la via attrezzata della Ferrata del Cadorin nel Ghiacciaio dell’Antelao . Si prosegue salendo ora un altro centinaio di metri attraverso il n.227 che dapprima raggiungerà la Forcella Piccola 2120 m dove la visione panoramica sulla Valle di San Vito di Cadore è incredibile , poi si prosegue attraverso una discesa a cui bisogna prestare attenzione per non perdere la via , e soprattutto per l’instabilità dei detriti raggiungendo il Rifugio San Marco 1823 m, praticamente sulla Col da chi da Os in un paesaggio da favola , un vero rifugio , dove la simpatia ed l’accoglienza delle persone si vive davvero in prima persona , un rifugio una famiglia. Qui si potrà ammirare un scenario incredibile ai piedi del Re Antelao con i suoi lastroni , mentre sulla parte destra il Caregon del Padreterno ovvero il monte Pelmo dal versante del Rifugio Venezia , ed al cospetto dei strapiombi della via Attrezzata Berti del Sorapis . Una Buona cena ed un sonno ristoratore rinvigorirà muscoli e gambe , mentre il cuore porterà dentro ciò che l’occhio ha visto.
3°TAPPA RIFUGIO SAN MARCO – AURONZO DI CADORE
Rifugi di appoggio : Rifugio San Marco 1823 m – Auronzo di Cadore 862 m
Tempo di percorrenza: 6h307h30(6h San Marco-fermata autobus per rientrare con i mezzi)
Dislivello totale: 550 m
Quota massima raggiunta: 2255 m
Sentieri usati: 226– Strada Forestale ciclabile Riserva di Somadida– Val Del Rin
Si parte dal Rifugio dopo una buona colazione, imboccando il n.226 che sale verso la Forcella Grande 2255 m attraverso un stretto canalone che porterà su una forcella spettacolare , sul fianco destro la maestosa Torre dei Sabbioni , mentre sulla sinistra sopra i ghiaioni la Cima del Sorapis 3205 m e della Crode della Caccia 3002 m , si inizia a scendere per la valle di San Vido , qui la valle è molto ampia , si incrocia anche il bivio per l’Alta via N.3 segnavia n.246 e poi in seguito l’Alta via N.4 segnavia 247 sentiero Minanzio (che fa parte dell’anello del Sorapis) , continuiamo a scendere in questo scenario magnifico di mughi , alberi e quel torrente che pare giochi tra i sassi , si passa sotto la Cengia ed il Corno del Doge , dove una via attrezzata alpinistica ci ruota attorno , la discesa è abbastanza semplice e gradevole anche se la sua lunghezza è notevole , la valle si restringe e si passa in un pezzo un pò più complesso sotto il Ciadin del Doge , la valle si restringe tra pareti strapiombanti quasi da fare mancare il fiato , nel suo zigzagare dentro la Val del Fuogo , fino a raggiungere più in basso la Riserva Naturale della Foresta di Somadida , inutile descriverla …non ne saremmo mai capaci davanti questa bellissima e protetta oasi paludosa , si scende ancora fino a superare il Ponte degli aceri , poi il Ponte Piccolo e raggiungere cosi il Ponte degli Alberi , dove si potrà incrociare la strada 48 che porta ad Auronzo di Cadore mentre poco più avanti si potrà trovare la fermata dell’autobus che porta ad Auronzo .
Per chi invece vuole portare a termine questo bellissimo viaggio , può proseguire per la ciclabile costeggiando dapprima il torrente Ansiei e poi entrando nel fitto bosco di Socento , ssi prosegue raggiungendo quota 1018 m sulla destra si noterà una stradina sterrata che sale verso il Cason delle Regole e prosegue fino a raggiungere quota 1285 m , incontrando una bellissima radura Pian della Sera che poi discenderà a Tabìa vecelio Segate , poi successivamente a Casol del Rin , presso l’omonima Val del Rin dove li a poco si raggiungerà la trattoria La primula situata nella fantastica Val del Rin , li attraverso la strada asfaltata scenderemo fino ad Auronzo di Cadore , completando così il nostro incredibile e fantastico viaggio .
Il forte io l’ho trovato chiuso , ma credo che la sistemazione del Forte Monte Ricco doveva essere a mio avviso meno appariscente e più consona alle vicende ed fatti storici ed al periodo di costruzione così facendo si sarebbero magari avuto qualche fondo per mantenere anche questo sito in condizioni magari migliori… per non dimenticare e per far , sapere …Luciano
Come Raggiungere
Raggiunto Tai di Cadore dopo aver superato la Caserma Fortunato Calvi , si prosegue verso Pieve di Cadore , raggiunta la chiesa si scende fino a raggiungere un piazzale in cui spicca la sede del Soccorso Alpino , li si lascia l’auto per salire attraverso prima Via dell’Arsenale e poi Via Fortunato Calvi .Si sale in circa 20 minuti dapprima su strada asfaltata e poi su stradina sterrata fino a raggiungere il Forte Monte Ricco ed il suo incredibile panorama.
Cenni storici
Si tratta di una fortezza che sorgeva già molto prima del periodo bellico , nel XII secolo un Castello che venne risistemato con l’entrata del Cadore nella Repubblica di Venezia , venne poi successivamente modificato tra il 1982-1895 cambiandone la destinazione d’uso trasformandolo in Forte per proteggere la valle ed il territorio Italiano dall’Impero Austroungarico, divenendo cosi il Forte Ricco , anche se essendo troppo distante dal Fronte di attacco della Prima Linea venne poco usato . Nel 1917 venne occupato dalle truppe Austroungariche e successivamente fatto saltare , nella seconda Guerra Mondiale lo si voleva riutilizzare , ma le sue cattive condizioni non venne sistemato e totalmente abbandonato per la seconda volta.
Il Forte aveva un ampio fossato di gola di circa 6 metri di larghezza e 5 metri di altezza , con una controscarpa in muratura ed un ponte levatoio , il fossato era protetto da una caponiera con mitragliatrice, per l’armamento le batterie composte da 4 cannoni da 120mm in Ghisa e 4 pezzi a tiro rapido e alcune mitragliatrici Gardner mod.1886, aveva una guarnigione di circa 80 uomini , numerosi locali di servizio e una cisterna di raccolta acqua di 400.ooo litri , situata nel sotterraneo sulla destra del cofano di gola
Fu costruito per impedire al nemico di passare dalla stretta di Tre Ponti verso Pieve di Cadore e Tai di Cadore , in cui il nemico avrebbe avuto la strada libera per la Valle del Piave , ed attraverso anche la vicinanza del Forte Batteria Castello a circa 200 metri fungevano da sorveglianti sul passaggio del nemico in Valle .
Piccole riflessioni personali
Il forte è stato in parte ristrutturato ed in parte abbandonato a se stesso in alcune fasi di ricostruzione , e se ne notano evidentemente le condizioni, non sono certo io a giudicare il lavoro fatto, ma credo per rispetto dei morti e di chi ha combattuto per un’Italia libera non sia corretto il lavoro che è stato fatto su questo sito , ripristinare le opere in cui si possa intervenire è certamente cosa buona , ma trasformare qualcosa che dovrebbe essere ” per non dimenticare … e per fare sapere ” in un centro congressi con pavimenti laminati e termoconvettori oltre ad essere un dispendio economico anche un insulto a chi qui dentro a vissuto a pane ed acqua , ma questo è il mio modesto parere di semplice montanaro . Luciano