“La montagna ti mette di fronte al pericolo, ma ciascuno di noi ha la propria responsabilità del vivere quindi deve scegliere se salire oppure no, i divieti non servono. “Nives Meroy
Voglio ricordare che chi và in montagna dev’essere consapevole dei rischi che prende SEMPRE senza se e senza ma, come del resto chi sale senza cartina oppure senza la capacità di leggere una cartina, e siamo seri chi ama la montagna e la rispetta sa quand’è il momento di tornare indietro…la tragica fatalità la potresti avere anche andando a piedi al lavoro, inutile a mio avviso produrre incartamenti vari, tesi non ad avvisare chi sale del pericolo, ma per declinare delle responsabilità.
Ricordo una gara che ho fatto in Svizzera , EigerUltratrail k101 con un passaggio su una parte del percorso soggetto a slavinamento, c’era un cartello multilingua con scritto “quando passi di qui , passa in fretta e non sostare”, qualche domanda da italiano me la sono posta . Invece di sistemare i fiumi, non tagliare i boschi in maniera selvaggia…sembra risulti più comodo alla prima pioggia dire “allerta meteo” ma non tanto per avvisare la popolazione ma per salvarsi il sedere dalle responsabilità, finchè chi sbaglia paga funziona solo nelle aziende private saremmo sempre a pagare per chi ci marcia sopra . Luciano Cailotto
Dedicato a chi ha messo in primo piano nella sua vita , il soccorso a persona facendolo diventare fulcro ed esempio per tutti
È rimasto fedele a se stesso fino all’ultimo, vivendo anche i mesi della malattia così come aveva affrontato la sua esistenza: combattivo e sereno. Lo testimoniano gli amici più cari che gli sono stati accanto. A 70 anni – nella notte tra mercoledì e giovedì – è morto Gino Comelli, una delle figure più rappresentative del soccorso alpino italiano. Guida alpina e maestro di sci, era entrato nel Corpo nazionale del soccorso alpino nel 1980 e, dimostrando una straordinaria competenza tecnica, aveva via via scalato le «gerarchie», arrivando a guidare per 25 anni la stazione dell’Alta Fassa di Canazei oltre a diventare istruttore nazionale, trasmettendo così il suo bagaglio d’esperienza a generazioni di nuovi volontari. Ma soprattutto Gino Comelli è stato un fenomenale elisoccorritore, una passione che nel 1990 lo aveva portato a fondare con i fratelli Kostner l’Aiut Alpin Dolomites. Solo lo scorso novembre, alla soglia dei 70 anni, era sceso per l’ultima volta dall’elicottero dopo qualcosa come 2.500 interventi e 4.000 ore di volo. «Cosa farò? Mi godrò un po’ di tranquillità», aveva raccontato alla giornalista Elisa Salvi su «il T». Ma dietro l’angolo l’aspettava la parete più difficile: quella della malattia, che ha cominciato a manifestarsi a dicembre. Originario di Romans d’Isonzo, in Friuli, Gino Comelli, per alcuni anni poliziotto a Moena, ha incarnato i migliori valori delle montagne fassane, un misto di forza e pacatezza che gli è valso la stima e il rispetto non solo della comunità di Canazei e Fassa, ma di tante strutture della protezione civile, come testimonia il fiume di cordoglio che ha generato la sua scomparsa. Un percorso di vita con una cicatrice che ancora doleva: i morti della Val Lasties. Ma anche lì, dalla tragedia del 26 dicembre 2009, Gino aveva colto il fiore che cresceva: «Come si supera un evento del genere? Con l’impegno a migliorare il servizio e la sicurezza degli operatori. È stata una tragedia molto dura, ma abbiamo reagito con la richiesta di poter volare di notte». Proprio da uno dei figli delle vittime della Val Lasties, Igor Dantone (il papà era Alex), oggi capostazione del soccorso alpino dell’Alta val di Fassa, arriva una delle testimonianze più toccanti: «Ero suo vicino di casa e sin da bambino, quando vedevo Gino vedevo “il soccorso alpino” – ricorda – Quando poi sono entrato nel corpo, il primo intervento l’ho fatto proprio con lui per una persona fulminata in val Duron. Ricordo la chiamata, l’agitazione, io che parto con metà delle attrezzature ancora nelle mani. Sono sceso di corsa, Gino mi ha visto e mi ha detto: “Igor, stai sereno: andiamo veloci ma senza perdere mai la tranquillità”. Ecco, Gino era questo: ti dava la serenità anche nelle situazioni più difficili. Era un uomo carismatico, sapeva fare gruppo, parlare alle persone». «Sino alla fine, si è dato da fare per gli altri, senza mai chiedere nulla in cambio». È l’omaggio che Maurizio Dellantonio, presidente nazionale del Soccorso alpino, riserva ad un uomo che è stato prima di tutto un amico: «Portava la calma nei momenti più drammatici, anche se la tragedia della val Lasties lo turbava ancora – spiega Dellantonio – Era un uomo mite, intelligente, onesto, pieno di buon senso. Non credo di averlo visto mai veramente arrabbiato: se lo era, reagiva soprattutto con il silenzio». Fuori discussione la stima di Dellantonio sul piano tecnico: «Gino era molto competente e ancora adesso veniva chiamato a fare i corsi come istruttore». Don Mario Bravin è il parroco di Canazei, ma anche vigile del fuoco volontario: «Gino era una persona estremamente disponibile e tutti noi dobbiamo essergli grati. Una volta – l’aneddoto di don Mario – sono andato da lui per chiedergli alcune delucidazioni sui nuovi sistemi di chiodatura. Avrebbe potuto liquidarmi in pochi minuti, visto, tra l’altro, che io sono un vigile del fuoco e non un tecnico del soccorso alpino: si prese mezzora di tempo per spiegarmi sin nei minimi dettagli quanto volevo sapere». Commosse le parole di Walter Cainelli, presidente del Soccorso alpino trentino: «Gino ha dato moltissimo al mondo del soccorso organizzato in montagna – ha detto – Era una persona lungimirante, con una visione chiara e spesso anticipatrice. Con la gentilezza e la disponibilità verso gli altri che lo contraddistinguevano, è stato un vero protagonista all’interno della nostra organizzazione». «Ci uniamo al dolore per la scomparsa di Gino, da sempre un punto di riferimento anche per noi vigili del fuoco, sempre disponibile a darci consigli utili», le parole dei vigili del fuoco volontari di Canazei. «Abbiamo avuto il privilegio di poter condividere con Gino molti momenti di collaborazione professionale sia sul campo che in ambito addestrativo – l’omaggio del Comitato di Bolzano della Croce rossa italiana – Non sono mancati nemmeno i momenti di divertimento con i nostri ragazzi più giovani in occasione del progetto 8-13. Ci sentiamo di dirti solo Grazie Gino». A questo «grazie» dobbiamo unirci anche noi giornalisti, che per tanti anni abbiamo avuto in Gino Comelli un interlocutore paziente e puntuale, un uomo che ha saputo riconoscere l’importanza anche di chi quei soccorsi in montagna di cui è stato protagonista li racconta ogni giorno. Gino Comelli lascia la moglie Rosalba, la figlia Angelica e il figlio Tommaso. L’ultimo saluto si è tenuto oggi pomeriggio, 12 luglio, nella chiesa parrocchiale di Alba di Canazei.
Ci sono nella zona delle realtà che meritano visibilità, come del resto nei rifugi alpini, può essere bello il rifugio, ma queste piccole realtà sono fatte di persone, accoglienza, amicizia, semplicità…valori radicati dalla notte dei tempi, ma percepiti e tramandati ormai da troppo pochi, qui su questo piccolo paradiso c’è chi si è messo in gioco perchè se si vuole ottenere qualcosa dalla vita bisogna anche muovere le braccia, e qui sta succedendo tutto questo …ed io nel mio piccolo voglio ringraziare chi porta avanti queste cose . Luciano
Chi siamo
Siamo una piccola e giovane realtà in provincia di Vicenza.
Il nostro progetto di recupero inizia nel 2021 acquistando una casa in una contrada posta sopra al territorio di Valli del Pasubio che era in stato di abbandono ripulendo e risistemando le abitazioni e i prati e ricreando orti e frutteti con piante di varietà antiche e praticando orticoltura biologica food forest.
Pratichiamo la silvicoltura curando e ripulendo i prati e i boschi.
Alleviamo ovini e galline e gestiamo una piccola locazione turistica, offrendo una esperienza a contatto con la natura ai nostri ospiti. Viviamo in casa con 2 cagnolini.
Durante l’anno svolgiamo attività di:
Fienagione e sfalcio prati
Gestione stalla/pollaio
Raccolta legna gestione del rimboschimento controllato e pulizia boschi
Preparazione del suolo per le colture
Gestione orti sociali
Coltivazione patate
Coltivazione frutti rossi
Semina raccolta e trasformazione dei frutti e degli ortaggi che coltiviamo
Accoglienza ospiti
Accoglienza gruppi Scout
Escursioni a piedi e in bici
Le nostre attività:
Visite guidate in azienda con degustazione
Laboratori didattici estivi
Raccolta di erbe spontanee
Laboratori gastronomici
Escursioni in mtb con o senza guida
Escursioni trekking con o senza guida
Passeggiata con asinelli
Orti sociali
Per prenotare una visita invia una mail a: az.agr.lacamelia@gmail.com
A mio avviso un lavoro ben fatto sulla ricostruzione della favolosa macchina dei soccorsi che nella immane tragedia , fa uscire nella loro crudezza la professionalità e l’umiltà , oltre quel grado di umanità dimostrato in questo missione , per me è stato emozionante dopo aver perso un grande uomo ed un’amico vero che nel momento del bisogno mi ha allungato la mano. ciao Paolo sei li su quella montagna che hai tanto amato , sei stato un grande persona . Luciano Cailotto
Regia di Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon Durata: 76 min Genere: Documentario
L’opera è una dedica a chi quel 3 luglio 2022 perse la vita nella tragedia della Marmolada e a tutti coloro che si prodigarono per aiutare e recuperare sopravvissuti e non. Il documentario fonde interviste, materiale di repertorio inedito e riprese ad oggi, in un unico linguaggio narrativo capace di restituire l’impotenza dell’uomo di fronte alla forza della natura, coinvolgendo emotivamente lo spettatore e accendendo i riflettori sugli uomini e le donne che in quei giorni hanno lavorato instancabilmente. Le interviste a: autorità, soccorritori, guide alpine, testimoni oculari e sopravvissuti ci condurranno di ora in ora attraverso lo svolgimento degli eventi e la messa in moto della grande “macchina dei soccorsi” evidenziandone il forte impatto umano che ha avuto su chi era lì, magari con la consapevolezza di cercare tra i dispersi un amico o un collega. Un racconto che ci conduce a più riflessioni su come il cambiamento climatico stia velocemente trasformando il territorio e come di conseguenza debba cambiare l’approccio nei confronti della montagna stessa.
Nel mio sito la pubblicità, non esiste, se ne trovate una è solamente perchè la inserisco io, in maniera gratuita, non percepisco soldi dalla pubblicità che io decido di inserire nel mio sito ed è con profondo orgoglio che inserisco questo post di questi due ragazzi che portano avanti una tradizione, che secondo il mio modesto parere dev’essere messa in luce. Cailotto Luciano
Lavéc si trova a Lanzada, un piccolo paese tra le montagne della Valmalenco. Realizziamo a mano i Lavéc: le tradizionali pentole in pietra ollare, piastre e altri oggetti di qualità utilizzando tecniche artigianali tramandate da secoli, di generazione in generazione.
La pietra ollare viene scelta per la sua facilità nel lavorarla al tornio e per le sue straordinarie caratteristiche che la rendono il materiale ideale per produrre pentole completamente naturali.
Cos’é il Lavéc
Lavéc è una piccola realtà della Valmalenco e nasce dalla storia di una famiglia che per cinque generazioni ha tramandato il lavoro del laveggiaio. Lavéc nasce da me: sono Nicola, un artigiano, e ho deciso di riscoprire l’antico mestiere di mio padre e dei miei predecessori che stava andando dimenticato e ho deciso di far rivivere i Lavéc, di lavorare al tornio per dare forma alla pietra e trasformarla in pentole, piastre e oggetti. Lavéc nasce dalle persone che mi stanno accanto che mi hanno tramandato il lavoro, il sapere e i valori delle persone di montagna e che ogni giorno condividono con me questa incredibile avventura.
La nostra Terra
L’amore per la nostra terra, la Valmalenco, unisce me e Arianna. Cerchiamo di mettere in tutto ciò che facciamo la passione per le nostre tradizioni, il legame con il nostro territorio e la sua storia. La nostra volontà è quella di valorizzare il territorio dove viviamo e di non dimenticare l’eredità che ci hanno lasciato i nostri avi.
Amiamo le montagne intorno a noi e cerchiamo di viverle profondamente in tutte le stagioni, in ogni loro ambiente.
La storia
Nicola
Nella mia vita ho deciso di inseguire i sogni e le mie passioni, ho sempre cercato di fare ciò che mi fa stare bene e di lottare per tutto ciò in cui credo. Da piccolo con mio papà e mio fratello ho condiviso l’amore per le due ruote fino a quando sono riuscito a diventare ciclista professionista e a partecipare alle gare che guardavo sul divano con la mia famiglia. Piano, piano, accanto a questa passione è nato il desiderio di riscoprire il lavoro che faceva un tempo mio padre e i miei antenati; desiderio alimentato dall’amore per la mia terra, le tradizioni di un tempo e i racconti della nonna.
Nel 2019 nasce Lavéc: l’obiettivo è quello di non far dimenticare la tradizione dei Lavéc (le pentole in pietra ollare), di non perdere questa incredibile eredità dei nostri antenati e di creare prodotti fatti a mano e di qualità, frutto di un antichissimo lavoro artigianale.
I Nonni
Sono cinque le generazioni di Bagioli che hanno lavorato la pietra al tornio. Purtroppo ho conosciuto unicamente per pochi anni solo mio nonno e non l’ho mai visto lavorare al tornio, ma i nonni rivivono nella mia mente tramite i racconti della mia famiglia e fare il laveggiaio mi unisce profondamente a loro.
Roberto
É il mio papà, il mio maestro! È la persona che mi ha insegnato tutto e che mi ha tramandato questo mestiere e anche i valori della tradizione! Non ama le foto, non ama raccontarsi, ma quando è al tornio si sente il legame così forte che lo unisce con la storia, con le sue origini.
Arianna
È la mia metà precisa, ciò che mi completa e colei con cui condivido questo sogno. È mia moglie, la creatrice di questo sito web, colei che risponde alle vostre email e gestisce tutti gli ordini ed è in assoluto la miglior smussatrice di cubetti! Quando non è al lavoro è a casa a preparare i suoi amati risotti nel Lavéc!
La Pietra Ollare
Cottura sana e naturale
La cottura nella pietra ollare permette di cuocere i cibi senza che essi si attacchinino o brucino sul fondo, mantenendo inalterato il sapore le proprietà nutritive. La cottura nel Lavèc o sulle piastre è completamente naturale perchè i nostri prodotti vengono realizzati utilizzando unicamente la pietra ollare e il rame, senza l’aggiunta di nessun’altra sostanza.
Cottura uniforme
Le pentole in pietra ollare cuociono in modo uniforme a differenza di quelle in acciaio o alluminio: una volta riscaldato, il Lavec mantiene una temperatura costante e uniforme, senza che ci siano temperature più alte in corrispondenza della fiamma e più basse altrove. Anche le piastre cuociono carne, pesce e verdura in modo uniforme e naturale.
Roccia stabile
La pietra ollare è una roccia stabile, che non entra in contatto con il cibo: gli alimenti cucinati mantengono i sapori e le fragranze naturali. I cibi cucinati cuociono in modo migliore, senza essere intaccati da sapori esterni, a differenza di quello che succede con le pentole comuni. I nostri prodotti non vengono trattati con smalti, vernici o composti chimici: pentole e piastre provengono direttamente dalla natura.
Prodotti di qualità
Le pentole in pietra ollare sono prodotti di altissima qualità perchè vengono realizzate a mano dall’artigiano e perchè viene scelta una roccia con caratteristiche straordinarie. Ogni prodotto è unico perchè fatto a mano e perchè colorazioni e venature caratterizzano in modo diverso ogni pezzo lavorato. Inoltre le pentole in pietra ollare sono eterne, e i nostri clienti ci dicono che più le usano più migliorano le loro caratteristiche!
La Pietra Ollare in cucina
La cottura nella pietra ollare avviene in modo uniforme e con un calore costante nel tempo lungo tutta la superficie della pentola e della piastra: queste caratteristiche fanno in modo che Lavéc e Piastre cuociano in modo migliore gli alimenti.
I Lavéc possono essere utilizzati in cucina per cucinare tantissimi piatti: sono eccezionali per le cotture lunghe a fiamma moderata, come per zuppe, brasati, stracotti, minestre, sughi, selvaggina, lumache, ossibuchi, coniglio, pollo, cassoeula, trippa…Ma sono anche consigliati per i risotti perchè conferiscono un’incredibile cremosità ai piatti. Possono essere utilizzati anche in forno, per cuocere ad esempio il pane, la pizza, gli arrosti e tutti gli alimenti da cucinare nel forno. Sebbene il Lavéc sia una pentola di “montagna” può essere utilizzato anche per cucinare il pesce; alcuni suggerimenti sono le seppioline con pomodori e piselli, la rana pescatrice in umido, il guazzetto di pesce e molti altri piatti.
Le piastre invece sono indicate per la carne: fiorentina, costata, bistecche, filetti, tagliata; ma anche per le verdure, come melanzane e zucchine, oppure per il pesce: filetti di tonno, pesce spada, branzino, il salmone…
Il punto di forza che accumuna tutti i nostri prodotti è la cottura completamente naturale: cucinare su una piastra o in un Lavéc significa cucinare a stretto contatto con la pietra, lasciata completamente nuda! Una cottura 100% naturale mantiene il sapore genuino e autentico dei vostri alimenti, senza contaminarlo, ma esaltandolo!
Il naturalista svizzero Johann Jakob Scheuchzer scriveva: “In queste pentole di pietra i cibi cuociono più in fretta e meglio che in altre fatte in ottone, rame o altro metallo; inoltre i cibi mantengono la loro naturale fragranza e non vengono inquinati da sapori estranei.”
Termicità
Una delle principali caratteristiche delle pentole in pietra ollare è la sua capacità di distribuire il calore in modo uniforme e costante durante la cottura: questa sua peculiarità esalta il sapore naturale degli alimenti rendendoli particolarmente gustosi e saporiti.
Naturale
La cottura fatta con i Lavec è naturale al 100%: non vengono usati nè smalti nè vernici durante le varie fasi di produzione. Le pentole e le piastre in pietra ollare non rilasciano nessuna sostanza chimica che modifica sapori e intacca la qualità del cibo durante la cottura.
Qualità
Ogni pentola è unica perchè lavorata a mano dall’artigiano. Ogni pezzo ricavato dalla roccia ha una propria storia, una propria conformazione, una propria energia e colorazione. Impossibile ricavare due lavec identici: ogni singola pentola porta con sé una propria identità.
I rifugi sono fatti di persone, non si contano le stelle come negli alberghi, semplicità, amicizia, accoglienza sono pilastri ben radicati, le malghe sono quei luoghi dove la porta è sempre aperta, e l’accoglienza è ancora più grande, malga Davanti del Novegno, ha una nuova vita, sta a noi montanari farla rivivere nel tempo. Luciano
Il Progetto
Contribuisci anche tu a far rivivere malga Davanti!
VIVI DAVANTI è il nome del nostro progetto, l’obiettivo è riportare in vita un edificio montano fatto di pietre, storia e fatica, un luogo dimenticato, ma forse proprio per questo ancora puro e pregno di energie.
Stiamo parlando di malga Davanti, una malga situata sulla sommità del monte Novegno in territorio del comune di Schio (VI). Davanti è un manufatto in disuso da molti anni che, dai suoi 1560mt si staglia sulla pianura fino a scorgere, nelle giornate più limpide, la laguna di Venezia. La sua fantastica posizione domina la val Leogra e si affaccia poi la sera sul travolgente e romantico tramonto delle Piccole Dolomiti; è un momento magico quello, un attimo che parla di meraviglia e di emozione.
Il nostro desiderio è di dare nuova vita a questo luogo straordinario. Sogniamo di creare un ambiente che possa trasmettere alle persone tutte le emozioni che noi stessi viviamo quando siamo lì, sogniamo che diventi il rifugio delle esperienze da condividere, in cui promuovere le ricchezze del nostro territorio, l’arte e la cultura all’innovazione sostenibile, un luogo in cui gustare i prodotti gastronomici locali raccontandone la filiera produttiva, sociale ed etica.
La struttura, abbandonata da molti anni, necessita oggi di profonde migliorie per poter accogliere adeguatamente chi vorrà vivere questo spazio condividendo con noi le idee, il percorso e gli obiettivi; per questo viene lanciata una campagna di crowdfunding che servirà a coprire parte delle spese di startup (materiale edile, attrezzature per la cucina, interventi di mantenimento e miglioramento strutturale). Vorremmo anche dare un “cuore caldo” al nostro ambiente, un punto centrale dove poter raccontare storie davanti ad un caffè o ad una bottiglia di vino, forte e sincero come vuole essere questo progetto, come lo è chi deciderà di lasciare il proprio segno, il proprio aiuto; sarà un camino o una stube, ancora non lo sappiamo, ma siamo sicuri che nelle uggiose giornate autunnali saprà riscaldare non solo il corpo dei nostri amici, ma certamente anche la loro anima.
I nostri primi passi
Dopo oltre un anno di valutazioni, progettazioni, coinvolgimento di possibili partner pubblici e privati abbiamo deciso di sviluppare questo progetto costituendo una Società Benefit. Questa particolare forma societaria rappresenta un’evoluzione del concetto stesso di azienda integrando nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera.
Le nostre azioni, presenti e future, sono e saranno volte a sostenere quei produttori locali che promuovono un’economia più giusta e sostenibile, più etica e responsabile, che rispetta le persone e tutela l’ambiente. I prodotti venduti, somministrati ed esposti in malga Davanti provengono da imprese che hanno un impatto positivo sia sociale che ambientale. E’ nostra intenzione promuovere eventi e attività che hanno l’obiettivo di creare spunti per diffondere una cultura di rispetto per il territorio, ambiente, di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani ed è nostra missione quella di ricercare la collaborazione con organizzazioni no profit il cui scopo sia la diffusione e la promozione attiva di una sensibilità etica ed estetica in materia ambientale per incentivare comportamenti virtuosi di attenzione all’equilibrio della natura in cui viviamo.
Oltre alla definizione delle linee guida del nostro progetto i primi mesi di DAVANTI sono stati dedicati alla fatica fisica ed al sudore. Grazie al sostegno di amici e dell’ Ass. Allevatori Vicenza, abbiamo iniziato l’opera di sistemazione per cercare di rendere fruibile la malga. Sono stati ripuliti gli ambienti, demolendo le parti ammalorate, raschiando i muri, igienizzando e sistemando le pareti. Sono stati ripristinati gli impianti elettrici, rese funzionali le cisterne di raccolta dell’acqua e le tubature; sono stati creati due ambienti consoni all’assemblaggio e la rigenerazione dei cibi, arredandole con mobilio e strumentazione professionale. Il filo spinato che delimitava la parte esterna è stato tolto per lasciare spazio all’abbraccio di una staccionata in legno. Le persone che hanno avuto modo in questi mesi di salire in montagna e visitare la malga, si sono trovati a vivere un luogo in continua evoluzione, un rinnovamento forte e radicale che continuerà ancora per molto, ma è questo il nostro piacere, costruirlo passo passo e farlo assieme a voi.
Comunicato stampa CAI del Veneto , anche se le regole di chi sale in montagna sono sempre chiare , ma con l’avvento di nuovi pseudomontanari che pensano di andare in montagna come andare al mare in qualsiasi stagione , RIPETIAMO LE REGOLE PER L’ENNESIMA VOLTA , con l’intento di non mettere in pericolo le nostre vite , ma soprattutto quelle dei SOCCORRITORI , SUEM E SOCCORSO ALPINI
Questa è la data di Zugliano stasera , ma ne avranno altre credo , basta seguire la loro pagina di facebook , e seguire questa loro grande passione Federica e Loris
Se ami la montagna … difendila, dall’uomo , io sto con la montagna , fatelo anche VOI
Il Club Alpino Italiano , attraverso il Gruppo Regionale Veneto , e la Commissione Interregionale Tutela Ambiente Montano Veneto Friuli Venezia Giulia aderisce alla manifestazione :“PISTA DA BOB -ULTIMA CHIAMATA” di Domenica 24 settembre 2023 ore 10.30 Piazza Dibona a Cortina D’Ampezzo
Qual è il problema ambientale Fin da subito, ben prima che si arrivasse alla situazione attuale, diverse associazioni del territorio avevano sollevato dei dubbi sulla bontà del progetto, chiedendosi se effettivamente avesse senso iniziare una ristrutturazione così complessa, soprattutto per una questione di impatto ambientale.
Secondo i dati del Club alpino italiano (Cai), la deforestazione colpirebbe oltre 25mila metri quadri di vegetazione e sarebbe necessario prelevare oltre tremila metri cubi di acqua dalle riserve comunali per la formazione del ghiaccio in un contesto già sofferente dal punto di vista idrico e dove ogni anno cade sempre meno neve. A tutto ciò bisogna sommare le emissioni inquinanti e l’impiego di sostanze chimiche necessarie ai lavori e alle opere di refrigerazione della pista.
I cittadini di Cortina sembrano essere consapevoli di queste problematiche, come dimostra un sondaggio dell’agosto 2021 fatto dal Comitato civico Cortina: il 60 per cento degli abitanti è convito che l’impatto ambientale sia troppo elevato. Non solo per proteggere la montagna e i boschi, ma anche perché questo genere di opera sarebbe totalmente fine a sé stessa, come dimostra il precedente abbandono della stessa pista di Cortina, ma anche di quella più recente in Piemonte. Inoltre, il numero di persone che in Italia praticano queste discipline sono sempre meno: non se ne contano 50. Troppo poche per immaginare una vita dell’impianto oltre i Giochi.
Riflessioni
Ce ne sarebbero di cose da dire , di commenti da fare , Cortina non ha posteggi nemmeno per l’alta stagione , sono messi così da anni , le Tofane , il Sorapis , l’Antelao , il Cristallo , non hanno bisogno di piste da Bob , hanno bisogno di tutela di rispetto , io salgo a Cortina da montanaro , la frequento da una vita da quando a 19 anni ho dormito con la Compagnia Genio Guastatori a Fiammes … amo la montagna quella che fa emozionare , e cerco nel mio piccolo di salvaguardarla e proteggerla . Certo gli Ampezzani si sanno difendere , ma hanno bisogno ora più che mai di chi ama la montagna senza se e ma , ed ha fatto di quella montagna la palestra della propria vita . Luciano Cailotto
La fragilità della Montagna
17 settembre 2023 Frana a San Vito di cadore
31 agosto 2023 Frana a Passo Tre croci Cortina D’ampezzo
9 ottobre 2021 Frana a Chiapuzza , San Vito di Cadore
29 luglio 2016 Frana dal Pelmo San Vito di Cadore
5 agosto 2015 Frana a San Vito di Cadore travolge le auto: 3 morti
8 novembre 2012 Frana sopra Chiapuzza San Vito di Cadore
31 agosto 2011 Frana sul Pelmo Sotto due tecnici del Soccorso Alpino
Non si può vivere la storia , senza avere la capacità di sentire solo la campana dei vincitori , bisogna vedere sempre da ambo le parti , come stanno le cose , perchè come si dice la verità sta nel mezzo , certo i tedeschi nei nostri comuni di danni ne hanno fatti , ma non è che le camice nere ed i partigiani in alcuni casi siano stati da meno …ma il soldato che spara per difendersi da un’altro soldato certo non è ne migliore ne peggiore , ma quando si spara sulla popolazione inerme che non può e non ha i mezzi per difendersi , credo deva essere presa in maniera diversa, e con il dubbio del se e del ma , anche se un’analisi seria può essere fatta solo da chi accetta il confronto , è lo fa per capire , per non dimenticare e per far sapere . Cailotto Luciano
Il Comando a Recoaro Terme
Alle Fonti Regie e nel centro cittadino si stabilirono tutti i comandi dell’Amministrazione militare, dell’Esercito, della Marina, dell’Aviazione e del Genio della Wehrmacht con i loro ufficiali superiori, soldati, ausiliarie e addetti ai servizi logistici. Albert Kesselring scelse questo posto per 3 motivi principali: Recoaro Terme non è un obiettivo strategico, possiede un collegamento molto rapido con il Brennero passando per Campogrosso e perchè la cittadina aveva un numero molto alto di edifici come alberghi, ville, ecc…, l’ideale per ospitare i 1500 soldati tedeschi. Proprio la presenza dell’Alto Comando tedesco spiega una concentrazione unica di rifugi antiaerei, in roccia o in superficie, comunemente chiamati bunker. In rapporto alla superficie e alla popolazione non esiste in Veneto ed in Italia un altro luogo con una simile quantità di rifugi in galleria e in superficie. Già prima di maggio del ’44, mentre si combatteva sul fronte di Cassino e in previsione di un arretramento sulla Linea Gotica, Kesselring aveva individuato Recoaro Terme come sede del suo Quartier Generale. La cittadina termale offriva molteplici vantaggi, aveva un alto numero di alberghi e di ville signorili, un rapido collegamento con la pianura e un buon collegamento a nord attraverso il Pian delle Fugazze sulla strada statale Schio-Rovereto. A ovest e a nord sul Passo di Campogrosso il Comune di Recoaro Terme confina con il Trentino e quindi era adiacente all’Alpenvorland, territorio del Reich. Il 17 maggio 1944 i Tedeschi iniziarono i lavori per il loro nuovo Quartier Generale. Il progetto prevedeva uffici, alloggi per i militari e rifugi antiaerei nell’area delle Fonti e nel centro cittadino. Il trasferimento dell’Alto Comando a Recoaro Terme avvenne a metà settembre del 1944. I militari occuparono i principali alberghi del centro, le scuole, tutte le ville signorili e tutti gli edifici delle Fonti Centrali. Un documento redatto dal Comando tedesco il 22 settembre del 1944, riporta con precisione l’elenco degli edifici occupati dai comandi e dai rispettivi generali, le opere di difesa assegnate e il numero di soldati che vi potevano trovare protezione. In quattro fogli dattiloscritti sono contenute in tre colonne informazioni sugli alloggi occupati, sul personale militare e sui vari tipi di rifugi.
I Rifugi
Per esigenze belliche furono occupati le scuole, due edifici e l’ufficio postale delle Fonti Centrali, l’autorimessa di un albergo e il deposito dell’industria d’imbottigliamento dell’acqua minerale. La seconda colonna del documento contiene notizie sul personale, numero e incarico, relativo a ogni fabbricato. Conosciamo dove erano alloggiati i comandanti dell’Artiglieria, delle Truppe corazzate, della Polizia militare, dei Trasporti, del Genio, della Giustizia … e sappiamo anche che erano in funzione una stazione meteorologica e l’infermeria per la truppa con l’ambulatorio dentistico. In due ville erano alloggiati il giudice militare e il capo dei cappellani militari dell’esercito. L’ultima colonna riporta i tre tipi di rifugio costruiti: bunker, gallerie e trincee antischegge. A ogni fabbricato occupato era assegnato un rifugio a cui fare riferimento. Per ogni bunker e galleria, così come per ognuna delle 10 trincee paraschegge elencate, vengono riportati la superfice utile in metri quadrati e il numero massimo di persone ospitate calcolate in numero di due per metro quadrato. I rifugi antiaerei in galleria (Stollen) sono contraddistinti da lettere dell’alfabeto mentre per i bunker in superfice sono stati usati i numeri arabi. Dopo appena quattro mesi di lavoro le difese antiaeree più importanti, in galleria o in cemento armato in superficie, erano già disponibili con una capacità di circa 2500 persone. La progettazione e la realizzazione delle opere fu affidata alla Todt (OT), un’organizzazione militare tedesca che si occupava di fortificazioni e infrastrutture su tutti i fronti di guerra, fra cui anche il Vallo Atlantico in Normandia. Sotto la direzione di ufficiali e sottufficiali tedeschi lavoravano ingegneri, tecnici, impiegati e operai italiani dai 16 ai 60 anni regolarmente assunti e remunerati. Gli uffici avevano sede all’Albergo Gaspari nel centro cittadino. Alla fine della guerra vi svolgevano la loro attività 25 militari tedeschi agli ordini di un maresciallo. Al personale dell’OT di Recoaro Terme erano affidati il controllo e la progettazione delle opere con la predisposizione degli elaborati grafici necessari ai cantieri. I disegni tecnici, composti di piante, sezioni trasversali e longitudinali opportunamente quotati, erano molto accurati. Ognuna delle 12 tavole giunte fortunosamente fino a noi riporta il nome della galleria, la data di inizio dei lavori, la scala di riduzione grafica, l’orientamento e le pendenze. Una poligonale chiusa con indicati gli angoli in gradi sessagesimali e centesimali, le distanze e le pendenze, permetteva di scavare contemporaneamente dai due ingressi e di congiungere le due gallerie con la massima precisione.
CONTATTI :
APERTURA MENSILE DEL BUNKER KESSELRING SIAMO APERTI TUTTE LE DOMENICHE DI LUGLIO E AGOSTO E SETTEMBRE
Reparti tedeschi a Valdagno (agosto 1943-aprile 1945) del Prof. Maurizio Dal Lago
Tra l’agosto del 1943 e l’aprile del 1945 furono acquartierate a Valdagno tre unità tedesche. La prima a giungere, tra il 15 e il 20 agosto 1943, fu un’unità appartenente alla Luftwaffe. Si trattava del Luftnachrichten Betriebsabteilungen zur besonderen Verwendung 11 (Reparto trasmissioni e controllo di volo per impieghi speciali 11). Nella primavera-estate del 1943 esso era stanziato nella provincia di Poznan: comandato dal tenente colonnello Friederich Silomon, era strutturato su quattro compagnie, per un totale di circa mille uomini. Nell’estate del 1943 fu trasferito in Italia settentrionale in attuazione del piano di invasione “Asse”. A quell’epoca il reparto era passato sotto il comando del tenente colonnello Fritz Trippe, che era nato a Reichenbach, nella bassa Slesia. A Valdagno furono dislocati lo stato maggiore del reparto, la 4a compagnia e la colonna delle attrezzature. In tutto circa 400 uomini. La 1a compagnia al comando del tenente Schufred fu mandata a Dobbiaco; la 2a compagnia, comandata dal capitano Khun, era dislocata a Padova; la 3a compagnia con il tenente Boguniewski si trovava a Verona. Dipendevano inoltre dal reparto la 4a compagnia del 28° reggimento trasmissioni aeree al comando del capitano Klein, di stanza a Milano, e la 5a compagnia del 35° reggimento trasmissioni aeree sotto il comando del tenente Jonigk ad Arzignano. Il Luftnachrichten Betriebsabteilungen aveva il compito di garantire l’allestimento dei cosiddetti posti di comando tattico, di curare l’impianto e la manutenzione dei collegamenti radio e telefonici tra le varie unità della Wehrmacht, nonché di fornire informazioni aggiornate sul movimento dei propri aerei e di quelli del nemico. Gerarchicamente esso dipendeva dal Comando Traffico Volo tedesco, che si era trasferito da Treviso all’aeroporto Dal Molin di Vicenza il 1° agosto 19434. Per acquartierare la truppa a Valdagno furono requisite la settecentesca villa Valle, le sedi della GIL maschile e femminile, quella del Ginnasio pareggiato, alcune aule dell’Istituto industriale chimico-tessile. In seguito, in previsione dell’arrivo a Recoaro del Comando superiore Sud Ovest del Feldmaresciallo Kesselring, furono requisite anche le scuole elementari del capoluogo e delle frazioni, la villa padronale dei Marzotto e molte case private nel centro storico. I 14 ufficiali alloggiavano all’hotel Pasubio . La sede del comando venne posta nella Casa del Fascio in piazza Dante (il Partito fascista repubblicano, una volta costituitosi il 25 ottobre 1943, dovette traslocare nelle stanze del palazzo Festari). Vice comandante del reparto era il capitano con funzioni di maggiore Karl Kurz. Aiutante presso lo stato maggiore era il tenente Gehrard Suder. La 4a compagnia era sotto la responsabilità del capitano Arthur Sackel, che aveva alle sue dipendenze il tenente Franz Hauser e il sottotenente Wartermann. Il tenente Josef Stey comandava la colonna delle attrezzature e, contemporaneamente, era addetto all’ufficio del presidio. Ufficiale pagatore era il tenente Walter Führ, mentre la funzione di medico del reparto era svolta dal dr. Armin Schütte; il compito di interprete fu affidato in un primo tempo al tenente Schultz e poi al caporale alto atesino Enrico Zorzi. Nel marzo del 1944 il colonnello Fritz Trippe fu sostituito dal maggiore Ludwig Diebold, un ingegnere austriaco nato a Vienna nel 1907. Infine, dal febbraio 1945, il reparto fu comandato dal tenente colonnello Ludwig Hörger, che aveva come aiutante il capitano Lorenz. Il comandante del Luftnachrichten Betriebsabteilungen era anche il comandante del presidio di Valdagno, dal quale dipendevano tutti gli altri distaccamenti tedeschi dislocati nei centri della Valle dell’Agno: Recoaro, Cornedo, Castelgomberto, Brogliano e Trissino. Lo Jagdkommando di questo reparto eseguì, secondo l’ordine del maggiore Diebold, la sanguinosa rappresaglia di Borga di Fongara (11 giugno 1944). Sempre Diebol ordinò la fucilazione dei “Sette martiri” a Valdagno (3 luglio 1944). Il reparto partecipò anche al rastrellamento di Piana di Valdagno (Operazione Timpano, 9 settembre 1944). Il Luftnachrichten Betriebsabteilungen abbandonò il centro industriale valdagnese tra il 24 e il 25 aprile 1945, e si ritirò verso Bolzano al seguito del Comando superiore Sud Ovest del Generale Heinrich von Vietinghoff-Scheel che in quei giorni aveva lasciato a sua volta la sede di Recoaro Terme, dove era arrivato nel settembre del 1944. Il giorno della capitolazione, il 2 maggio 1945, il reparto si trovava a Brunico.
Il Reparto “Orianenburg” Si è accennato che nel Lehrkommando 700 c’erano alcuni appartenenti alle SS. Questi erano una quindicina di uomini che provenivano dal reparto Oranienburg, costituito nell’autunno del 1943 con elementi che in precedenza avevano condotto pesanti e sanguinosi scontri con i partigiani in Croazia e che erano stati puniti e degradati al fronte per i più diversi motivi. Costoro dovevano “riabilitarsi” attraverso una “prova”, cioè partecipando ad azioni particolarmente pericolose. In parte erano veri e propri criminali, altri invece avevano infranto il rigido codice d’onore delle SS con mancanze relativamente modeste. I membri delle SS rappresentavano un problema costante perché dal punto di vista disciplinare non erano sottoposti al comandante del reparto, ma direttamente all’Obersturmbannführer Otto Skorzeny11. È da segnalare che Hermann Georges, il soldato ucciso a Borga di Fongara da partigiani rimasti sconosciuti, era un “combattente del mare” di stanza a Valdagno, e più precisamente una SS che proveniva dal reparto Orianenburg. L’efferata rappresaglia dell’11 giugno 1944, che costò la vita a 17 persone della contrada recoarese, fu condotta dallo Jagdkommando del reparto della Luftwaffe al comando del tenente Joseph Stey, rinforzato per l’occasione da una ventina di uomini dell’LK 700 comandati dal tenente di vascello Herbert Völsch.
Il “Lehrkommando 700” Nel gennaio del 1944 giunse in città il reparto “Combattenti del mare Brandeburgo”, una formazione dell’Abwehr, il Servizio segreto militare tedesco diretto dall’ammiraglio Wilhelm Canaris. Questa era una unità di incursori subacquei la cui nascita si deve alle sollecitazioni di Alfred von Wurzian, un ufficiale viennese, compagno di spedizioni del ricercatore marino austriaco Hans Hass. La sua idea era di munire di bombole di ossigeno e di pinne gli incursori che dovevano essere condotti di notte da un sottomarino nelle vicinanze di porti nemici. Essi poi, avvicinatisi a nuoto agli obiettivi, avrebbero applicato il materiale esplosivo alle carene delle navi nemiche. Wurzian aveva illustrato le sue idee alla Marina da guerra tedesca nell’estate del 1942, ma in quel momento vennero accantonate perché gli alti comandi puntavano sulle grandi navi da combattimento e, soprattutto, sui sottomarini. Per un piccolo gruppo come gli incursori subacquei non si vedeva un reale utilizzo nonostante i successi degli incursori italiani. Solo nel gennaio del 1943 il progetto di Wurzian fu ripreso e valutato positivamente dall’Abwehr. Wurzian, pertanto, fu inserito nel Regiment Brandenburg con l’incarico di costituire un gruppo di sabotaggio sottomarino. Ma il progetto procedette molto lentamente. Nella primavera del 1943 il comandante della Decima Mas, Junio Valerio Borghese, incontrò Wurzian e lo invitò a partecipare all’addestramento degli uomini “Gamma”, una unità molto simile a quella cui stava lavorando il Wurzian, che accettò l’invito e partecipò, nell’estate del 1943 a Quercianella-Sonnino, vicino a Livorno, al corso d’addestramento dei “Gamma”. Nel gennaio del 1944 gli uomini selezionati per diventare incursori marini furono mandati a Valdagno dove qualche mese prima erano giunti anche i “Gamma” al comando del tenente di vascello Eugenio Wolk e del suo vice, il tenente, e medaglia d’oro al valor militare, Luigi Ferraro. A Valdagno, infatti, esisteva una piscina coperta adatta all’addestramento. Gli incursori tedeschi furono acquartierati nei locali del Dopolavoro Marzotto nel quale insisteva la piscina. Il reparto, denominato “Combattenti del mare Brandeburgo”, era formato da una quarantina di militari provenienti dalla marina, dall’esercito, dalla aeronautica (paracadutisti), dal servizio segreto e dalle SS. Primo comandante dell’unità fu il capitano Neitzker del Servizio segreto militare. Wurzian era il responsabile dell’addestramento. Nel marzo del 1944 Neitzker fu sostituito dal capitano Friedrich Hummel, sempre appartenente all’Abwehr. Nel giugno del 1944 il reparto cessò di dipendere dal Servizio segreto militare e fu assegnato alla Kriegsmarine. Di conseguenza il 21 giugno 1944 i “Combattenti del mare Brandeburgo” cambiarono denominazione, e assunsero il nome di Lehrkommando 700. Ne divenne comandante l’ufficiale medico dr. Armin Wandel. All’esterno, infatti, il commando era mascherato come centro di convalescenza per soldati nel quale i feriti venivano resi nuovamente abili per il fronte attraverso molto sport ed attività fisica. La giornata dei sabotatori tedeschi cominciava alle 7 del mattino con due ore di piscina. Poi seguivano tre ore di marcia e, nel pomeriggio, due ore di addestramento militare. Erano frequenti anche le marce sulle colline circostanti e sulle pendici delle Piccole Dolomiti. Oltre che a Valdagno, dove aveva sede il Lehrgangslager 704, il Lehrkommando 700 disponeva del campo d’addestramento (Lehrgangslager 701), sull’isola di S. Giorgio in Alga, nella laguna di Venezia, del Lehrgangslager 702 a Bad Tölz e del Lehrgangslager 703 a List auf Sylt. Alla fine di giugno del 1944 il quartier generale dell’LK 700 venne trasferito da Valdagno a S. Giorgio in Alga, mentre comandante del campo di Valdagno divenne il tenente di vascello Herbert Völsch. Nel settembre 1944 gli appartenenti al Servizio segreto militare ed alle SS lasciarono il Lehrkommando 700 a causa dei numerosi conflitti di competenza tra SS e Marina da Guerra. Gli incursori delle SS fondarono un proprio gruppo segreto a Bad Tölz sotto il comando del liberatore di Mussolini, l’SS Obersturmbannführer Otto Skorzeny, con il nome SS-Jagdkommando Donau. Wurzian, pur appartenendo al Servizio segreto militare, rimase a Valdagno come responsabile dell’addestramento del-l’LK 700. Nel novembre 1944 l’LK 700 venne ritirato dall’Italia e trasferito a List auf Sylt9, località sulla costa occidentale dello Schleswig, al confine con la Danimarca. Il 16 settembre 1944, tre appartenenti all’LK 700 furono catturati dagli inglesi nelle acque davanti a Fano, dopo che la loro imbarcazione era rimasta senza carburante. Il 20 settembre, i tre (Karl Heinz Kaiser, 24 anni; Herbert Arthur Kein, 21 anni e Oskar Otto Georg Kuehn, 25 anni) furono interrogati a fondo dal servizio segreto alleato in quanto sospettati di una missione di sabotaggio contro le navi ormeggiate nel porto di Ancona. Sulla base delle informazioni date dai tre prigionieri, l’Intelligence Section presso l’Headquarters delle Mediterranean Allied Air Forces indicò, nel mese di ottobre del 1944, come possibile obiettivo di bombardamento l’Isola di S. Giorgio in Alga. Un mese dopo, il Servizio segreto alleato segnalò la presenza a Valdagno di una «School for Swimming Saboteurs», composta di italiani e tedeschi, proponendone il bombardamento in quanto «the destruction of this school would greatly reduce the risk to Allied Shipping in the Mediterranean Theatre» (23 novembre 1944).
Il Bombardamento del 20 aprile 1945
Il 20 aprile, compleanno di Hitler, gli Alleati bombardarono chirurgicamente le Fonti Centrali; due giorni dopo, nel corso di una riunione, all’interno del bunker di comando, fra i principali responsabili politici e militari tedeschi presenti in italia, fu stabilita la cessazione dei conflitti. Il 29 aprile fu quindi ratificata a Caserta la resa incondizionata. I bunker furono oggetto di una pesante incursione aerea il 20 aprile 1945 quando 18 bombardieri americani B25J Mitchell decollati da Rimini sorvolarono Recoaro Terme e da 3000 metri sganciarono con incredibile precisione 135 bombe da 250 kg sul Quartier Generale tedesco. Il bombardamento aereo si concentrò esclusivamente sull’area delle Fonti Regie e distrusse la sede del Comando, le ville e gli alberghi dove alloggiavano gli ufficiali. I rifugi antiaerei resistettero alle esplosioni e la maggior parte dello Stato Maggiore si salvò all’interno del bunker del Comando. A dimostrare la fiducia che i Comandi riponevano nelle opere di difesa antiaerea basta questa considerazione sull’attacco aereo ripresa dal diario di von Vietinghoff:
“I comandi tedeschi in Italia erano avvezzi ad avere a che fare con attacchi aerei, ed erano di conseguenza preparati. Naturalmente ogni volta si verificava un breve disturbo, nella pratica insignificante, perché ognuno aveva il suo posto di lavoro stabilito nei grandi ricoveri e la centrale telefonica era comunque sicura nelle profondità della montagna”.
Gli ultimi giorni di Guerra – La Resa ( fonte: prof. Maurizio Dal Lago suo libro “L’ultimo mese di guerra nella valle dell’Agno”
L’8 marzo del 1945 iniziano in Svizzera i contatti segreti tra i tedeschi e gli americani (operazione Sunrise) per arrivare alla fine del conflitto. Da parte tedesca tali contatti erano tenuti da Karl Wolff – all’insaputa di Hitler – e da parte americana da Dulles. Wolff aveva le mani legate, non poteva fare nulla senza coinvolgere il Comando di Recoaro. Decide quindi di recarsi a Recoaro una prima volta il 28 marzo per capire le intenzioni di Vietinghoff, (comandante in capo del fronte Sudovest e del gruppo di armate C) che però considera la resa ancora prematura. Wolff persiste nel tentativo di convincere Vietingoff che bisognava fare in fretta: gli alleati avanzavano molto velocemente e quindi ben presto non avrebbero più avuto alcun interesse alla trattativa. Ma il vecchio ufficiale prussiano – che il 18 aprile aveva ricevuto l’ordine perentorio di Hitler di “combattere fino all’ultimo uomo” – non voleva correre il rischio di essere accusato di alto tradimento. A metà aprile anche il generale Graziani, massimo responsabile militare dell’esercito della Repubblica di Salò, va a Recoaro per dire a Vietinghoff che Mussolini non credeva più alla vittoria finale e la situazione era disperata. Venerdì 20 aprile il Comando di Recoaro venne pesantemente bombardato. Neppure questo fatto bastò a convincere Vietinghoff ad accettare la resa. Dovettero raggiungerlo a Recoaro due giorni dopo Rahn, Wolff e Hofer (i rappresentanti della sovranità tedesca in Italia). La decisione di terminare l’insensato combattimento e di inviare una delegazione al quartier generale degli Alleati per delle trattative sulle condizioni di un armistizio venne presa a Recoaro, nell’alloggio di Vietinghoff, domenica 22 aprile 1945. I plenipotenziari tedeschi raggiunsero quindi Caserta, dove la resa venne firmata il 29 aprile 1945. Il comando Sud-ovest e il gruppo di armate C furono i primi ad arrendersi in Europa, dove le armi tacquero solo il 9 maggio 1945.