Ci sono delle realtà che qualche volta vengono bistrattate da chi dovrebbe prendersene cura, con quell’amore che il montanaro conosce bene ,ed è il motore della propria esistenza in un legame con il territorio che non conosce confini. Luciano cailotto
La nuova vita della baita Cristellin è un passo verso l’amore infinito per quella piccola ma grande realtà della Val Zoldana dove ci si sente a casa e dove ci si sente in famiglia, perché questa è la Val Zoldana…e perché si torna sempre dove si è stati bene… un grosso in bocca al lupo a chi ha avviato e crede in questo progetto…
“Chi più in alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna.”
un grosso in bocca al lupo per la nuova vita della Baita Cristelin…
Sono incredibilmente sorpreso , questo sito nato per aiutare chi montanaro non è ad avvicinarsi nel fantastico mondo delle nostre montagne , un lavoro svolto con passione e tenacia , ma e con la stessa emozione del montanaro che vorrei abbracciarvi tutti e come voglio con orgoglio ricordare che questo sito e completamente gratuito perchè i costi li sostengo io per non avere pubblicità occulta che disturba la lettura e la visione …vi ringrazio tutti… Luciano Cailotto
Dopo il danno la beffa, e la tristezza dei montanari come me, che alle 7 di mattina dalle Cinque Torri sentono le ruspe al lavoro, anzichè i rumori del bosco e della montagna, per quel Dio denaro che ormai è in possesso a pochi, e quei tanti politicanti che fanno le cose con i nostri soldi togliendoli da ciò che veramente conta. Luciano Cailotto
Articolo di Silvia Granziero 1 marzo 2024 ” The vision “
Come molti nati e cresciuti in città, intrappolata in casa tra i vari lockdown, negli ultimi anni ho maturato una crescente attrazione per la montagna, che oggi in Italia è la cosa più simile alla natura incontaminata che abbiamo. Lì vado per allontanarmi dalla cappa di smog della pianura, lì ascolto finalmente il silenzio e fermo, per una volta, la ruota della settimana lavorativa. Sono sensazioni comuni, e così anche io, come tanti, ho sentito una fitta al petto vedendo le seghe abbattersi sui larici di Cortina d’Ampezzo, la settimana scorsa, per fare spazio alla nuova pista da bob per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Se, superata l’emozione suscitata dal rumore della motosega nel silenzio del bosco, ci si pensa razionalmente, ci si accorge che il problema oltre al taglio degli alberi in sé è più vasto, ed è collegato al motivo stesso dell’operazione: la costruzione di una pista che sarà usata per una manciata di gare e poi, presumibilmente, abbandonata per mancanza di neve – dato che già oggi l’indicatore dell’acqua stoccata nell’accumulo di neve in montagna ha raggiunto il -64% rispetto alla media del periodo 2011-2022, situazione che ha già fatto saltare diverse gare, in italia e non solo , uno spreco rappresentativo del nostro approccio miope all’ambiente montano.
Nonostante i pareri contrari, la grande macchina dei Giochi – e degli affari – però si è messa in moto con l’accordo per lo sviluppo e coesione firmato a novembre dalla premier Giorgia Meloni e dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia, per un finanziamento da 33,5 milioni di euro per realizzare bacini idrici per l’innevamento e collegare la Ski Area del Civetta e la Ski Area Cinque Torri. Rientra in questo ampio disegno il progetto della Società Infrastrutture Milano Cortina 2026 (SIMICO) per realizzare una pista di bob, skeleton e slittino, siglato ufficialmente a inizio febbraio; così la settimana scorsa è iniziato l’abbattimento di circa 600 larici nei pressi di Cortina, in un contesto, quello delle Dolomiti, che ha già 1.200 km di piste da sci.
A protestare non sono solo gli ambientalisti: sul progetto ha espresso perplessità il Comitato Olimpico Internazionale (CIO),secondo cui la pista non sarà praticabile a lungo dopo i Giochi, mentre gli impianti esistenti sarebbero sufficienti per tutti gli atleti e le gare. Poi è stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a ritenere “quasi impossibile” finire i lavori entro il 15 marzo 2025 per i collaudi e le eventuali correzioni. Motivi validi per rinunciare a ricostruire la pista da bob e slittino intitolata al campione Eugenio Monti realizzata per i Giochi invernali del 1956, chiusa nel 2008 e smantellata nel 2023; si sarebbe potuto tutt’al più riaprire la pista di Cesana, in Piemonte, costata ai tempi 110 milioni, usata per i Giochi di Torino del 2006 e chiusa dal 2011; o, ancora meglio, sfruttare le strutture già operative in Austria e Svizzera, come suggerito dallo stesso CIO. Cosa che bisognerà fare comunque se i lavori non saranno finiti per tempo, con relativi costi aggiuntivi per l’affitto degli impianti.In ogni caso, come andrà a finire può farlo intuire proprio la vicenda del tracciato di Cesana: pochi anni di operatività e una manciata di gare che non hanno certo ripagato, nemmeno simbolicamente, gli enormi costi sostenuti per la realizzazione dell’impianto; quello di Cortina dovrebbe costare 81 milioni, comunque troppo rispetto ai poco più di 30 che avrebbe comportato riavviare un tracciato già esistente, senza contare gli sprechi materiali e i problemi ambientali di cui oggi, rispetto al 2006, dovremmo essere più consapevoli.
Tra le altre cose, infatti, c’è anche il sospetto – espresso dagli abitanti alla consigliera regionale di Europa Verde Cristina Guarda, che ha inoltrato una segnalazione al Nucleo Forestale di Cortina d’Ampezzo – sull’entità degli abbattimenti; secondo un’indagine condotta dalla rivista “l’Altra Montagna” , infatti, il progetto finale individua come “da tagliare” quasi 2mila larici, contro i 5-600 pubblicizzati. Sono piante con un’età media di circa 150 anni, con un valore ambientale, ma anche culturale e sociale, non solo per i turisti, ma anche per gli abitanti della zona. Come fa notare “l’Altra Montagna”, poi, a fronte del taglio del lariceto era stato previsto un indennizzo da oltre 23.500 euro: è lecito aspettarsi, quindi, che ora la cifra venga adeguata all’estensione del disboscamento. Soldi che si sommano alle spese per la realizzazione di quell’impianto mostruoso che sono le Olimpiadi e che non tiene conto dei costi indiretti delle conseguenze ambientali, a partire dalla perdita della copertura boschiva e dei suoi effetti: dalla minor capacità di assorbimento di anidride carbonica a un maggior rischio idrogeologico, alle conseguenze dell’affluenza di pubblico e mezzi sull’equilibrio della fauna locale. E tutto questo non si risolve attraverso compensazioni economiche.
Anche perché le infrastrutture in costruzione si sommano alle migliaia di impianti di risalita presenti sulle Alpi – 450 solo nel sistema Dolomiti Superski – per lo più volti a sostenere l’economia dello sci, comparto che ha fagocitato sempre di più le montagne italiane, sovrastando ogni altro settore. Il docente di Economia e Gestione delle imprese all’Università di Trento Umberto Martini, esperto di gestione del turismo in quota, sottolinea come negli anni l’approccio invece di migliorare sia sempre più insostenibile: fino agli anni Ottanta si sciava anche a 800 metri e in primavera la montagna andava “a riposo” turistico per riaprire in estate, stagione adatta all’escursionismo; un andamento che sta cambiando negli ultimi decenni, con la contrazione della stagione sciistica e con estati che, ormai invivibili in città, attirano sempre più persone in quota ed estendono le aperture annuali dei rifugi; aumentano anche i rischi a cui turisti poco esperti si espongono in un ambiente reso più instabile dalla crisi climatica.
Tenere conto di questi cambiamenti, tra l’altro, farebbe bene allo stesso turismo invernale, che in Italia vale10 miliardi di euro annui annui e che oggi è minacciato dalla crisi climatica. Per questo, per sopravvivere, avrebbe bisogno di un piano di adattamento e di diversificazione. Si tratta, infatti, di un turismo che dipende dalle condizioni meteorologiche e la crisi climatica accorcia la stagione invernale, porta la neve sempre più in alto,verso i 2000 metri, provoca eventi meteorologici imprevisti, accresce il rischio di valanghe e crolli e impone nuovi ritmi all’economia turistica. Se le Olimpiadi invernali continuano a essere viste come una grande occasione di crescita –spesso apparente – e non come l’opportunità per interrogarsi sul futuro degli sport invernali e del loro rapporto con l’ambiente, nemmeno il cambiamento nella fruizione “quotidiana” delle Alpi è andato di pari passo con un cambiamento culturale. Tuttora, molti turisti non sanno adattare i propri comportamenti all’ambiente e si aspettano forme di intrattenimento “cittadine”, dall’aperitivo allo shopping, suggerite dalla stessa narrativa del marketing turistico; così gli operatori si adeguano nel nome del guadagno. Intanto dopo un lungo braccio di ferro non solo tra maggioranza e opposizione, ma interno alla Lega stessa, il Consiglio regionale veneto ha dato il via libera alla costruzione di strutture ricettive di lusso sopra i 1600 metri di quota, stanze panoramiche in vetro e legno “ad alto impatto emozionale” (oltre che ambientale, come pensano molti esperti del settore) – come quelle che già esistono anche sul versante trentino delle Dolomiti – in deroga ai limiti di edificabilità urbanistica.
Intanto, c’è chi difende la costruzione di nuove infrastrutture a Cortina, sostenendo che le funivie incentivino i visitatori a evitare l’automobile, nonostante gli studi sul tema evidenzino che questo succede solo se i progetti sono realizzati secondo un’attenta analisi del contesto e delle abitudini dei visitatori, oltre ad associarsi a strategie di disincentivo dell’uso della macchina. Abbattere boschi, costruire nuove infrastrutture costose e presumibilmente inutili in una località già addomesticata da cemento e piste non sembrerebbe la strategia più efficace per ridurre il traffico automobilistico. Certa, invece, sarebbe l’ulteriore urbanizzazione dell’area, con altre strutture turistiche e punti di ristoro, necessari per permettere al maggior numero di persone possibili l’accesso alle vette, che già oggi è un privilegio, se il principale modo che tanti conoscono per goderne, cioè tramite lo sport invernale, può arrivare a costare anche sugli 80 euro per uno skipass giornaliero, cui si aggiungono il viaggio e l’eventuale noleggio dell’attrezzatura, dato che gli sciatori occasionali di rado investono in attrezzatura tanto costosa per goderne solo pochi giorni.
Dovremmo porci degli interrogativi sulla nostra incapacità di fruire di un luogo se non antropizzandolo e sulla nostra spinta a trasformare l’ambiente incontaminato in un parco giochi come unico modo per apprezzarlo. Anche il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico (PNACC) dà la priorità alle esigenze turistiche e commerciali, concentrandosi sulle tecniche di snow farming per conservare la poca neve sulle piste, senza preoccuparsi di un vero adattamento climatico, dimenticando la biodiversità, gli habitat e la vita stessa degli abitanti delle Dolomiti, che nel territorio di Cortina d’Ampezzo sono passati da oltre 8000 ad appena 5000 tra il 1971 e il 2021, andamento simile al resto della provincia di Belluno che, nel ricco Veneto, sconta la carenza di servizi come i trasporti pubblici e la sanità.
Mentre ci ricordiamo dell’ambiente solo come risorsa da sfruttare, il turismo di massa e le grandi opere condannate a vita breve non dovrebbero essere la nostra priorità se vogliamo realmente far sopravvivere la montagna. Cortina è, in questo senso, la metafora del nostro problematico rapporto con l’ambiente : lo addomestichiamo a nostra immagine e somiglianza, e vi cerchiamo un tornaconto economico senza preoccuparci delle conseguenze, per poi dimenticarcene quando non ci serve più, come succederà alla pista da bob. Così, però, non stiamo facendo altro che distruggere uno dei pochi luoghi che ancora ci curano dallo stress urbano.
Dedicato a chi ha messo in primo piano nella sua vita , il soccorso a persona facendolo diventare fulcro ed esempio per tutti
È rimasto fedele a se stesso fino all’ultimo, vivendo anche i mesi della malattia così come aveva affrontato la sua esistenza: combattivo e sereno. Lo testimoniano gli amici più cari che gli sono stati accanto. A 70 anni – nella notte tra mercoledì e giovedì – è morto Gino Comelli, una delle figure più rappresentative del soccorso alpino italiano. Guida alpina e maestro di sci, era entrato nel Corpo nazionale del soccorso alpino nel 1980 e, dimostrando una straordinaria competenza tecnica, aveva via via scalato le «gerarchie», arrivando a guidare per 25 anni la stazione dell’Alta Fassa di Canazei oltre a diventare istruttore nazionale, trasmettendo così il suo bagaglio d’esperienza a generazioni di nuovi volontari. Ma soprattutto Gino Comelli è stato un fenomenale elisoccorritore, una passione che nel 1990 lo aveva portato a fondare con i fratelli Kostner l’Aiut Alpin Dolomites. Solo lo scorso novembre, alla soglia dei 70 anni, era sceso per l’ultima volta dall’elicottero dopo qualcosa come 2.500 interventi e 4.000 ore di volo. «Cosa farò? Mi godrò un po’ di tranquillità», aveva raccontato alla giornalista Elisa Salvi su «il T». Ma dietro l’angolo l’aspettava la parete più difficile: quella della malattia, che ha cominciato a manifestarsi a dicembre. Originario di Romans d’Isonzo, in Friuli, Gino Comelli, per alcuni anni poliziotto a Moena, ha incarnato i migliori valori delle montagne fassane, un misto di forza e pacatezza che gli è valso la stima e il rispetto non solo della comunità di Canazei e Fassa, ma di tante strutture della protezione civile, come testimonia il fiume di cordoglio che ha generato la sua scomparsa. Un percorso di vita con una cicatrice che ancora doleva: i morti della Val Lasties. Ma anche lì, dalla tragedia del 26 dicembre 2009, Gino aveva colto il fiore che cresceva: «Come si supera un evento del genere? Con l’impegno a migliorare il servizio e la sicurezza degli operatori. È stata una tragedia molto dura, ma abbiamo reagito con la richiesta di poter volare di notte». Proprio da uno dei figli delle vittime della Val Lasties, Igor Dantone (il papà era Alex), oggi capostazione del soccorso alpino dell’Alta val di Fassa, arriva una delle testimonianze più toccanti: «Ero suo vicino di casa e sin da bambino, quando vedevo Gino vedevo “il soccorso alpino” – ricorda – Quando poi sono entrato nel corpo, il primo intervento l’ho fatto proprio con lui per una persona fulminata in val Duron. Ricordo la chiamata, l’agitazione, io che parto con metà delle attrezzature ancora nelle mani. Sono sceso di corsa, Gino mi ha visto e mi ha detto: “Igor, stai sereno: andiamo veloci ma senza perdere mai la tranquillità”. Ecco, Gino era questo: ti dava la serenità anche nelle situazioni più difficili. Era un uomo carismatico, sapeva fare gruppo, parlare alle persone». «Sino alla fine, si è dato da fare per gli altri, senza mai chiedere nulla in cambio». È l’omaggio che Maurizio Dellantonio, presidente nazionale del Soccorso alpino, riserva ad un uomo che è stato prima di tutto un amico: «Portava la calma nei momenti più drammatici, anche se la tragedia della val Lasties lo turbava ancora – spiega Dellantonio – Era un uomo mite, intelligente, onesto, pieno di buon senso. Non credo di averlo visto mai veramente arrabbiato: se lo era, reagiva soprattutto con il silenzio». Fuori discussione la stima di Dellantonio sul piano tecnico: «Gino era molto competente e ancora adesso veniva chiamato a fare i corsi come istruttore». Don Mario Bravin è il parroco di Canazei, ma anche vigile del fuoco volontario: «Gino era una persona estremamente disponibile e tutti noi dobbiamo essergli grati. Una volta – l’aneddoto di don Mario – sono andato da lui per chiedergli alcune delucidazioni sui nuovi sistemi di chiodatura. Avrebbe potuto liquidarmi in pochi minuti, visto, tra l’altro, che io sono un vigile del fuoco e non un tecnico del soccorso alpino: si prese mezzora di tempo per spiegarmi sin nei minimi dettagli quanto volevo sapere». Commosse le parole di Walter Cainelli, presidente del Soccorso alpino trentino: «Gino ha dato moltissimo al mondo del soccorso organizzato in montagna – ha detto – Era una persona lungimirante, con una visione chiara e spesso anticipatrice. Con la gentilezza e la disponibilità verso gli altri che lo contraddistinguevano, è stato un vero protagonista all’interno della nostra organizzazione». «Ci uniamo al dolore per la scomparsa di Gino, da sempre un punto di riferimento anche per noi vigili del fuoco, sempre disponibile a darci consigli utili», le parole dei vigili del fuoco volontari di Canazei. «Abbiamo avuto il privilegio di poter condividere con Gino molti momenti di collaborazione professionale sia sul campo che in ambito addestrativo – l’omaggio del Comitato di Bolzano della Croce rossa italiana – Non sono mancati nemmeno i momenti di divertimento con i nostri ragazzi più giovani in occasione del progetto 8-13. Ci sentiamo di dirti solo Grazie Gino». A questo «grazie» dobbiamo unirci anche noi giornalisti, che per tanti anni abbiamo avuto in Gino Comelli un interlocutore paziente e puntuale, un uomo che ha saputo riconoscere l’importanza anche di chi quei soccorsi in montagna di cui è stato protagonista li racconta ogni giorno. Gino Comelli lascia la moglie Rosalba, la figlia Angelica e il figlio Tommaso. L’ultimo saluto si è tenuto oggi pomeriggio, 12 luglio, nella chiesa parrocchiale di Alba di Canazei.
A mio avviso un lavoro ben fatto sulla ricostruzione della favolosa macchina dei soccorsi che nella immane tragedia , fa uscire nella loro crudezza la professionalità e l’umiltà , oltre quel grado di umanità dimostrato in questo missione , per me è stato emozionante dopo aver perso un grande uomo ed un’amico vero che nel momento del bisogno mi ha allungato la mano. ciao Paolo sei li su quella montagna che hai tanto amato , sei stato un grande persona . Luciano Cailotto
Regia di Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon Durata: 76 min Genere: Documentario
L’opera è una dedica a chi quel 3 luglio 2022 perse la vita nella tragedia della Marmolada e a tutti coloro che si prodigarono per aiutare e recuperare sopravvissuti e non. Il documentario fonde interviste, materiale di repertorio inedito e riprese ad oggi, in un unico linguaggio narrativo capace di restituire l’impotenza dell’uomo di fronte alla forza della natura, coinvolgendo emotivamente lo spettatore e accendendo i riflettori sugli uomini e le donne che in quei giorni hanno lavorato instancabilmente. Le interviste a: autorità, soccorritori, guide alpine, testimoni oculari e sopravvissuti ci condurranno di ora in ora attraverso lo svolgimento degli eventi e la messa in moto della grande “macchina dei soccorsi” evidenziandone il forte impatto umano che ha avuto su chi era lì, magari con la consapevolezza di cercare tra i dispersi un amico o un collega. Un racconto che ci conduce a più riflessioni su come il cambiamento climatico stia velocemente trasformando il territorio e come di conseguenza debba cambiare l’approccio nei confronti della montagna stessa.
Comunicato stampa CAI del Veneto , anche se le regole di chi sale in montagna sono sempre chiare , ma con l’avvento di nuovi pseudomontanari che pensano di andare in montagna come andare al mare in qualsiasi stagione , RIPETIAMO LE REGOLE PER L’ENNESIMA VOLTA , con l’intento di non mettere in pericolo le nostre vite , ma soprattutto quelle dei SOCCORRITORI , SUEM E SOCCORSO ALPINI
Questa è la data di Zugliano stasera , ma ne avranno altre credo , basta seguire la loro pagina di facebook , e seguire questa loro grande passione Federica e Loris
Fonte : il Corriere delle Dolomiti , articolo di Francesco Dal Mas 5 agosto 2023
«Ma la montagna non è una Gardaland» sbotta Giuseppe Dal Ben, direttore generale dell’Usl1 Dolomiti, dando i numeri dei soccorsi: 37.254 chiamate al 118 nei primi sei mesi del 2023 (la media annuale è di 73-74 mila) con 7.812 missioni, di cui 58 con gli elicotteri.
Che cosa infatti sta accadendo in alta quota? Che tra le 651 persone che chiedono aiuto, il 44% è rappresentato da escursionisti, cioè semplici camminatori. Tra questi, il 14,6% si mette nei guai “per incapacità”, il 7,4% perché perde l’orientamento, il 2,8% perché si lascia sorprendere dal maltempo; che una percentuale analoga di persone chiede che le si vada incontro perché è in ritardo.
Soccorsi, insomma, non strettamente sanitari. I volontari del Cnsas o gli elicotteri Falco 1 e Falco 2 ti vengono a prendere perché sei in difficoltà e il più delle volte ti portano all’auto o in albergo, anziché in ospedale. A questo punto è ovvio che l’escursionista paghi per la sua imperizia. E il conto è salato.
Le cifre le ha svelate il direttore Dal Ben in presenza del direttore del Suem 118 Giulio Trillò, del direttore del Dipartimento Prevenzione Sandro Cinquetti e dei vertici del Soccorso alpino, il delegato interprovinciale Alex Barattin e il coordinatore regionale Rodolfo Selenati.
Va precisato, fra l’altro, che i cambiamenti climatici, con le bombe d’acqua, le raffiche di vento, le temperature sempre più alte che sciolgono il permafront congelante, perché lo zero termico si alza anche di 1500 metri sopra le vette della Marmolada, rende i percorsi pieni di spiacevoli sorprese: dagli alberi di traverso sul sentiero, ai ghiaioni ruscellati, ai crolli improvvisi. Anche se i volontari del Cai sono sempre pronti ad intervenire rimettendo in sicurezza gli itinerari.
Dal 2020 l’Azienda sanitaria ha emesso 1.036 fatture per un importo di ben 2 milioni e 22 mila euro, due su tre a carico di italiani.
Solo nei primi sette mesi di quest’anno, nonostante che il maltempo abbia rallentato la frequentazione delle alte asperità, gli amministrativi di Dal Ben hanno staccato ben 164 fatture per un ammontare di 409.156 euro. Ma, attenzione: fino alla fine del mese scorso, gli stranieri hanno rappresentato la maggioranza, col 54%.
Il direttore generale ha ammesso che non è facile convincere i malcapitati a pagare il transfer; più convincibile è lo straniero. Il problema è – come ha fatto notare Selenati – che il 95% di coloro che scarpinano lungo i sentieri di montagna o si avventurano sulle sempre più ambite ferrate, oppure inforcano credendosi campioni la e-bike, «non sono nemmeno assicurati». E la botta, quando arriva, è sicuramente pesante.
Gli inglesi sono, quest’estate, in testa alla classifica dei soccorsi, seguono i polacchi, i ceki, gli americani dei paesi bassi, i francesi.
Un volo per sfinimento (il 2% dei casi) può costare anche 4mila euro. Perché, dunque, tanta leggerezza nell’affrontare le terre alte?
Purtroppo – hanno ammesso Selenati e Barattin – ci si fionda in montagna anche senza preparazione, magari affrontando itinerari impegnativi, solo perché sospinti dai social e dagli influencer. Giulia Calcaterra che si fa portare sulla Torre Venezia del Monte Civetta dall’elicottero (non certo quello del Suem) «è un brutto esempio assolutamente da non imitare».
Oltretutto – raccomanda il direttore del Suem, Trillò – si tenga conto che determinati interventi sono così difficili da mettere a repentaglio anche la vita dei professionisti e dei volontari.
Recentemente, pertanto, si è stati costretti – come riferisce lo stesso Trillò – a uscire con i due Falco contemporaneamente. Anzi, al riguardo Dal Ben ha precisato che il Suem è attrezzato per il volo notturno, ma per determinati soccorsi in parete, di una difficoltà unica, il personale specializzato è in formazione, per cui ci si affida necessariamente ad altri equipaggi.
Questione di mesi, comunque, e i due Falco potranno intervenire in qualsiasi salvataggio. Va detto, per la precisione, che il secondo elicottero sarà attivo – all’aeroporto di Belluno – nel pieno della stagione estiva e “probabilmente”, anticipa Dal Ben – lo sarà anche in quella invernale.
li «giallo» degli otto militari di Bagdad precipitati sui monti in provincia di Vicenza L’elicottero iracheno era in Italia per montare nuove i i recchiature La destinazione era l’aeroporto della Malpensa, dove il veicolo doveva essere preso in consegna dai tecnici dell’industria aeronautica «Caproni» per conto di una ditta di Roma – Sono stati recuperati i corpi delle vìttime – Numerose interrogazioni parlamentari VICENZA — Probabilmente era diretto all’aeroporto della Malpensa dove doveva essere preso in consegna dalla società Caproni Vizzola, l’aereo militare irakeno precipitato lunedì sui monti sopra Recoaro con otto soldati di Bagdad a bordo, tutti morti sul colpo. Alla Malpensa, i tecnici della Caproni avrebbero dovuto effettuare sul velivolo, per conto di un’altra società, l’Elettronica» di Roma, uno studio preliminare all’ installazione di apparecchiature per la radionavigazione e di ricetrasmettitori. L’elicottero doveva rimanere alla Malpensa circa due mesi e l’equipaggio doveva con tutta probabilità rientrare in patria, lasciando solo un tecnico a seguire i lavori. E’ più che un’Ipotesi. Ad affermare queste cose ieri è stato il vicepresidente e amministratore delegato dell’Elettronica, ing. Enzo Benigni, il quale ha anche detto che il lavoro di predisposizione degli apparati preludeva ad un possibile contratto tra il governo di Bagdad e la società romana. Le rivelazioni del dirigente dell’Elettronica, se serviranno forse a chiarire quello che in un primo momento sembrava un vero e proprio giallo internazionale, solleveranno anche delle polemiche, con particolare riferimento ai rapporti che l’Italia, paese produttore di tecnologie avanzate, Intrattiene con Irak da una parte e Iran dall’altra, due paesi in guerra. E già ieri queste polemiche hanno trovato voce In interrogazioni parlamentari (una del PCI) sulla vicenda e In alcune dichiarazioni. Intanto sono stati recuperati, dopo ore e ore dì lavoro sul costone montuoso ricoperto di neve sopra Recoaro, i corpi degli otto militari iracheni morti nello schianto. Un lavoro difficile quello del soccorritori, In una valle stretta e impervia, dove, in poco più di trent’anni, si sono Infilati senza più riuscirne altri sette piccoli veicoli. Il capitano del carabinieri Nicola Mele, che comanda la compagnia di Valdagno, ha detto che tra i resti dell’elicottero non è stato trovato nulla di particolare: qualche banconota araba, qualche passaporto, oggetti personali. L’ufficiale ha anche fornito l nomi delle otto vittime: Anwar Anigad Alood, 35 anni; Alood Hanid, 40; Ahmed Abdool Hadi, 29; Bassan Hussaln, 28; Ipassim Khaddam Alid, 28; Khalek Hawa, 30; Nawaz Ahmed. 33; Adld Assain, 33. Non si conosce però il loro grado né il loro incarico, si sa solo che risiedevano tutti nella capitale irachena. Nella segnalazione completa inviata al ministeri degli Esteri e degli Interni, agli Stati Maggiori e al Comandi superiori, il capitano Mele scrive che «l’elicottero irakeno marca Y L, di fabbricazione sovietica, era giunto a Venezia il 19 marzo ed era ripartito il 21 marzo, alle 12,42, da Venezia per Milano, per recarsi a Varese, presso l’industria aerea Agusta di quella città». Ma l’Agusta, che non ripara elicotteri di fabbricazione sovietica, ha smentito che il velivolo Irakeno fosse atteso nei suoi stabilimenti. Ad accrescere le tinte di giallo internazionale che colorano la vicenda c’è un’altra notizia: secondo i carabinieri di Venezia, oltre all’equipaggio precipitato con l’elicottero, che aveva alloggiato per due giorni all’hotel Cipriani della Giudecca, altri sette irakeni erano nella città lagunare all’hotel Ala, e di loro, dopo l’incidente di lunedì, si sarebbero perse le tracce. Sull’incidente aereo in provincia di Vicenza l deputati comunisti Cravedi, Angelini, Baracetti e Corvisieri hanno rivolto un’interrogazione al ministro della Difesa chiedendo di conoscere «se l’elicottero era stato autorizzato a sorvolare il territorio nazionale» e «quale missione stavano compiendo i militari dell’elicottero precipitato». Ciò anche in considerazione del fatto che «l’Irak è un paese in conflitto, e l’elicottero, notizia di stampa, ha sorvolato una zona militare di rilevanza strategica per la difesa del nostro paese». In una dichiarazione il socialista Accame afferma che «sono in corso contatti ad ogni livello fra le nostre autorità sia diplomatiche che militari, e le omologhe irachene per consentire un massiccio afflusso presso le nostre scuole militari di militari iracheni, fatto che, collegato all’eccezionale vendita di armamenti al paese medio orientale, fa assumere al nostro paese una ben chiara posizione nei confronti del conflitto fra Iran e Irak». Interrogazioni hanno presentato anche la DC e il PdUP .
Oggi mercoledì 20 luglio il popolo della montagna si unisce per dare l’addio ad un grande uomo , anzi l’arrivederci perché credo che io e lui e molti di noi ci incontreremo sulle nostre amate montagne , con lui se né andato un grande , un amico vero uno di quelli che qualche volta pensi di avere perso perché per una serie di svariati motivi ti incontri poco , salta fuori con un caffe al Bar Pasubio ed era sempre una festa , un uomo che nella sua grandissima umiltà ha insegnato a molte persone cosa fare in montagna , tante vite salvate e tante purtroppo le persone che ha soccorso decedute . Io lo ricorderò com’era quando sapendomi in difficoltà mi ha aiutato offrendomi quella collaborazione che ha servito a me privo di stipendio , che sarebbe il problema minore , ma riempiendomi la giornata con altri pensieri anziché quelli peggiori che ti portano in direzioni maledette , la montagna mi ha salvato , lui e Lino hanno fatto molto , le giornate passate insieme a sistemare , mantenere quella piccola area costruita con cuore di chi crede nelle persone è qualsiasi cosa faccia la fa con Passione.
Non sarà certo facile per i famigliari superare questo grande dolore , lui era una pietra che indicava un percorso un sentiero ed una vetta da raggiungere , sempre prudente preciso e meticoloso nelle sue scelte ponderate dalla sua grandissima esperienza .
Non lo sarà nemmeno per gli amici, che non sentiranno più quella parola ” Dai Daghene” che ti faceva superare i percorsi più ostici e difficili .
Non lo sarà nemmeno per chi più volte ha collaborato con lui nel soccorso , il soccorso alpino , i vigili del fuoco del distaccamento di Recoaro di cui io faccio parte per le preziose collaborazioni di ricerca persona , il 118 SUEM e tutte le altre che non ho menzionato.
Non è facile neanche per me , ho sepolto mio padre nel 2019 ad aprile aveva 78 ed a ottobre mio fratello che na aveva 49 anni , la stessa classe di Paolo.
Ciao Amico te ne sei andato , avevi la montagna dentro , come me , ed ora sei dentro a quella montagna che tanto hai amato , e che tante volte avevi salito … Grazie mille di tutto ci incontreremo li all’alba di un nuovo giorno … ti porteremo nel cuore per i sentieri che ci hai tracciato … Buon Viaggio Amico Mio