Pubblico questo intervento molto bello , sui cambiamenti successi negli anni in montagna, noi montanari che saliamo il Pasubio fin da piccoli abbiamo notato , un grosso plauso a Renato Leonardi .
Intervento al convegno “Frequentazione responsabile della montagna nell’era dei social network – Impatti negativi sull’ambiente: posizione ruolo del Club Alpino Italiano“
Longarone 24 ottobre 2018
Ho da poco concluso la mia quarantesima stagione al rifugio Achille Papa e vorrei provare a raccontarvi che cosa è cambiato in questi 40 anni sul Pasubio. Innanzi tutto sono cambiato io, è cambiata la visione romantica sulla vita in rifugio che avevo quando con un gruppo di amici nel 1979 abbiamo presentato la domanda per concorrere l’assegnazione della gestione, quello che era iniziato come un avventura giovanile col passare degli anni si è trasformato in un impegno sempre più coinvolgente, l’affluenza di visitatori è cresciuta assieme alla notorietà del posto fino a far diventare quella del rifugio la mia attività e il mio impegno principale. Fino al 2006/07 l’affluenza si era mantenuta abbastanza costante subendo solamente leggeri incrementi e qualche piccola variazione condizionata per lo più dalle situazioni meteorologiche che si verificavano durante la stagione, in seguito però si è evidenziata una accelerazione nelle presenze, nell’ultimo decennio infatti si è verificato un costante incremento fino ad arrivare all’esplosione degli ultimi 2/3 anni. Certamente l’accelerazione dell’ultimo periodo è stata impressa dalla ricorrenza del centenario della Prima Guerra Mondiale, evento che ha scatenato l’interesse dei media che ne hanno portato alla ribalta del grande pubblico gli eventi e i luoghi più significativi. In proposito penso sia doveroso ricordare la mostra organizzata dal CAI di Schio sulla “Strada delle 52 Gallerie”. Non credo comunque che questo sia l’unico motivo dell’aumento di interesse per la montagna, a mio avviso si è verificato un fenomeno simile a quello che negli anni 70 ha caratterizzato il passaggio dall’alpinismo classico a quello sportivo. L’alpinismo che fino ad allora era considerato un attività per pochi ha avuto con l’evento del free climbing e dell’arrampicata sportiva uno sviluppo impressionante, inizialmente visto con diffidenza ma oggi accettato e anzi, nel bene e nel male, attualmente questo tipo di attività hanno sicuramente preso il sopravvento. Stessa cosa è successa con l’escursionismo, pian piano si è diffuso nell’opinione pubblica un cambiamento di mentalità che ha portato i più a considerare l’attività fisica un complemento indispensabile alla propria vita, e in seguito a considerare la montagna come un terreno ideale dove svolgere la propria attività. Si è visto quindi un aumento progressivo di escursionisti, affiancati a secondo delle mode del momento da bikers, praticanti di nordik walking, appassionati di corsa in montagna, sci alpinisti, ciaspolatori, spinti anche dalle varie competizioni nate nel frattempo, e attualmente ancora in crescita grazie anche alle “facilitazioni” introdotte con l’avvento delle e-bike e al proliferare di iniziative organizzate dalle nuove figure introdotte dai corsi per accompagnatori di media montagna. E’ evidente che il fenomeno ha prodotto un importante indotto economico per chi trova nella montagna il proprio sostentamento, ma sta causando contemporaneamente notevoli problemi. Purtroppo, almeno nella mia zona, le amministrazioni pubbliche non hanno saputo interpretare in tempo il cambiamento focalizzandosi sulla promozione dei luoghi senza provvedere ad una preventiva organizzazione dei servizi necessari, lasciando così alle strutture presenti sul territorio il compito di sopportare quello che si è ultimamente rivelato come un vero e proprio assalto. Fortunatamente, per quanto riguarda il Rifugio Papa, la Sezione del CAI di Schio è stata sempre attenta, attiva e pronta a cogliere questi segnali cercando negli anni di adeguare, nel limite del possibile e compatibilmente con i propri principi, il rifugio alle nuove esigenze che man mano si presentavano, tanto è vero che anche attualmente stiamo progettando delle nuove opere di adeguamento. Tutto questo lavoro però non è ancora sufficiente, si sta verificando che la maggior parte dei nuovi fruitori della montagna vi si avvicina “spavaldamente”senza la minima esperienza, preparazione ed informazione, affidandosi a notizie raccolte superficialmente. Sembra un controsenso ma proprio nell’epoca in cui tutte le informazioni sono a portata di mano buona parte delle persone affronta la montagna completamente impreparata senza premunirsi di informazioni basilari sulle difficoltà che si possono incontrare, sviluppo degli itinerari, dislivello, vie di ritorno… ecc. Assistiamo spesso così all’arrivo in rifugio di persone spossate e spaesate per lo più male equipaggiate, si pensi solo al fatto che negli ultimi anni ho dovuto iniziare a tenere in rifugio una scorta di pedule in quanto spesso accade che calzature datate cedono durante la salita lasciando i malcapitati ad affrontare scalzi gli itinerari di discesa. Leggerezze che sempre più spesso conducono a conseguenze anche gravi, quest’anno sono una decina le persone che ho dovuto riaccompagnare a valle colte da malori dovuti per lo più ad impreparazione fisica e a sottovalutazione delle difficoltà che andavano ad affrontare, senza contare i casi in cui sono dovute intervenire le squadre del Soccorso Alpino, a volte allertate inutilmente da persone troppo apprensive. Questo è il contesto dove attualmente ci troviamo a portare avanti il nostro lavoro, in proposito suona attualissimo il discorso fatto dal nostro ex presidente arch. Giovanni Fontana durante l’assemblea annuale dei Soci del 2014 di cui riporto alcuni stralci: “Essere soci del CAI diventa ogni anno sempre più impegnativo. In passato la montagna era appannaggio quasi esclusivamente dei residenti, dei pastori e dei contrabbandieri che presidiavano il territorio garantendone il naturale equilibrio e i pochi alpinisti che si avventuravano nelle terre alte erano spinti da grande passione e voglia di esplorare ambienti sconosciuti; affrontavano questa novità in punta di piedi ed il loro era un atteggiamento di assoluto rispetto nei confronti di una natura che non conoscevano ma che regalava loro grandi emozioni. Il CAI (…….) era già presente con i suoi uomini più lungimiranti che avevano capito l’enorme potenzialità di questo mondo sconosciuto e già si adoperavano per promuoverne lo sviluppo;(………) la conoscenza e la tutela della montagna avvenivano anche attraverso la progettazione di importanti infrastrutture: non c’era allora incompatibilità tra tutela e sviluppo.(……..) Negli anni 70 inizia il turismo di massa ma l’offerta è ancora limitata e il consumo della montagna, eccetto qualche situazione limite, è ancora compatibile con il delicato equilibrio che la caratterizza. Poi, gradualmente, comincia uno sfruttamento più sistematico: (……..) di conseguenza scoppiano le prime battaglie ambientaliste e comincia finalmente ad affermarsi il concetto di tutela del patrimonio montano con l’istituzione dei primi parchi nazionali. (………) Oggi ogni valutazione ideologica è molto più sfumata e, purtroppo, solo pochi fanno riferimento a valori ideali: la montagna è diventata una merce, viene sfruttata e venduta da chi può disporne, ha assunto un valore economico a scapito di qualsiasi altro valore e visione di sviluppo futuro. Nel nostro piccolo, la Regione Veneto ha scoperto la risorsa turismo montano e ne decanta le meraviglie in ogni pubblica occasione; Comuni Enti ed associazioni ad ogni livello e con qualsiasi titolo propongono pacchetti per ogni gusto, capacità o portafoglio garantendo sicure emozioni. Andare in montagna è diventato facile, le strade di accesso sono comode ed esistono infrastrutture in grado di portare centinaia di escursionisti e turisti ad un passo dalle cime che fino a pochi anni fa erano riservate agli alpinisti esperti; le attrezzature tecniche sono di gran lunga migliorate e sono nate nuove discipline turistico sportive per allargare la base dell’utenza e soddisfare anche i più esigenti e capricciosi. Ma le risorse per la salvaguardia ed il presidio del territorio vengono continuamente tagliate e restano sempre e solo i volontari del CAI per la manutenzione dei sentieri e delle strutture in quota: (……) E poi sono radicalmente cambiati i tempi di accesso e fruizione della montagna. Dopo la salita degli 8000 in stile alpino e senza l’uso dell’ossigeno la fatica ha cambiato sapore e tutte le mete si sono drasticamente avvicinate: la gita per la quale fino a ieri riservavamo una giornata oggi viene bruciata in 4 ore, il Baffelàn è diventata una palestra per allenamenti serali e una gara non è degna di attenzione se non supera i 42 km di lunghezza e 3000 mt di dislivello. Anche in montagna tutto si muove con la velocità della rete, tutto è concesso ed ogni performance è pienamente vissuta solo se immediatamente condivisa nel gruppo del social network con immancabile filmato a corredo: e a noi spetta ancora il compito meno gratificante e più impegnativo dell’informazione e della formazione di questa nuova schiera di utenti della montagna. Questo è il contesto nel quale oggi ci troviamo ad operare, certamente descritto in modo sintetico e approssimativo, forse poco condiviso dai soci con qualche capello bianco in testa, ma certamente riconoscibile da gran parte dei nostri giovani. E’ per questo che, a mio avviso, essere soci del Club Alpino Italiano diventa ogni giorno sempre più impegnativo. Nessuno pretende di fermare l’evoluzione dei costumi e della società ma l’impegno che oggi viene chiesto ai soci del Club Alpino Italiano è quello di interpretare questa evoluzione per coglierne gli aspetti positivi senza derogare ai principi cardine del nostro Statuto. La nostra ricchezza e il nostro vantaggio derivano dall’operare direttamente sul territorio, il nostro sapere discende direttamente dal fare e non dobbiamo mai perdere questa fondamentale prerogativa. Che ci piaccia o no la nostra Associazione rappresenta un punto di riferimento imprescindibile e riconosciuto di coerenza e credibilità, frutto di un patrimonio ideale ricco e diversificato. Ed il grande impegno, la sfida che ci attende ogni giorno sta nel perpetrare tale patrimonio per renderlo comune e riconoscibile in tutti i soci. Essere soci CAI non significa semplicemente andare in montagna! Dobbiamo continuare a distinguerci non solo per la preparazione tecnica ma anche per quella culturale; dobbiamo essere concreti e propositivi verso tutti coloro che cercano la nostra esperienza, aggiornati ed attenti a quello che accade attorno a noi, disponibili al dialogo ma coerenti e decisi nelle azioni e nelle scelte contrarie ai nostri principi. Dobbiamo accettare, condividere e promuovere le azioni ed i progetti in linea con le nostre idee e con la nostra storia ma dobbiamo anche avere la forza ed il coraggio di dire di no e rifiutare quanto palesemente o velatamente contrario. E’ veramente una faticaccia, ma può essere anche una grande soddisfazione. Sono consapevole che la meta è ancora lontana, so che molti soci comprano il bollino CAI solo per avere l’assicurazione, lo sconto sul rifugio o sul negozio di settore, ma io e i soci più attivi sappiamo che molto lavoro di qualità ci attende anche per formare gli altri soci e far crescere la consapevolezza tra gli utenti della montagna. ……………………………………………………………..” Personalmente vorrei aggiungere che la vera sfida a questo punto diviene quindi diffondere questo patrimonio all’esterno dell’associazione, Il CAI deve aprirsi ancora di più , fare partecipi di questo modo di vivere la montagna tutti quelli che vi si avvicinano divulgando con forza i propri ideali, solo così avremo la speranza di preservare il nostro patrimonio montano per le generazioni future. In quest’ottica gestire oggi un rifugio richiede ancora più fatica e impegno, all’idea di essere portatori di questi valori si debbono aggiungere, oltre alle difficoltà oggettive, la miriade di obblighi e incombenze a cui siamo soggetti, dei quali la stragrande maggioranza degli escursionisti non si rende conto considerando i rifugi alla stregua di qualsiasi altro bar o ristorante che frequentano abitualmente. Dal CAI mi aspetterei nel prossimo futuro un aiuto concreto in questa direzione, mi piacerebbe che qualcuno cominciasse a spiegare anche all’esterno dell’associazione che cosa è un rifugio CAI, che cosa ci si può aspettare frequentandolo, che ci fosse una comunicazione chiara verso tutti i fruitori, soci compresi, sia per quanto riguarda il tipo di servizi offerti che per quanto riguarda agevolazioni e sconti vari e che ci fosse un tentativo concreto di uniformare questi comportamenti in tutti i rifugi.
Renato Leonardi