Dopo essere arrivati a Longarone si prende sulla destra per salire ad Erto e Casso , superato il ponte si procede a sinistra per Codissago e si inizia a salire per una strada larga tutta a tornanti che riprende quota in fretta , arrivati al sesto tornante si nota una stradina sulla destra che porta ad un posteggio , dove e presente anche la galleria chiusa di proprietà dell’ Enel , li si può mettere l’auto e sulla destra compare il Cartellone schematico della via Ferrata , con tutti i consigli utili sui materiali , tempi , pendenze e grado di difficoltà . La ferrata e molto bella e richiede un impegno fisico discreto , la vista del vuoto sotto permane fino alla fine della stessa tranne che in alcuni passaggi orizzontale , rimane comunque una via di un certo impegno . Giunti alla fine della via non resta che scendere fino alla diga e alla chiesetta per poter vedere , come sia chiara e lampante la stupidità dell’uomo . Per la discesa e rientrare all’auto si scende per il sentiero di Sant’Antonio , appena si arriva nella strada asfaltata proseguire per la stessa fino al tornante successivo in circa 1 h di tempo , eventualmente si potrebbe scendere anche dal semaforo delle gallerie ma e tutta strada asfaltata e trafficata , li ci si impiega circa 45 minuti .
Vajont 9 ottobre 1963 ore 22.45
“Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua e traboccata sulla tovaglia . tutto qui .Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso grande come una montagna e di sotto , sulla tovaglia , stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi ” Dino Buzzati Il corriere della sera venerdi 11 ottobre 1963
9 ottobre 1983
” Triste giornata tra gente meravigliosa …la sciagura è una cosa che dobbiamo sempre tenere presente per il domani .”Sandro Pertini
Testimonianza per non dimenticare
Micaela Coletti aveva 12 anni e abitava con la famiglia a Longarone. Ha perso tutti i propri cari. “Il rumore per me assomigliava a quello di un mostro che stava arrivando – prosegue -. Poi il letto si è piegato in due, con me dentro, e ha preso una velocità terrificante. Sembrava che sotto il letto ci fosse un buco enorme, qualcosa che mi prendeva le mani e tirava giù. Le ho portate sul volto, istintivamente, e questo mi ha salvata, perché ho potuto respirare”. “Da casa mia – continua – ho fatto un volo di 350 metri in linea d’aria. Ero sottoterra, fuori solo con un piede e una mano. Ore dopo qualcuno vide la mano che si muoveva, arrivarono i soccorritori che mi tirarono fuori. ‘Venite, abbiamo trovato un’altra vecchia’ dicevano tra loro. Ma come, ho pensato io, se ho solo 12 anni…”. Piermarco Tovanella nel ’63 aveva 30 anni. Al volante della sua ‘Giulietta’ ultimo modello aveva accompagnato una cugina al cinema a Belluno. Il segnale del disastro – racconta – fu la luce che d’un tratto venne meno in tutta la città. A Longarone aveva i genitori e i fratelli. Forzò anche il posto di blocco dei carabinieri a Ponte nelle Alpi per raggiungere casa. Ma dovette fermarsi.
Il Coraggio di Tina Merlin sul disastro del Vajont
La Merlin, staffetta partigiana, conosceva ogni angolo dei paesi di Erto, Casso e Longarone e aveva percorso mille volte i boschi intorno al Monte Toc, dove doveva essere costruita la grande diga. Aveva parlato e parlato ancora con tutti gli abitanti che si opponevano alla costruzione della diga perché tutto il terreno di quelle zone era friabile e pericoloso, ma la SADE non voleva ascoltare niente e nessuno. Prima di tutto il profitto, poi la popolazione . La Merlin venne addirittura denunciata per diffamazione dalla SADE, ma i giudici l’assolsero dopo la testimonianza degli abitanti di Erto e Casso. Lei continuò ad andare avanti e i parlamentari della zona presentarono tutta una serie di interpellanze in Parlamento, ma non successe niente. La SADE era più forte di ogni altro potere e la diga fu costruita nonostante le prime frane e le grandi spaccature nel terreno. Poi il 9 ottobre del 1963 la tragedia con il precipitare del Monte Toc nell’invaso della diga. Arrivarono giornalisti da tutta Italia e dall’Europa, ma i pochi superstiti di Longarone, di Erto e Casso, impedirono loro di avvicinarsi ai pochi sassi che restavano dei paesi. Come racconteranno poi Indro Montanelli ed Enzo Biagi solo Tina Merlin, la nemica della SADE, poté passare. Gli uomini, davanti a lei, si toglievano il cappello e le donne l’abbracciavano piangendo.